La risonanza magnetica cardiovascolare (Crm) costituisce una tecnica altamente accurata per lo studio delle coronaropatie, è superiore alla Spect e dovrebbe essere adottata subito in modo più ampio nei reparti di imaging diagnostico. È il verdetto di “Ce-Marc”, il più ampio trial prospettico di valutazione “nel mondo reale” della Cmr, compiuto da John P. Greenwood e colleghi dell’università di Leeds (UK). I ricercatori hanno coinvolto 752 pazienti con sospetta angina pectoris e almeno un fattore di rischio cardiovascolare, sottoponendoli all’esecuzione di una Cmr, una Spect e un’angiografia coronarica Rx, tecnica invasiva impiegata come standard di riferimento. L’esame Cmr ha compreso test di perfusione a riposo e sotto stress farmacologico con adenosina, cine imaging, enhancement tardivo con gadolinio, e coronarografia Rm. L’esame Spect gatizzato rest e stress con adenosina è stato svolto con (99m)Tc-tetrofosmina. Il 39% dei partecipanti ha evidenziato una malattia coronarica significativa, dimostrata mediante angiografia. La Cmr multiparametrica ha fatto registrare una sensibilità dell’86,5%, una specificità dell’83,4%, un valore predittivo positivo del 77,2% e negativo del 90,5%. I corrispondenti valori della Spect sono stati, nell’ordine, 66,5%, 82,6%, 71,4% e 79,1%. I valori di sensibilità e predittività negativa di Cmr e Spect sono dunque risultati differenti in modo significativo; non così quelli di specificità e predittività positiva.
I pazienti affetti da artrite reumatoide trattati con antagonisti del fattore di necrosi tumorale alfa (anti-Tnf-alfa) sembrano correre un rischio lievemente maggiore di sviluppare un linfoma, in particolare a cellule B. Quest’ultimo farebbe parte di una delle nuove entità diagnostiche definite dall’Oms nel 2008 come “disordini linfoproliferativi associati a immunodeficienza iatrogena”, ossia insorti in pazienti trattati con agenti immunosoppressivi per malattie autoimmuni. Il dato deriva da una meta-analisi – effettuata da Anna K. Wong, della Ucsd school of medicine di San Diego (Usa), e collaboratori – di tutti i trial randomizzati controllati, pubblicati tra il 2000 e il 2009, relativi a soggetti con artrite reumatoide trattati con farmaci biologici. In tutto hanno soddisfatto pienamente i criteri di inclusione 14 studi, per un totale di 5.179 pazienti trattati con anti-Tnf-alfa (in particolare con etanercept, adalimumab e infliximab) e 2.306 controlli. Nel gruppo controllo è stato rilevato lo sviluppo di neoplasie ematolinfoidi in 4 soggetti (0,17%), mentre tra i pazienti trattati con anti-Tnf-alfa si sono registrati 7 linfomi (0,21%). I tassi complessivi aggiustati sono risultati pari a 0,36 linfomi per 1.000 anni-persona nei pazienti non in terapia con farmaci biologici vs 1,65 linfomi per 1.000 anni-persona nei soggetti in cura con anti-Tnf-alfa. Le cifre suggeriscono pertanto un aumento della frequenza di linfomi nel gruppo trattato, anche se la differenza aggiustata fra tassi, pari a 1,29 linfomi per 1.000 persone-anno, non è statisticamente significativa.
Clin Rheumatol, 2011 Nov 18. [Epub ahead of print]
Sui farmaci di fascia C che, in base a quanto prevede la Manovra di dicembre, usciranno dalla farmacia perdendo l’obbligo di ricetta l’Aifa non pubblicherà nessuna lista, ma si limiterà a definire i criteri che guideranno la selezione. E’ quanto ha precisato l’Agenzia del farmaco in risposta alle dichiarazioni rilasciate ieri da Federfarma, il sindacato dei titolari di farmacia, nel corso del convegno organizzato a Roma sulle liberalizzazioni del governo Monti. «I farmaci che verranno “delistati” dall’Aifa» ha detto il presidente di Federfarma, Annarosa Racca «saranno parecchi, me ne sono fatta un’idea scorrendo la lista sulla base di quanto prevede la Manovra». Di qui la precisazione dell’Agenzia, affidata a una nota diffusa nel pomeriggio: «Raggiunto a margine di un incontro con il ministro della Salute Balduzzi, il direttore generale dell’Aifa Luca Pani ha precisato che l’Agenzia non produrrà ne diffonderà alcuna lista, ma sta solo lavorando ai criteri relativi ai farmaci di Fascia C che saranno disponibili nelle parafarmacie, criteri che verranno sottoposti al Ministero come previsto dalla normativa».
Ai medici ha fruttato poco più di un miliardo di euro, ad Asl e ospedali circa 74 milioni. È la contabilità dell’intramoenia 2010 così come emerge da uno studio pubblicato da Il Sole-24 Ore Sanità sulla base dei dati che arrivano dalla Relazione 2010 della situazione economica del paese, licenziata dal ministero delle Finanze soltanto a fine dicembre. Ne emerge un bilancio che riconferma il segno meno degli ultimi anni: l’attività libero professionale è costata nel 2010 agli italiani 1,13 miliardi, per una spesa procapite di 18,64 euro. Rispetto al 2009 fa circa un milione di euro in meno, mentre se il confronto si fa con il 2007 la differenza arriva addirittura a 122 milioni. Rispetto al primo quadriennio di vita dell’intramoenia l’inversione di tendenza è netta: nel 2004 la spesa totale ammontò a 89 milioni e nei quattro anni successivi crebbe costantemente fino al miliardo e 200 milioni del 2007. Va peraltro detto che i medici la fase declinante manco l’anno sentita: nel quadriennio 2007-2010, infatti, i loro introiti sono aumentati di 59 milioni grazie all’incremento progressivo della loro quota parte, che dall’87% del 2004 è oggi salita al 94%. Significative, infine, anche le differenze regionali in termini di spesa procapite: nel 2010, gli emiliani hannoi speso in attività libero professionale 32,5 euro a testa, sette centesimi in meno dei toscani. I calabresi, invece, hanno speso in intramoenia 4,7 euro ciascuno e i molisani 5 euro.
Molti fattori di rischio, che avrebbero potuto essere riconosciuti al momento della conferma diagnostica della gravidanza, sono associati al rischio di avere bambini nati morti. Ogni elemento, però, rende conto soltanto di una piccola quota della varianza nell’ambito di questo possibile outcome. Lo ha stabilito uno studio di popolazione multicentrico caso-controllo condotto tra il 2006 e il 2008 dai ricercatori del Stillbirth collaborative research network writing group con la collaborazione di 59 ospedali statunitensi in grado di accedere ad almeno il 90% dei parti nel paese. Il team ha arruolato i residenti con almeno un parto di un bambino nato morto, e ha raccolto un campione rappresentativo di bambini nati vivi come gruppo controllo. La ricerca è stata condotta su 614 casi e 1.816 parti normali. All’analisi multivariata sono risultati associati in modo indipendente alla natimortalità un’ampia serie di fattori: l’etnia, un pregresso parto di un bambino nato morto, una condizione di nulliparità con o senza pregresse perdite del feto precedenti alle 20 settimane di gestazione, la presenza di diabete (odds ratio, Or vs assenza di diabete: 2,50), un’età della madre > 40 anni (Or vs 20-34 anni: 2,41), il gruppo sanguigno AB della madre (Or vs gruppo 0: 1,96), una storia di tossicodipendenza (Or vs nessun precedente uso di sostanze d’abuso: 2,08), l’abitudine al fumo di sigaretta nei 3 mesi precedenti la gravidanza (Or vs nessuna sigaretta: 1,55), l’obesità o il sovrappeso (Or vs normopeso: 1,72), il fatto di non convivere con un partner (Or vs convivenza con il coniuge: 1,62), la molteplicità di partner (Or vs monogamia: 4,59).
I pazienti con fibrillazione atriale hanno un significativo rischio di ictus. L’entità di tale rischio dipende dalla presenza o assenza di altre condizioni che sono state utilizzate per sviluppare degli schemi di stratificazione del rischio. Lo schema più comune è il CHADS2. Questo strumento prende in considerazione 5 variabili per la definizione dello score: Scompenso cardiaco, Ipertensione, Età >= 75 anni, Diabete, Precedente ictus o TIA –con questo ultimo dato che vale doppio. Secondo questo schema i pazienti sono stratificati in alto, medio e basso rischio, destinando alla terapia con anticoagulanti orali quelli ad alto rischio, ad anticoagulanti o aspirina quelli a rischio intermedio mentre, per quelli a basso rischio, c’è l’indicazione ad utilizzare l’aspirina. Recenti studi hanno evidenziato che per i pazienti a rischio intermedio l’uso degli anticoagulanti orali riduce il numero di eventi senza aumentare gli effetti collaterali, viceversa nei pazienti a basso rischio sembrerebbe che l’aspirina non riduca il rischio di eventi tromboembolici. Da qui la necessità di identificare i pazienti “realmente a basso rischio”, che non necessitano di terapia antitrombotica, a differenza di tutti gli altri che dovrebbero essere avviati alla terapia anticoagulante orale.
Un ampio studio di coorte è stato realizzato in Danimarca analizzando 121.280 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare ricoverati in ospedale e non trattati con antagonisti della vitamina K nel periodo compreso fra il 1997 ed il 2006. In particolare si è voluto confrontare il valore dello schema predittivo CHADS2 con il CHA2DS2-VASc che utilizza nella valutazione anche la presenza di malattie vascolari, l’età compresa fra i 65 e i 74 anni ed il sesso. Già nel 2006 le linee guida ACC/AHA/ESC avevano considerato come fattori di rischio addizionali (anche se meno validati o più deboli) il sesso femminile, l’età compresa fra i 65 e i 74 anni, le coronaropatie e l’ipertiroidismo. Dal 2006 si sono però accumulate evidenze più forti per questi fattori di rischio (ad eccezione che per l’ipertiroidismo) per cui si è ritenuto che debbano essere utilizzate nella valutazione del rischio. L’età maggiore o uguale a 75 anni e precedenti eventi ischemici hanno un valore doppio.
I risultati di questo studio (il più ampio studio di coorte mai realizzato sulla fibrillazione atriale non valvolare) hanno portato alla conclusione che lo score CHA2DS2- VASc sia più efficace nell’identificare i pazienti ad alto, medio e basso rischio di eventi tromboembolici rispetto allo CHADS2. In particolare uno score =0 del CHA2DS2-VASc era associato ad un rischio “realmente basso” e nessuna riduzione nell’incidenza di tromboembolismo era apportata dall’utilizzo degli anticoagulanti orali, mentre ciò avveniva nei pazienti con score=1 o con score 0-1 del CHADS2. L’analisi dei dati di questo studio ha inoltre evidenziato come il peso dei vari fattori di rischio non sia uguale all’interno dello stesso score. Per esempio nello score=1 del CHADS2, l’età maggiore o uguale a 75 anni era associata ad una più alta incidenza di eventi, mentre nello score=1 del CHA2DS2-VASc si registravano più eventi nei pazienti diabetici o di età fra i 65 e i 74 anni (quelli di età superiore avevano uno score=2).