Rapida efficacia di telaprevir nell’epatite C mai trattata

Nella maggior parte dei pazienti con infezione da Hcv di genotipo 1 mai trattati, la somministrazione di telaprevir pi? peginterferone (pegIfn) e ribavirina, rispetto al solo uso di pegIfn e ribavirina, migliora significativamente, in sole 24 settimane di terapia, i tassi di risposta virologica sostenuta (ossia la quota di pazienti con Hcv Rna non rilevabile 24 settimane dopo l’ultima dose pianificata del trattamento). ? questo l’esito del trial internazionale di fase 3 Advance – coordinato da Ira M. Jacobson, del Weill Cornell medical college di New York – in cui 1.088 pazienti infetti da Hcv di genotipo 1 e mai trattati sono stati randomizzati in tre gruppi di trattamento: telaprevir combinato con pegIfn alfa-2a e ribavirina per 12 settimane (gruppo T12Pr), seguite dal trattamento con solo pegIfn-ribavirina per 12 settimane se l’Rna dell’Hcv fosse risultato non rilevabile alla 4a e alla 12a settimana oppure per 36 settimane qualora l’Rna dell’Hcv fosse risultato rilevabile in qualunque momento; telaprevir con pegIfn-ribavirina per 8 settimane e placebo con pegIfn-ribavirina per 4 settimane (gruppo T8Pr), seguite da 12 o? 36 settimane di pegIfn-ribavirina? sulla base degli stessi criteri dell’Rna Hcv; placebo pi? pegIfn-ribavirina per 12 settimane, seguite da 36 settimane di pegIfn-ribavirina (gruppo Pr). Un numero significativamente maggiore di pazienti dei gruppi T12Pr o T8Pr, rispetto a quelli del gruppo Pr, ha ottenuto una risposta virologica sostenuta (endpoint primario): 75% e 69%, rispettivamente, contro il 44%. In totale il 58% dei soggetti trattati con ribavirina ? risultato eleggibile a ricevere 24 settimane di trattamento totale. Nei pazienti trattati con telaprevir, peraltro, si sono avuti con maggiore frequenza casi di anemia, effetti collaterali gastrointestinali e rash cutanei rispetto a quanti avevano ricevuto solo pegIfn-ribavirina. Il tasso globale di? discontinuazione del regime di trattamento a causa di eventi avversi si ? attestato sul 10% nei gruppi T12Pr e T8Pr e sul 7% in quello Pr.

Engl J Med, 2011; 364(25):2405-16

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Focolaio tedesco di E. coli: i meccanismi della virulenza

? stato caratterizzato il ceppo di Escherichia coli O104:H4 virulento responsabile dell’outbreak di sindrome emolitico uremica e diarrea con melena in Germania. La pericolosit? risiederebbe nell’aumento dell’aderenza all’epitelio intestinale del ceppo, che potrebbe facilitare l’assorbimento sistemico della tossina Shiga, spiegando cos? la forte progressione verso la sindrome emolitico uremica. Il focolaio dimostra che profili miscelati di virulenza tra patogeni enterici, introdotti in popolazioni suscettibili, possono determinare conseguenze estreme per le persone infette. ? la conclusione tratta da Martina Bielaszewska, dell’universit? di M?nster, e collaboratori, dopo l’analisi laboratoristica dei campioni di feci di 80 pazienti inviati al Laboratorio nazionale di consulenza per la sindrome emolitico uremica della citt? tedesca. Gli isolati sono stati sottoposti a screening mediante Pcr per i geni virulenti di E. coli produttore di tossina Shiga e per altre caratteristiche specifiche del ceppo dell’outbreak. ? cos? emerso come tutti gli isolati fossero del clone Husec041, e che presentassero i medesimi profili di virulenza, in cui erano combinati tipici loci di E. coli produttori di tossina Shiga e di E. coli enteroaggregativi, con fenotipi che portavano sia alla produzione di tossina Shiga 2 sia ad aderenza aggregativa a cellule epiteliali. Inoltre gli isolati hanno mostrato un esteso spettro beta-lattamasico, assente nel fenotipo Husec041.

Lancet Infect Dis, 2011 Jun 22. [Epub ahead of print]

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La vitamina D ha un importante ruolo protettivo nelle patologie neurologiche

In occasione del 63? Congresso dell’American Academy of Neurology (Honolulu, 9-16/4/2011) sono stati presentati diversi studi sul ruolo della vitamina D in diverse patologie neurologiche e psichiatriche. Emerge oramai chiaramente che la vitamina D si comporta come un neurosteroide in grado di regolare la neurotrasmissione. Sembra inoltre, che essa possieda anche propriet? neuroprotettive e neuroimmunomodulatrici. Va inoltre sottolineato, che i recettori cerebrali per la vitamina D sono posti in aree critiche per le funzioni cognitive quali la corteccia cerebrale e l’ippocampo. Il Framingham Offspring Study, condotto su una coorte di 1382 pazienti con et? media di 60 anni, ha evidenziato che bassi livelli di vitamina D sono associati a riduzione del volume dell’ippocampo ed a peggiori prestazioni cognitive1 . Un ulteriore studio condotto su una coorte di 5.596 pazienti di sesso femminile con et? media di 80 anni, distinta in due gruppi sulla base dell’assunzione settimanale di vitamina D (inadeguata: minore di 35 microgrammi/settimana; adeguata: maggiore o uguale di 35 microgrammi/settimana), ha dimostrato una ridotta funzione cognitiva nelle pazienti con assunzione inadeguata di vitamina D sulla base della valutazione del punteggio “Short Portable Mental State Questionnaire” (SPMSQ)2. I livelli di vitamina D sembrano anche influenzare il controllo dell’andatura. L’indagine, svolta su 411 pazienti di entrambi i sessi con et? media di 70 anni, ha dimostrato una correlazione inversa tra i livelli della vitamina ed il coefficiente di variabilit? dello “stride time” (tempo intercorrente tra l’inizio del contatto con il suolo di un piede e l’inizio del contatto successivo dello stesso piede), misura sensibile del controllo dell’andatura3. La vitamina D ha mostrato di modulare i livelli di cAMP e la produzione di citochine proinfiammatorie, chiarendo ulteriormente il suo possibile ruolo protettivo nella sclerosi multipla4. Inoltre, bassi livelli di vitamina D risultano di pi? frequente riscontro in pazienti con mielite traversa ricorrente/neuromielite ottica rispetto a soggetti con mielite traversa idiopatica5. Infine, uno studio caso-controllo retrospettivo che ha confrontato 86 pazienti colpiti da ictus ischemico acuto (et? media 69 anni) con un gruppo di pazienti senza ictus, ma con simili comorbidit?, ha dimostrato un livello di vitamina D significativamente pi? basso nei pazienti con ictus, indicando che bassi livelli di vitamina D sono da considerare possibili fattori di rischio per la patologia cerebrovascolare ischemica acuta6.
Bibliografia
1. Karakis I et al. Serum vitamin D concentrations and subclinical indices of brain aging: the Framingham Offspring Study. Neurology 2011(suppl 4):76:A2.
2. Annweiler C et al. Dietary Intake of vitamin D predict cognitive function among older community-dwellers. Neurology 2011(suppl 4):76:A5.
3. Allali G et a. The influence of vitamin D on gait control in older adults. Neurology 2011(suppl 4):76:A74.
4. Salinthone S et al. Vitamin D treatment modulates cyclic AMP levels and production of pro-inflammatory cytokines: implications for MS. Neurology 2011(suppl 4):76:A188.
5. Mealy MA et al. A comparison of vitamin D levels in patients with idiopathic TM and NMO/recurrent TM. Neurology 2011(suppl 4):76:A536.
6. Azar L et al. Vitamin D Deficiency and the risk of acute ischemic stroke. Neurology 2011(suppl 4):76:A92.

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Evitare le cadute dell’anziano con podalgia

1 Set 2011 Geriatria

Un programma articolato di podiatria consente di ridurre il tasso di cadute degli anziani residenti in comunit? e condizionati nei movimenti da dolori ai piedi. ? questo il dato emerso da una ricerca australiana coordinata da Hylton B. Menz, del Musculoskeletal research centre, presso La Trobe university, a Bundoora Victoria. L’indagine, randomizzata e controllata, ha preso in esame 305 anziani (et? media: 74 anni) di entrambi i sessi e residenti in comunit?, con dolore disabilitante ai piedi e a rischio aumentato di caduta. Per un periodo di 12 mesi, 153 anziani sono stati sottoposti a una serie di interventi di podiatria e 152 a un programma di routine. Nel dettaglio, il programma di podiatria ha compreso ortosi del piede, consigli sulla scarpe da utilizzare e relativi sussidi, un programma casalingo di esercizi per piedi e caviglie, un libretto con un programma educativo per prevenire le cadute e podiatria di routine per 12 mesi. Nel gruppo di controllo, invece, ci si ? limitati a un programma routinario di podiatria. Durante lo studio, si sono registrate 264 cadute. Nel primo gruppo il numero delle cadute si ? ridotto del 36% rispetto al gruppo di controllo, con una frattura nel primo gruppo e sette nel secondo. Miglioramenti significativi negli anziani sottoposti al programma multivariato di podiatria hanno riguardato, paragonato al gruppo di controllo, il rinforzamento dell’arto (eversione della caviglia), il range di mobilit? (dorsiflessione e inversione/eversione della caviglia) e il bilanciamento (oscillazione posturale sul pavimento a piedi nudi e range di bilanciamento massimo indossando le scarpe). Considerando il suo costo irrisorio e la semplicit? di realizzazione, il programma multivariato di podiatria, sottolineano gli esperti, ? da incentivare e integrare alla podiatria di routine.

BMJ, 2011; 342:d3411

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Screening del cancro colorettale: l’esperienza veneta

31 Ago 2011 Oncologia

I programmi di screening del cancro colorettale basati sui test immunochimici (iFobt) fecali si caratterizzano per un’elevata performance in termini di sensibilit?, valutata attraverso i tassi di cancro intervallo. Il dato emerge da 5 programmi di screening condotti nella Regione Veneto da Manuel Zorzi dell’Istituto oncologico veneto Irccs di Padova, e collaboratori: il piano utilizzato si ? infatti distinto per i tassi ridotti di tumori non rilevati dallo screening e diagnosticati durante l’intervallo (singolo iFobt, soglia di sensibilit?: 100 ng Hb/ml, intervallo tra gli screening di 2 anni). L’analisi si ? basata su un follow-up di 486.306 anni-persona e i tumori intervallo sono stati identificati in soggetti che avevano avuto un risultato negativo allo screening condotto nel periodo 2002/2007. Globalmente, sono stati diagnosticati 126 tumori intervallo rispetto a 572 tumori attesi. Le incidenze proporzionali erano pari a 15,3% e 31,0% nel primo e secondo anno-intervallo con una sensibilit? episodica globale del 78,0%. La sensibilit? si ? rivelata maggiore per i maschi rispetto alle femmine (80,1% vs 74,8%); non sono state osservate differenze in base all’et?, al sito anatomico o fra i diversi programmi. La sensibilit? di iFobt si ? attestata sull’82,1%.

Gut, 2011; 60(7):944-9

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Iud, inserimento errato abbassa efficacia

Uno studio retrospettivo statunitense condotto su un campione di donne gravide nonostante l’uso di un dispositivo intrauterino (Iud) dimostra che la presenza della spirale non ? “di per se” garanzia di efficacia anticoncezionale. Lo dimostrano i risultati di uno studio retrospettivo condotto da Elysia Moschos e Diane M. Twickler, dell’University of Texas Southwern Medical Center, su 42 donne con un’et? media di 26 anni con una storia di posizionamento di Iud e positivit? alla gonadotropina corionica nel siero al primo trimestre. Si sono avute 31 gravidanze intrauterine (Iup), 3 ectopiche e 8 a localizzazione ignota. In 36 casi ? stato visualizzato lo Iud mediante ecografia e imaging 2D: 21 dispositivi (pi? della met?) erano malposizionati. Pi? precisamente, in riferimento alle 31 Iup, 8 Iud erano all’interno dell’endometrio, 17 erano malposizionati e 6 non sono stati visualizzati. Nel complesso, un errato inserimento dello Iud ha triplicato la probabilit? di una Iup. In 20 casi si ? avuta una gravidanza a termine, in 6 si ? registrata un’interruzione entro 20 settimane, in 5 non sono disponibili gli outcome. In alcuni casi le donne hanno riportato sanguinamenti, dolore o perdita dei fili, ma i sintomi non sono stati necessariamente predittivi di malposizionamento della spirale. In base a tali evidenze, gli autori consigliano l’esecuzione di un controllo ecografico (non effettuato routinariamente) subito dopo il posizionamento e, in seguito, una volta all’anno, per confermare la giusta collocazione del dispositivo intrauterino.

Am J Obstet Gynecol, 2011; 204(5):427.e1-6

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Emicrania correlata al ciclo, triptani a confronto

L’emicrania correlata alle mestruazioni (Mrm) ? una condizione dolorosa particolarmente difficile da trattare, cui si associano spesso disabilit? di vario genere. Uno studio multicentrico, randomizzato, incrociato e in doppio cieco, condotto da ricercatori italiani guidati da Gianni Allais, del Centro delle cefalee femminili dell’universit? di Torino, e Gennaro Bussone, dell’Istituto Neurologico Besta di Milano, e ha messo a confronto due triptani – frovatriptan e zolmitriptan – per valutarne efficacia e tollerabilit?. Il trial ha coinvolto un sottogruppo di 76 donne con mestruazioni regolari che assumeva le due molecole per il trattamento degli attacchi di emicrania correlati al ciclo mestruale. In sequenza randomizzata, ogni paziente ha assunto 2,5 mg di frovatriptan o 2,5 mg di zolmitriptan; dopo aver trattato con il primo farmaco tre episodi di emicrania in un periodo non superiore ai tre mesi, ogni paziente ha ricevuto l’altro farmaco. Sono stati cos? affrontati 73 attacchi di Mrm con frovatriptan e 65 con zolmitriptan. Il tasso di attenuamento del dolore dopo 2 ore ? stato del 52% con frovatriptan e del 53% con zolmitriptan, mentre la risoluzione completa del dolore dopo 2 ore ? stata ottenuta rispettivamente nel 22% e nel 26% dei casi. Dopo 24 ore, il 74% delle pazienti trattate con frovatriptan non avvertiva pi? alcun dolore (nell’83% si ? invece riscontrato un attenuamento del dolore); nel gruppo zolmitriptan le percentuali sono state, rispettivamente, del 69% e 82%. Infine, le recidive dopo 24 ore sono risultate significativamente inferiori con frovatriptan rispetto a zolmitriptan (15% versus 22%). Ambedue le molecole, concludono gli esperti, sono efficaci per il trattamento immediato degli attacchi, ma frovatriptan ? caratterizzato anche da un minore tasso di recidive e quindi da un effetto pi? sostenuto nel tempo.

Neurol Sci, 2011; 32 Suppl 1:S99-104

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Arterie rigide se cala l’area ossea corticale

Indipendentemente dall’et? e da altri fattori di rischio, nelle donne la rigidit? delle arterie risulta inversamente correlata all’area ossea corticale. In questo momento, per?, i pathways di segnalazione e molecolari specifici per il sesso che regolano l’interazione tra osso e arterie centrali non sono ancora stati completamente chiariti. A tali conclusioni giungono Francesco Giallauria, dell’universit? Federico II di Napoli, e collaboratori dopo un’analisi trasversale dei dati di 321 uomini (et? media: 68 anni) e 312 donne (et? media: 65 anni), arruolate dal Baltimore longitudinal study of aging. La rigidit? delle arterie ? stata valutata attraverso la velocit? di propagazione dell’onda di polso (Pwv) carotideo-femorale e l’area ossea corticale trasversale (cCsa) ? stata misurata tramite tomografia computerizzata a livello della porzione media della tibia. L’et? ? risultata correlata in modo significativo con Pwv negli uomini e nelle donne. In queste ultime, ma non negli uomini, l’et? ? apparsa associata anche con cCsa. L’analisi di regressione lineare aggiustata in base all’et? ha evidenziato una significativa correlazione inversa tra Pwv e cCsa, ma solo nelle donne. Questa associazione si ? mantenuta significativa nelle donne dopo aggiustamento per et?, pressione arteriosa media, obesit?, menopausa, farmaci, consumo di alcol, attivit? fisica, funzione renale, calcio sierico e concentrazione totale di estradiolo.?

Am J Hypertens, 2011 May 5. [Epub ahead of print]

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Allattamento al seno non aumenta trasmissione Hbv

Dopo un’adeguata immunoprofilassi del neonato, l’allattamento al seno non contribuisce al rischio di trasmissione del virus dell’epatite B (Hbv) dalla madre infetta al figlio. Questo il risultato di una revisione sistematica e metanalisi condotta da Zhong-jie Shi dell’universit? Yat-Sen di Canton (Cina), e collaboratori, su 10 studi clinici controllati comprendenti 751 bambini nel gruppo in allattamento materno e 873 nel gruppo in cui non era previsto l’allattamento al seno. Come indicato dall’antigene di superficie virale nel sangue periferico dei bambini o dalla positivit? all’Hbv Dna all’et? di 6-12 mesi, la odds ratio di trasmissione verticale con l’allattamento al seno si ? attestata su 0,86 rispetto all’assenza di allattamento. Prendendo in considerazione la positivit? agli anticorpi contro l’antigene di superficie Hbv nel sangue periferico dei bambini sempre a 6 e a 12 mesi, la odds ratio di sviluppo di anticorpi contro l’antigene ? risultata pari a 0,98 per i bambini allattati al seno. Durante l’allattamento al seno, infine, non sono stati osservati eventi avversi o complicanze.

Arch Pediatr Adolesc Med, 2011 May 2. [Epub ahead of print]

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A Roma, nuova tecnica per conservare ovociti

Dopo Palermo e Torino, anche Roma potr? disporre di una bio-banca di tessuto ovarico nella quale verr? conservata la corticale dell’ovaio contenente gli ovociti per consentire il reinnesto nelle donne che sono sopravvissute al cancro e dopo il termine dei trattamenti oncologici. Il costante miglioramento della terapia nei confronti delle neoplasie che colpiscono il sesso femminile ha solitamente pesanti ripercussioni sulla fertilit? della donna. Oggi le cose sono cambiate in modo significativo: la crioconservazione di tessuto ovarico, prelevato prima dell’inizio delle terapie antitumorali, offre infatti interessanti prospettive per preservare la funzione riproduttiva e l’attivit? steroidogenica delle pazienti affette da patologie neoplastiche. Questa tecnica presenta almeno tre importanti vantaggi rispetto alle procedure di crioconservazione finora utilizzate. In primo luogo, consente di mantenere in situ centinaia di follicoli primordiali contenenti ovociti immaturi, molto resistenti ai processi di congelamento e successivo scongelamento. Inoltre, il prelievo avviene in laparoscopia, quindi ? rapido e poco invasivo. Infine, questa tecnica ? applicabile anche in et? pediatrica, nelle pazienti affette da tumori ormono-sensibili e nelle donne in cui sarebbe improcrastinabile l’inizio della terapia oncologica. La Banca del tessuto ovarico sar? operativa presso l’Istituto nazionale dei tumori Regina Elena e sar? diretta dal professor Enrico Vizza.

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