La somminstrazione di 5-MTHF ? associata a prolungata sopravvivenza e a ridotta

I pazienti in emodialisi presentano un aumentato rischio di morbidit? e mortalit? cardiovascolare. Per questo motivo sono stati fatti tentativi con l?obiettivo di normalizzare l?iperomocisteinemia.

Ricercatori dell?Universit? di Bologna hanno compiuto uno studio randomizzato, prospettico, per determinare quali fattori di rischio fossero predittori di mortalit?, e se alti dosaggi di Folato o 5-Metiltetraidrofolato ( 5-MTHF ) fossero in grado di migliorare l?iperomocisteinemia e la sopravvivenza nei pazienti sottoposti ad emodialisi.

Allo studio hanno preso parte 341 pazienti, divisi in 2 gruppi: il gruppo A ? stato trattato con 50 mg per via endovenosa di 5-MTHF, mentre il gruppo B ha ricevuto 5 mg/die di Acido Folico per os.
Entrambi i gruppi sono stati trattati con Vitamina B6 e B12 per via endovenosa.

Dopo aver diviso i soggetti dello studio in quartili per i livelli della proteina C-reattiva ( CRP ), ? stato osservato che i pazienti del gruppo A e con livelli di CRP inferiori a 12 mg/l presentavano una pi? alta sopravvivenza, mentre nel gruppo B non ? stata riscontrata alcuna differenza nella sopravvivenza.

La proteina C-reattiva era il solo fattore di rischio predittivo di mortalit? ( RR=1.17; p=0.02 ).

L?et? della diagnosi, l?iperomocisteinemia, il polimorfismo MTHF, l?albuminemia, la lipoproteina ( a ) ed il folato non hanno influenzato il rischio di mortalit?.

La sopravvivenza nel gruppo A ? risultata pi? alta rispetto a quella del gruppo B ( in media, 36.2 mesi vs 26.1; p=0.03 ).

Lo studio ha indicato che la proteina C-reattiva, ma non l?iperomocisteinemia, ? il principale fattore di rischio per la mortalit? nei pazienti in emodialisi che ricevono supplementi vitaminici.
Il 5-MTHF somministrato per via endovenosa appare migliorare la sopravvivenza nei pazienti in emodialisi, indipendentemente dall?abbassamento dei livelli di omocisteina.

Cianciolo G et al, Am J Nephrol 2008; 28: 941-948

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Effetti nel lungo periodo della Finasteride sui livelli di PSA

Studi hanno dimostrato che la Finasteride ( Proscar ) riduce i livelli di PSA ( Prostate Specific Antigen ) di circa il 50% durante i primi 12 mesi di impiego.

Ricercatori della Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle hanno stimato gli effetti nel lungo periodo della Finasteride sui livelli di PSA negli uomini con e senza un tumore della prostata, al termine dello studio.

Sono stati analizzati i PSA seriali tra i partecipanti al Prostate Cancer Prevention Trial, sottoposti, al termine dello studio, a biopsia ( 928 con tumore e 8.620 con biopsia negativa ) o una diagnosi di tumore prostatico ( n = 671 ).

Nei soggetti senza tumore al termine dello studio, i livelli di PSA sono aumentati annualmente del 6% ( placebo ) e del 7% ( Finasteride ).

Tra coloro che hanno avuto una diagnosi di tumore della prostata, i livelli di PSA sono aumentati annualmente dell?11% ( placebo ) e del 15% ( Finasteride ) prima della diagnosi.

I soggetti con malattia tumorale ad alto grado ( Gleason 7 o superiore ) presentavano pi? alti aumenti di PSA rispetto ai soggetti con malattia a basso grado ( p < 0.001 ). Etzioni RD et al, J Urol 2005; 174: 877-881

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Incontinenza da prostatectomia radicale: la Duloxetina riduce la perdita urinari

Fino al 70% dei pazienti che si sottopongono a prostatectomia radicale si lamenta di perdita urinaria, ma l?incontinenza da stress che persiste 1 anno dopo l?intervento chirurgico interessa meno del 5% dei pazienti.

La Duloxetina ( Yentreve ) ? un inibitore della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina che produce sollievo dei sintomi dell?incontinenza urinaria da stress.

Uno studio ha valutato l?efficacia della Duloxetina nel management dell?incontinenza urinaria dopo prostatectomia radicale ed il suo impatto sui parametri urodinamici, come la pressione di chiusura uretrale massima ( MPCU ), abdominal leak point pressure ( ALPP ) e retrograde leak point pressure ( RLPP ).

Allo studio hanno partecipato 18 uomini con incontinenza urinaria da stress, 12 mesi dopo la prostatectomia radicale.

Tutti i pazienti sono stati sottoposti al test del pannolino ( pad test ) per quantificare il grado di urina persa, ed una valutazione urodinamica prima e dopo un trattamento della durata di 3 mesi con Duloxetina ? stata eseguita.

Alla valutazione di pretrattamento il valore medio di ALPP era 52.1cm H2O, MUCP era 52.5cm H2O, e RLPP era 43.1cm H2O.

Dopo 3 mesi di trattamento con Duloxetina, il valore medio di ALPP era 59.1cm H2O, MUCP era 67.3cm H2O, e RLPP era 45.1cm H2O.

L?impiego della Duloxetina ha comportato lieve aumento della pressione di chiusura uretrale massima ed una significativa riduzione della perdita urinaria.
L?azione della Duloxetina a livello dello sfintere estrinseco, fa si che il farmaco non rappresenti un?opzione di trattamento completo per l?incontinenza post-prostatectomia.

Zaharion A et al, Urol Int 2006; 77: 9-12

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Carcinoma prostatico metastatico androgeno-indipendente: la proteina C-reattiva

Studi sul rischio di cancro e sulla carcinogenesi molecolare ipotizzano un ruolo dell?infiammazione nello sviluppo e nella progressione del tumore.

E? stato verificato se specifiche proteine del sangue associate all?infiammazione fossero in grado di predire gli esiti negli uomini con tumore metastatico della prostata androgeno-indipendente ( AIPC ) sottoposti a chemioterapia a base di Docetaxel ( Taxotere ).

Sono stati conservati a -80 ?C i campioni di sangue basali ( prelevati al momento dell?arruolamento nello studio ) di 160 dei 250 pazienti arruolati nello studio ASCENT ( AIPC Study of Calcitriol ENhancing Taxotere ), uno studio clinico randomizzato, placebo-controllato, che ha confrontato la somministrazione settimanale di Docetaxel pi? alte dosi di Calcitriolo ( Rocaltrol ) con la somministrazione settimanale del solo Docetaxel.

Sono stati misurati con test immunologici i livelli di 16 citochine, chemochine, marcatori cardiovascolari o infiammatori.

La proteina C-reattiva ( CRP ) ? risultata essere un predittore significativo di una minore sopravvivenza generale ( hazard ratio [ HR ] di 1.41; P < 0,0001 ). Dopo l?inserimento dei valori di CRP in un modello multivariato con 13 variabili cliniche basali, solo elevati valori di proteina C-reattiva sono rimasti predittori significativi ( P < 0.0001 ) di una minore sopravvivenza. Dopo una classificazione in normali ( inferiori o uguali a 8 mg/mL ) o anormali ( superiori a 8 mg/mL ), i valori elevati di CRP sono risultati predittori significativi di minore sopravvivenza ( HR = 2.96; P = 0.001 ), cos? come l?emoglobina ( 0.007 ). Valori elevati di CRP sono anche risultati associati ad una minore probabilit? di diminuzione dei livelli di PSA ( odds ratio di 0.74; P = 0.007 ). In conclusione, elevate concentrazioni plasmatiche di CRP sembrano essere dei buoni predittori di scarsa sopravvivenza e di minore probabilit? di diminuzione dei livelli di PSA in risposta al trattamento per pazienti con carcinoma prostatico metastatico androgeno-indipendente in terapia con Docetaxel. Beer T M et al, Cancer 2008; 112: 2377-2383

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Ruolo della demenza nella sopravvivenza dei pazienti con malattia di Parkinson

Il rischio di demenza nella malattia di Parkinson ? alto con importanti conseguenze cliniche per i pazienti.
Nonostante ci?, il rischio assoluto di demenza e gli effetti di tale condizione sulla sopravvivenza nella malattia di Parkinson non sono noti.

Ricercatori del Stavanger University Hospital in Norvegia, hanno condotto uno studio longitudinale prospettico partendo da uno studio sulla prevalenza della malattia di Parkinson in Norvegia.
I pazienti sono stati rivalutati a 4, 8, 9, 10, 11 e 12 anni dal momento dell?identificazione della presenza di malattia di Parkinson.

In accordo con i criteri del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders ( terza edizione ), la diagnosi di demenza era basata su interviste al personale di assistenza, scale di valutazione cognitiva e test neuropsicologici.

In totale 223 pazienti con malattia di Parkinson sono stati inclusi nello studio e 140 ( 60% ) hanno sviluppato demenza entro la fine del periodo di osservazione.

Secondo i dati raccolti, l?incidenza cumulativa di demenza ? cresciua in maniera costante al crescere dell?et? e della durata della malattia di Parkinson e, subordinata alla sopravvivenza, aumenta dall?80% al 90% dopo i 90 anni.

Rispetto agli uomini, le donne vivono un numero maggiore di anni con malattia di Parkinson e con demenza.
A 70 anni, un uomo con malattia di Parkinson e senza demenza ha un?aspettativa di vita di 8 anni, 5 dei quali probabilmente liberi da demenza e 3 con demenza.

In conclusione, la demenza svolge un ruolo chiave nella sopravvivenza dei pazienti con malattia di Parkinson.

Buter TC et al, Neurology 2008; 70: 1017-1022

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Morti violente frequenti in sesso maschile e minoranze

Le morti violente dovute a violenza autoinflitta o interpersonale colpiscono in modo sproporzionato gli adulti giovani e di mezza et?, il sesso maschile ed alcune minoranze. In base ad un’indagine svolta negli USA su dati del 2006, il 55,9 percento di tutte le morti violente sono dovute a suicidio, seguite nell’ordine dai decessi dovuti ad omicidio o ad alterchi con la polizia, da quelle di intento indeterminato ed infine da quelle da colpi di arma da fuoco non intenzionali. Il suicidio ? pi? frequente nel sesso maschile, negli indiani americani e nei nativi dell’Alaska, nelle razze bianche non ispaniche e nei soggetti di et? compresa fra 45 e 54 anni, ed implica l’uso delle armi da fuoco. (MMWR Surveill Summ. 2009; 58: 1-44)

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Arteriosclerosi frenata da LDL e pressione normali

I pazienti coronaropatici che riducono fortemente i propri livelli di colesterolo LDL ed ottengono una pressione sistolica normale presentano la pi? lenta progressione dell’arteriosclerosi coronarica alla valutazione ecografica intravascolare: ci? supporta la gestione intensiva del rischio globale nei pazienti coronaropatici. Negli ultimi anni, l’avvento di statine pi? potenti e la componente educativa che esso ha comportato ha ottenuto il raggiungimento dei livelli target di colesterolo LDL in molti pazienti, ma far raggiungere un doppio traguardo al paziente non ? cosa facile: ? dunque importante motivarlo dimostrando che il raggiungimento di questo duplice traguardo pu? non soltanto rallentare la malattia, ma anche farla regredire. (J Am Coll Cardiol 2009; 53: 1110-5 e 1116-8)

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Uomini fumatori: un alto consumo di t? e caff? potrebbe ridurre il rischio di in

Il consumo di t? e caff? potrebbe ridurre il rischio di ictus in quanto tali bevande possiedono propriet? antiossidanti; inoltre il caff? potrebbe migliorare la sensibilit? all?insulina.

Ricercatori del Karolinska Institutet a Stoccolma in Svezia, hanno utilizzato i dati prospettici dello studio di coorte Alpha-Tocopherol, Beta-Carotene Cancer Prevention Study, che ha coinvolto 26.556 uomini finlandesi fumatori, di et? compresa tra 50 e 69 anni che non avevano mai sofferto di ictus.

Il consumo di t? e caff? ? stato valutato mediante uno specifico questionario.

Durante un periodo medio osservazionale di 13.6 anni, dal 1985 al 2004, sono stati osservati, in base ai dati dei registri nazionali, 2.702 infarti cerebrali, 383 emorragie cerebrali e 196 emorragie subaracnoidee.

Dopo aggiustamenti per et? e fattori di rischio cardiovascolare, sia il consumo di caff? sia quello di t? sono risultati inversamente associati, in maniera statisticamente significativa, al rischio di infarto cerebrale ma non a quello di emorragia cerebrale e di emorragia subaracnoidea.

Il rischio relativo multivariato di infarto cerebrale per gli uomini che rientravano nel gruppo con pi? alto consumo di caff? ( > 8 tazze al giorno ) ? stato 0.77 ( P<0.001 per la tendenza ). rispetto a quello degli uomini nel gruppo con pi? basso consumo ( < 2 tazze al giorno ). Il corrispondente rischio relativo che ha messo a confronto uomini nel gruppo a pi? alto consumo di t? ( >2 tazze al giorno ) con quelli del gruppo a minor consumo ( nessun consumo ) ? stato 0.79 ( P=0.002 per la tendenza ).

Questi risultati suggeriscono che un alto consumo di t? e caff? potrebbe ridurre il rischio di infarto cerebrale tra gli uomini, indipendentemente dai fattori di rischio cardiovascolari noti.

Larsson SC et al, Stroke 2008; 39: 1681-1687

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Testosterone provato come contraccettivo maschile

Dopo decenni di ritardi, il controllo ormonale delle nascite per il sesso maschile potrebbe essere vicino alla realizzazione: l’iniezione mensile di un contraccettivo basato sul testosterone risulta efficace al 99 percento nella prevenzione della gravidanza della partner. Nell’uomo il testosterone controlla la produzione di sperma, l’erezione ed il comportamento sessuale, e viene somministrato dall’esterno di solito per il trattamento di patologie che derivano dalla sua carenza. La ricerca di un equivalente maschile della pillola che sia disponibile commercialmente ? rimasta in stallo negli ultimi anni, in larga parte a causa della mancanza di interesse dell’industria farmaceutica, in cui lo sviluppo ? stato abbandonato nonostante la positivit? degli studi: il fenomeno probabilmente si deve alla supposizione che non vi sia molto mercato per un contraccettivo maschile che richieda impianti o iniezioni frequenti. D’altro canto, la somministrazione orale del testosterone non ? verosimile in quanto esso, se assunto per questa via, non risulta altrettanto efficace e potrebbe dare luogo ad epatotossicit?. (J Clin Endocr Metab online 2009, pubblicato l’8/5)

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Infezioni da S. aureus: efficaci nanoparticelle NO

In base ad un modello animale, le nanoparticelle a rilascio prolungato di ossido nitrico (NO-np) presentano attivit? antimicrobica e dermorigenerante nelle infezioni cutanee da S. aureus. I microorganismi tendono costantemente ed insidiosamente a superare i presidi terapeutici attualmente disponibili: questo approccio impiega un composto naturale che, oltre ad avere un’azione microbicida diretta, orchestra la risposta immune in un processo organizzato che porta ad un’accelerazione della risoluzione della malattia. Nelle formulazioni attualmente disponibili, le NO-np sono potenzialmente curative per le forme localizzate della malattia, che sono quelle pi? frequenti nel caso dello S. aureus, ed in particolare dello MRSA acquisito in comunit?. Esse inoltre potrebbero essere di particolare utilit? nella cura delle ulcere diabetiche o nella prevenzione nei pazienti ustionati o feriti in altri modi. (J Investigative Dermatol online 2009, pubblicato il 23/4)

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