Trattamento farmacologico della fibrillazione atriale

22 Apr 2006 Cardiologia

Paolo Alboni et collaboratori della Divisione di Cardiologia e Centro Aritmologico dell?Ospedale di Cento ( Ferrara ) hanno compiuto una revisione della letteratura con l?obiettivo di definire allo stato attuale delle conoscenze la migliore strategia farmacologica per i pazienti con fibrillazione atriale ricorrente.

A ) Pazienti che non necessitano di terapia antiaritmica

Non dovrebbero essere sottoposti a trattamento con farmaci antiaritmici:

– i pazienti dopo il primo episodio di fibrillazione atriale

I pazienti con un primo episodio di fibrillazione atriale dovrebbero essere convertiti a ritmo sinusale, ma il trattamento profilattico con un farmaco antiaritmico non sembra indicato.
Questo approccio ? condiviso dalle lineeguida dell?American College of Cardiology/American Heart Association e dell?European Society of Cardiology.
Ci possono essere alcune eccezioni come: fibrillazione atriale con grave sintomatologia ( scompenso cardiaco, sincope ), presenza di stenosi mitralica e/o atrii marcatamente dilatati, episodi di lunga durata ( settimane o mesi ).

– i pazienti con rari episodi di fibrillazione atriale di breve durata

I pazienti con rari episodi di fibrillazione atriale di breve durata ( poche ore ), ben tollerati emodinamicamente, non dovrebbero essere sottoposti a trattamento farmacologico preventivo.

– i pazienti con fibrillazione atriale perioperatoria

La fibrillazione atriale ? una frequente complicanza ( con un?incidenza tra il 15 ed il 40% ) dopo chirurgia cardiotoracica.
La fibrillazione atriale perioperatoria ? generalmente di breve durata, ma ? associata ad un aumento di morbilit? e ad una prolungata ospedalizzazione.
Le recidive di fibrillazione atriale sono abbastanza frequenti nel primo mese dopo intervento di cardiochirurgia.
Dopo questo periodo le recidive diventano rare.
Un trattamento antiaritmico cronico non appare indicato nei pazienti senza storia di fibrillazione atriale prima dell?intervento chirurgico.
Il trattamento antiaritmico pu? trovare indicazione solo nel primo mese dopo l?operazione chirurgica.

I pazienti con fibrillazione atriale durante infarto miocardico

Nell?era trombolitica la prevalenza di fibrillazione atriale durante infarto miocardico acuto ( IMA ) varia tra l?8 ed il 10%.
La fibrillazione atriale durante IMA ? associata ad un pi? grave coinvolgimento cardiaco.
Il decorso della fibrillazione atriale durante infarto pu? essere estremamente variabile.
Pertanto i pazienti con fibrillazione atriale durante IMA senza storia di fibrillazione atriale dovrebbero essere dimessi in ritmo sinusale senza alcuna prescrizione di farmaci antiaritmici.

i pazienti con l?holiday heart syndrome

L?assunzione di elevate quantit? di alcol aumenta il rischio di insorgenza di fibrillazione atriale.
I pazienti dovrebbero essere invitati ad evitare l?abuso di alcol.

B ) Pazienti che possono trarre giovamento dall?approccio ?pill-in-the-pocket?

Diversi pazienti con fibrillazione atriale ricorrente presentano episodi che non sono frequenti ( inferiore ad 1 per mese ) e che sono emodinamicamente ben tollerati, ma di durata che richiede il ricorso al Dipartimento d?Emergenza o l?ospedalizzazione.
Questi pazienti necessitano di un trattamento, ma la profilassi per os di lungo periodo o l?ablazione non sono trattamenti appropriati di prima linea.
Questo gruppo di pazienti potrebbe trarre vantaggio dall?approccio ?pill-in-the-pocket?.
L?approccio ?pill-in-the-pocket? consiste nell?assunzione per os di una singola dose di farmaco antiaritmico al momento del manifestarsi dell?aritmia.
L?efficacia di un dosaggio da carico di un farmaco di classe IC, Flecainide ( Almarytm ) o Propafenone ( Rytmonorm ) ? stata dimostrata in diversi studi clinici.

C ) Pazienti che richiedono trattamento profilattico con farmaci antiaritmici

Nei pazienti con episodi di fibrillazione atriale frequenti e mal tollerati dal punto di vista emodinamico, trova indicazione il trattamento profilattico con farmaci antiaritmici.
Gli antiaritmici dovrebbero essere impiegati solo nei pazienti con fibrillazione atriale sintomatica in cui il ritmo sinusale necessita di essere mantenuto.
La decisione di impiegare i farmaci antiaritmici richiede un?attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio.
Il farmaco antiaritmico pi? efficace nella prevenzione della fibrillazione atriale ? l?Amiodarone ( Cordarone ).

Alboni P et al, Ital Heart J 2005; 6: 169-174

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Fibrillazione atriale, quando ? indicato l?approccio pill-in-the-pocket ?

21 Apr 2006 Cardiologia

L?approccio pill-in-the-pocket consiste nella somministrazione di un carico orale di un farmaco antiaritmico.

I farmaci di classe IC, Flecainide ( Almarytm ) o Propafenone ( Rytmonorm ) presentano il vantaggio di essere convenientemente somministrati come dose di carico orale, di agire rapidamente e di causare minimi effetti indesiderati.

Diversi pazienti con fibrillazione atriale ricorrente presentano episodi che non sono frequenti ( inferiori ad 1 per mese ) e che sono emodinamicamente ben tollerati, ma che presentano una durata tale da richiedere un intervento d?emergenza o una ospedalizzazione.

Questi pazienti potrebbero trarre beneficio dall?approccio pill-in-the-pocket ( pillola in tasca ).

L?efficacia di una singola dose di carico orale di Flecainide e di Propafenone nel convertire la fibrillazione atriale di recente esordio a ritmo sinusale ? stata documentata in diversi studi clinici controllati con placebo.

I due farmaci hanno mostrato un?efficacia simile, con percentuali di successo varianti tra il 58 ed il 95%, in base alla durata della fibrillazione atriale.

In tutti gli studi controllati, ? stata riportata una bassa incidenza di effetti indesiderati.
Il pi? grave effetto indesiderato osservato con l?impiego della Flecainide e del Propafenone ? la comparsa di un flutter atriale transitorio con alta frequenza ventricolare.
La conduzione atrioventricolare 1:1 avviene in circa l?1% dei pazienti con fibrillazione striale trattati con farmaci di classe IC.

Un recente studio multicentrico eseguito in Italia ha dimostrato l?applicabilit? dell?approccio ?pill-in-the-pocket?.

Sono stati arruolati pazienti di et? compresa tra i 18 ed i 75 anni, richiedenti un intervento d?emergenza per fibrillazione atriale di recente insorgenza ( inferiore a 48 ore ), ben tollerata emodinamicamente ( assenza di sintomi quali dispnea, presincope o sincope ).

Questi pazienti presentavano un numero di episodi di fibrillazione atriale inferiore ad 1 al mese.

I pazienti sono stati cardiovertiti, in ambiente ospedaliero, mediante somministrazione di una dose di carico di Flecainide ( 300 mg se il paziente pesava 70 kg o pi?; 200 mg per le persone di peso inferiore ai 70 kg ) oppure di Propafenone ( 600 mg se il paziente pesava 70 kg o pi?; 450 mg per le persone di peso inferiore ai 70 kg ).

Il trattamento farmacologico era considerato ?di successo? se il tempo di conversione a ritmo sinusale era inferiore a 6 ore dopo la somministrazione del farmaco.

Un totale di 268 pazienti con fibrillazione atriale di recente insorgenza sono stati arruolati.

Di questi, 58 sono stati esclusi dal trattamento extra-ospedaliero. In 41, il farmaco ? risultato inefficace nel ripristinare il ritmo sinusale entro 6 ore.
In 14 soggetti sono insorti effetti indesiderati dovuti al trattamento: in 4 ipotensione transitoria, in 7 flutter atriale, in 1 conduzione AV 1:1, ed in 3 una leggera bradicardia sintomatica.

I rimanenti 210 pazienti, et? media 59 anni, sono stati dimessi dall?ospedale su Flecainide o Propafenone per il trattamento ?pill-in-the-pocket? della fibrillazione atriale ricorrente.

Un totale di 118 pazienti non presentava segni di malattia cardiaca ed i rimanenti 92 ( 43% ) presentavano invece una lieve cardiopatia.

Il periodo medio osservazionale ? stato di 15 mesi.
Quattro pazienti sono andati perduti subito dopo l?arruolamento.

Il 20% ( n = 41 ) non ha sperimentato alcuna recidiva aritmica durante il periodo di follow-up, mentre 165 hanno riferito 618 episodi di palpitazione con esordio improvviso.

Il trattamento farmacologico ? risultato efficace nel 94% dei casi ( 534 su 569 episodi aritmici ).

Il tempo alla risoluzione dei sintomi dopo assunsione del farmaco ? stato in media di 98 minuti.

Sedici episodi aritmici sono stati interrotti in un tempo maggiore di 6 ore senza che il paziente contattasse il Pronto Soccorso.

Ventisei episodi ( 5% ) hanno richiesto un intervento d?emergenza, con ospedalizzazione per 10 di questi ( 2% ).

Il 7,9% ( 49 su 618 ) degli episodi aritmici non sono stati trattati, soprattutto a causa dell?indisponibilit? del farmaco ed il 10% ( 5 ) di questi ha richiesto intervento d?emergenza.

Durante il periodo osservazionale il numero delle chiamate per un intervento d?emergenza al mese si ? ridotto in modo significativo rispetto allo stesso periodo dell?anno precedente: 4,9 versus 45,6 ( p < 0,001 ). Anche il numero delle ospedalizzazioni per mese durante il periodo di follow-up ? risultato significativamente pi? basso: 1,6 versus 15 ( p < 0,001 ). Effetti indesiderati durante gli episodi aritmici sono stati riportati nel 7% ( 12/165 ) dei pazienti che hanno utilizzato il farmaco antiaritmico. I risultati di questo studio hanno mostrato che il trattamento extra-ospedaliero della fibrillazione atriale ricorrente mediante l?approccio ?pill-in-the-pocket? ? fattibile e sicuro, con un?alta incidenza di compliance per il paziente ed una bassa percentuale di reazioni avverse. Alboni P et al, Ital Heart J 2005; 6: 169-174

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L?alcol non ha effetto sulla replicazione del virus dell?epatite C

I pazienti con infezione da virus dell?epatite C ( HCV ) che assumono alte quantit? di alcol presentano una forma pi? grave di malattia epatica rispetto ai pazienti con HCV senza una storia di consumo di alcol.

Il meccanismo mediante il quale l?alcol peggiora la malattia epatica da HCV non ? completamente noto.

Si ritiene che l?alcol stimoli la replicazione di HCV.

Ricercatori dei Veterans Affairs Medical Center di Houston hanno compiuto una meta-analisi che ha valutato l?effetto dell?alcol sulle concentrazioni virali.

Sono stati identificati 14 studi.

Il confronto tra i pazienti con il pi? alto consumo di alcol ed il gruppo di astemi ha mostrato una significativa associazione con il carico virale in 3 studi; in 5 studi si ? osservato un trend positivo, mentre nei rimanenti 4 studi una relazione negativa.

L?analisi dei risultati combinati non ha mostrato nessuna associazione tra assunzione di alcol e livelli virali.

La valutazione della quantit? di alcol non ha mostrato significative differenze tra i non-bevitori ed i bevitori moderati, tra i non-bevitori ed i forti bevitori o tra i bevitori moderati ed i forti bevitori.

Questa meta-analisi non ha mostrato alcuna associazione tra il consumo di alcol e le concentrazioni virali di HCV.

Queste osservazioni forniscono sostegno alla tesi che il danno epatico causato dall?alcol e dal virus dell?epatite C possa essere additivi.

Anand BS, Thornby J, Gut 2005; 54: 1468-1472

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Elevato turnover osseo con bisfosfonati connesso ad esiti peggiori metastasi oss

19 Apr 2006 Oncologia
Elevati livelli del marcatore N-telopeptide (Ntx) in pazienti con tumori metastatici sotto bisfosfonati sono predittivi di un aumento del rischio di eventi avversi correlati allo scheletro e di progressione della malattia. A prescindere dal tumore primario, il livello di riassorbimento osseo ? strettamente correlato alla patologia maligna dell’osso, e le implicazioni prognostiche del dosaggio dell’Ntx potrebbero essere ampiamente applicabili in ambito oncologico. I livelli elevati di marcatori di turnover osseo sembrano identificare un gruppo di pazienti che non rispondono all’attuale terapia, e potrebbero necessitare di ulteriori terapie anti-riassorbimento o di variazioni nella propria terapia, oppure potrebbero essere candidati per studi su agenti innovativi. Su queste basi, i medici dovrebbero misurare con regolarit? i livelli di Ntx nei pazienti con metastasi ossee come supporto per la guida del trattamento.
(J Clin Oncol 2005; 23: 4821-2 e 4925-35)

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Ictus: utile terapia shock per ipertonia arto superiore

19 Apr 2006 Neurologia
La terapia ESWT (Extracorporeal Shock Wave Therapy) pu? ridurre l’ipertonia nelle mani e nel polso dopo un ictus, ed i benefici persistono per almeno 12 settimane dopo il trattamento. L’ESWT ha comprovato la propria utilit? nel trattamento di varie malattie di ossa e tendini, ma i dati sul suo uso per l’ipertonia muscolare erano finora limitati. In base al presente studio, la terapia shock pu? risultare utile nella diminuzione della tonicit? dei flessori in pazienti con spasmi della mano, e potrebbe aprire nuove aree di ricerca nel trattamento dell’ipertonia. Proprio per questo, sono in programma ulteriori studi in materia.
(Stroke 2005; 36: 1967-71)

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La chemioprevenzione del tumore colon-retto con alto dosaggio di Aspirina ha eff

18 Apr 2006 Oncologia

Studi clinici di breve periodo che hanno impiegato l?Aspirina per la prevenzione dell?adenoma colorettale ricorrente hanno fornito una prova convincente di una relazione causale tra Aspirina e neoplasia colorettale.

Tuttavia i dati nel lungo periodo riguardo al rischio di tumore del colon e del retto con l?impiego dell?Aspirina e di altri farmaci antinfiammatori non steroidei ( FANS ) sono limitati.

L?obiettivo dei Ricercatori del Massachusetts General Hospital e dell?Harvard Medical School a Boston ? stato quello di esaminare l?influenza dell?Aspirina e dei FANS nella prevenzione del tumore colorettale.

Lo studio di tipo prospettico ? stato eseguito su 82.911 donne arruolate nel Nurses? Health Study.

Nell?arco di 20 anni, sono stati documentati 962 casi di carcinoma colorettale.

Tra le donne che regolarmente facevano uso dell?Aspirina ( 2 o pi? compresse da 325mg alla settimana ) il rischio relativo ( RR ) per il tumore del colon-retto ? stato 0.77 rispetto all?uso non regolare.

Tuttavia, una significativa riduzione del rischio ? stata osservata solo dopo pi? di 10 anni di impiego del farmaco.

Il beneficio ? apparso associato alla dose: rispetto alle donne che non hanno riferito alcun uso, il rischio relativo di tumore ? stato di 1.10 per le donne che hanno assunto 0.5-1.5 compresse di Aspirina standard a settimana, 0.89 per 2-5 compresse a settimana, 0.78 per 6-14 compresse a settimana e 0.68 per pi? di 14 compresse.

Le donne che hanno fatto uso di pi? di 14 compresse di Aspirina per pi? di 10 anni presentavano un rischio relativo di 0.47.

Una simile relazione dose-risposta ? stata trovata anche per gli altri farmaci antinfiammatori.

L?incidenza di gravi sanguinamenti gastrointestinali per 1000 persone-anno ? risultata dose-correlata: 0.77 per le donne che non hanno assunto l?Aspirina, 1.07 per 0.5-1.5 compresse di Aspirina a settimana, 1.07 per 2-5 compresse, 1.40 per 6-14 compresse e 1.57 per pi? di 14 compresse.

Questo studio ha dimostrato che il regolare impiego di Aspirina per un lungo periodo ? in grado di ridurre il rischio di tumore del colon e del retto.
Gli altri FANS appaiono avere lo stesso effetto.
Tuttavia, il beneficio prodotto dall?Aspirina non ? evidente prima dei 10 anni e l?effetto massimo si ottiene assumendo pi? di 14 compresse da 325mg di Aspirina a settimana.

I dati di questo studio hanno indicato che la chemioprevenzione del carcinoma del colon e del retto con l?impiego dell?Aspirina richiede lunghi periodi di trattamento e dosaggi pi? alti di quelli impiegati nella prevenzione della malattia cardiovascolare.
Il rischio dose-correlato di sanguinamento gastrointestinale deve essere tenuto presente.

Chan AT et al, JAMA 2005; 294: 914-923

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Tiroide lenta, il cuore anche

Che i mali non vengano mai soli non ? solo un luogo comune n? un malaugurio, ma solo l’evidenza di una complessit? che appartiene all’organismo umano (e animale). Va da s? che se qualche ingranaggio del meccanismo vitale rallenta, si rovina o funziona male o in modo non adeguato, tutta la macchina ne risente. Non a caso esistono numerosissimi studi che testimoniano, con dati statistici o con spiegazioni fisiologiche, tali associazioni maligne. E il modello si ripete anche per chi soffre di disturbi alla tiroide. L’associazione dell’ipotiroidismo con la patologia cardiovascolare, per esempio, ? stata ampiamente dimostrata, ed ? ipotizzabile e, anzi, accettata, la conclusione che il rischio cardiovascolare aumenti con la gravit? della disfunzione ghiandolare.

Questione di sfumature
Ma non sempre il disturbo tiroideo ? palesemente manifesto, in quanto esistono forme subcliniche, caratterizzate da elevati livelli di tireotropina (TSH o ormone tiroide stimolante) e normali livelli di tiroxina (T4 o ormone tiroideo). Questa variante interessa il 10% delle donne ultrasettantenni, e quote leggermente pi? basse negli uomini, ma la sua prevalenza tende ad aumentare con l’et?. A livello clinico, si registrano, come per la forma pienamente manifesta, molti fattori di rischio cardiovascolare. Per esempio, si hanno concentrazioni maggiori del colesterolo totale e delle LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo), aumentano i livelli di proteina C reattiva (coinvolta nei processi infiammatori) e la probabilit? di sviluppare aterosclerosi. Per quanto gli studi in proposito siano contraddittori e poco chiarificatori, l’ipotesi di un collegamento tra le due condizioni patologiche non pu? essere escluso del tutto. In effetti, sono molti i lavori scientifici in cui non ? stato possibile rilevare l’associazione tra ipotiroidismo subclinico e la mortalit? per cause cardiovascolari, ma se esiste una gradualit? della gravit? dell’ipotiroidismo conclamato e l’intensit? del rischio cardiovascolare, allora potrebbe anche esistere la possibilit? di stabilire una gradualit? della forma subclinica e stratificare cos? il rischio. Da questo presupposto hanno avuto origine due studi, chiaramente con l’obiettivo di definire l’ambito di gravit? in cui era necessario intervenire con terapie idonee a normalizzare la funzionalit? tiroidea. Tradotto in termini operativi: definire il livello soglia della concentrazione di TSH oltre il quale ? ragionevole trattare il paziente.

Soglia di attenzione
I soggetti del campione in studio non sono stati selezionati in base ad alcun criterio di inclusione e dei quasi tremila di uno e dei circa duemila dell’altro sono stati misurati i livelli di TSH nel sangue. Con questo metodo ? stato possibile osservare una popolazione senza caratteristiche cliniche peculiari, che si avvicinasse il pi? possibile alla popolazione generale. Negli anni di monitoraggio, quattro in un caso, 20 nell’altro, si ? potuto verificare la prevalenza di malattie cardiovascolari, come l’insufficienza cardiaca congestizia e la malattia coronarica. Nello studio pi? breve l’et? oscillava tra i 70 e i 79 anni, e la percentuale di pazienti con ipotiroidismo subclinico era simile a quella della popolazione generale (12,4%); qui l’incidenza dell’insufficienza cardiaca era significativamente pi? elevata nei pazienti con la forma moderata e grave mentre non aumentava tra i pazienti con la forma lieve. Nel monitoraggio ventennale i pazienti erano pi? giovani, mediamente cinquantenni, la percentuale con la disfunzione subclinica era, ovviamente, pi? bassa, 5,6%, e la frequenza degli eventi cardiovascolari, in particolare la malattia coronarica, aumentava in modo significativo solo nei casi di ipotiroidismo subclinico in forma grave. La gradualit? della disfunzione tiroidea veniva scandita da intervalli di concentrazione del TSH, per cui nella forma grave era pari o superava le 10 mIU/L, in quella moderata era tra 7 e 9,9 mIU/L, in quella lieve tra 4,5 e 6,9 mIU/L. Sovrapponendo i due risultati emerge che i pazienti a rischio maggiore sono quelli con i livelli di TSH oltre i 10 mIU/L, che il trattamento potrebbe essere indicato, soprattutto nei pazienti molto anziani e, infine, che esiste una finestra di valori, tra 2 e 7 mIU/L in cui il rischio ? talmente basso che la terapia tiroidea probabilmente non servirebbe per prevenire le malattie cardiovascolari.

Simona Zazzetta

Fonte
Rodondi N et al. Subclinical hypothyroidism and the risk of heart failure, other cardiovascular events, and death. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2460-6

Walsh JP et al. Subclinical thyroid dysfunction as a risk factor for cardiovascular disease. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2467-72

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La carne rossa e la carne rossa cotta ad alte temperature sono associate ad un a

17 Apr 2006 Oncologia

La cottura ad alte temperature della carne rossa produce amine eterocicliche ( HCA ) ed idrocarburi aromatici policiclici ( PAH ).
La carne processata contiene N-nitroso composti.

L?assunzione di carne pu? aumentare il rischio di tumore poich? le amine eterocicliche, gli idrocarburi aromatici policiclici ed i nitroso-composti sono cancerogeni nei modelli animali.

Uno studio coordinato da Ricercatori del National Cancer Institute ha valutato la relazione tra carne, carne processata , HAC ed il benzopirene, un PAH, ed il rischio di adenoma del colon-retto in 3.696 casi di adenoma del lato sinistro ( colon discendente, colon sigmoide [ sigma ], retto ) e 34.917 controlli risultati negativi all?endoscopia.

L?assunzione con la dieta ? stata valutata utilizzando un questionario.

L?assunzione di carne rossa ? risultata associata ad un aumentato rischio di adenoma del colon discendente e del sigma ( odds ratio, OR = 1.26 ), ma non dell?adenoma del retto.

E? stata trovata un?associazione tra maggiore assunzione di pancetta affumicata ( bacon ) e di salsiccia ed il rischio di adenoma colorettale ( OR = 1.14 ).

Questo studio ha mostrato che la carne rossa e la carne rossa cotta ad alte temperature sono associate ad un aumentato rischio di adenoma del colon-retto.

Sinha R et al, Cancer Res 2005; 65: 8034-8041

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Sindrome metabolica: singolo fattore genetico o ambientale responsabile

Un singolo fattore base potrebbe collegare tutti i componenti centrali della controversa sindrome metabolica. Sono comunque necessari ulteriori studi per stabilire se questo fattore sia genetico o ambientale. Il presente studio, dunque, supporta le attuali definizioni della sindrome metabolica, ed indirettamente la sua stessa esistenza. Il modello proposto, basato su un singolo fattore, si ? dimostrato valido in tre diverse popolazioni. Probabilmente la sindrome metabolica ha una base genetica, ma una combinazione di fattori ambientali e comportamentali potrebbero contribuire alla sua espressione nei soggetti predisposti. Questi fattori comprendono ipertensione, anomalie lipidiche, insulinoresistenza ed obesit?. La questione riguardante l’esistenza ed i componenti della sindrome metabolica ha generato molto dibattito, e rimane molto controversa ma anche complessa.

Fonte: Diabetes Care 2006; 29: 113-22 – 19/01/06

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Aterosclerosi: nuovi meccanismi e nuovi trattamenti

16 Apr 2006 Cardiologia

Nel corso dell?European Society of Cardiology ( ESC ) Congress 2005 sono stati presentati diversi lavori riguardanti la malattia vascolare aterosclerotica.

Khoo et al, Oxford ( UK ), hanno valutato l?effetto della deficienza di tetraidrobiopterina ( BH4 ) sulla progressione dell?aterosclerosi.
L?esperimento ? stato effettuato su topi knockout per apo-E ( inclini all?aterosclerosi ) e topi hph1 mancanti di BH4.
Dopo 12 settimane di dieta ad alto contenuto di grassi, i Ricercatori hanno trovato che i livelli aortici di BH4 erano aumentati nei topi mancanti di BH4.
Inoltre, i topi deficienti per BH4 avevano sviluppato in modo significativo pi? placche aterosclerotiche.
Pertanto l?aterosclerosi pu? essere accelerata da una deficienza sistemica di BH4.

Kwak et altri, Ginevra ( CH ), hanno studiato il ruolo della connessina 37 nel processo aterosclerotico.
Un polimorfismo nel gene umano della connessina 37 pu? rappresentare un potenziale marker prognostico per l?aterosclerosi.
E? stato inoltre dimostrato che l?espressione della connessina 37 ? alterata nelle lesioni aterosclerotiche.
L?esperimento ? stato eseguito confrontando topi mancanti di apo-E e della connessina 37 con quelli deficienti per apo-E, dopo una dieta aterogenica.
E? stato trovato che la deposizione lipidica era 1,5-1,6 volte maggiore nei topi deficienti per la connessina 37 nell?aorta toraco-addominale e nell?aorta toraco-addominale, rispettivamente.
In questi topi ? stata osservata una pi? veloce migrazione attraverso l?endotelio dei macrofagi.
Si ritiene che la connessina 37 possa regolare il reclutamento dei leucociti nei siti di infiammazione.

Schoneveld et al, Utrecht ( NL ), hanno studiato l?iporesponsivit? di TLR ( recettore Toll-like ) dei leucociti nello sviluppo dell?aterosclerosi.
I Ricercatori hanno confrontato lo sviluppo di aterosclerosi nei topi knockout per l?apolipoproteina E in un periodo di 40 settimane, con quello di topi wild-type.
L?espressione di TLR2 e TLR4 ? aumentata nel tempo solo nei topi knockout per l?apo-E.
E? stato anche osservato che i livelli di IL-1b, IL-6, MIP-1 alfa e RANTES si sono ridotti nel tempo nei topi knockout per apo-E mentre sono aumentati nei topi wild-type.
Durante la progressione dell?aterosclerosi, l?espressione di TLR ? risultata aumentata mentre la responsivit? dei leucociti ai ligandi TLR ? diminuita.
Queste scoperte, indicano che un sistema immunitario innato iporesponsivo pu? essere importante nello sviluppo di aterosclerosi.

Braunersreuther et altri, Ginevra ( CH ), hanno studiato un nuovo antagonista delle chemochine, AANA-RANTES, ed i suoi effetti sulle lesioni aterosclerotiche nei topi.
I Ricercatori hanno trovato che l?iniezione di AANA-RANTES a topi knockout per LDLR ( recettore della lipoproteina a bassa densit? ) ha ridotto l?espressione sia del recettore delle chemochine che delle chemochine, ed ha anche ridotto l?infiltrazione dei leucociti, rispetto ai topi non-trattati.

Fonte: European Society of Cardiology ( ESC ) Congress, 2005

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