La responsabilit? del medico di pronto soccorso
I fatti
Il signor GC di 58 anni, in seguito ad un episodio di epistassi insorto alle 5 del mattino, si recava al PS di un ospedale milanese. All?accettazione gli veniva misurata la pressione arteriosa che risultava elevata, pari a 195/95 con frequenza cardiaca di 110 battiti al minuto.
Il dottor A, medico di guardia, annotava nel verbale: “epistassi a risoluzione spontanea – tosse – esame clinico del torace senza specificit?”; ed inoltre: “non precedenti anamnestici – non fa alcuna terapia”. Si procedeva quindi ad una seconda misurazione pressoria, che forniva valori di 150/75. Alle ore 6.36 il C veniva dimesso con la prescrizione di una visita otorinolaringoiatrica, fissata per le ore 10.00 dello stesso giorno. Durante il viaggio di ritorno alla propria abitazione il C accusava un improvviso malore; sceso dall’automezzo, si accasciava improvvisamente al suolo, decedendo sul posto. In relazione a tale fatto il dottor A veniva accusato di omicidio colposo; gli si imputava di aver omesso di: effettuare gli esami necessari per verificare l’entit? della perdita ematica e, altres?, indagare le cause dell’emorragia nasale, anche mediante osservazione del paziente.
Il processo di primo grado
Il dottor C, consulente del Pubblico Ministero, rilevava dai risultati autoptici che il defunto GC era portatore silente di epatomegalia steatosica su base etilica e di cardiopatia ipertensiva. Inoltre, il giorno stesso del decesso, il paziente aveva avuto un?emorragia gastrica di discreta entit?, correlabile a flogosi diffusa della mucosa gastrica. Tale situazione, in parte condizionata da verosimili deficit coagulativi (ridotta sintesi di fattori procoagulanti da parte di fegato abnormemente steatosico) aveva comportato, secondo il consulente, l’attivazione di fisiologici meccanismi di compenso dell’ipovolemia. In particolare, il sistema simpatico-adrenergico determinava un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, dando luogo all’epistassi profusa, che il C aveva patito nella notte. Di qui, determinandosi ulteriore perdita ematica, si era instaurato un circolo vizioso con un ulteriore aumento dei valori pressori e della tachicardia, una condizione di stress a cui non pu? far fronte un muscolo cardiaco con ridotta capacit? di risposta, come quello del GC, che aveva evidenziato in sede di esame autoptico una ipertrofia del ventricolo sinistro da cardiopatia ipertensiva. Il Tribunale di Lecco accoglieva le conclusioni del PM e condannava il medico di guardia a 6 mesi di reclusione con la sospensione condizionale (sentenza del 29-9-2005).
Il ricorso in Appello
Contro la sentenza proponevano appello, con distinti atti, entrambi i difensori di fiducia, contestando la possibilit? di riconoscere la colpa professionale, nonch? la sussistenza di un nesso causale tra condotta ed evento, chiedendo l’assoluzione dell’imputato perch? il fatto non sussiste.
Preliminare ad ogni discussione era, tuttavia, la doglianza circa la mancata considerazione, da parte del Giudice di primo grado, delle conclusioni del perito d’ufficio. Mancata considerazione che costituiva ragione di nullit? della sentenza per violazione della norma di cui all’art. 546, comma 1, lett. e) c.p.p. Il dottor FB, consulente d?ufficio, aveva concluso nel senso che, dall’analisi dei soli elementi di giudizio disponibili all’atto della dimissione, non vi era prova della necessit? di un diverso atteggiamento terapeutico del medico di guardia, il quale si era trovato di fronte ad una vicenda clinica di estrema difficolt? tecnica, evolutasi in modo sfavorevole per il carattere di imprevedibilit? e perniciosit? delle patologie da cui era affetto il GC.
La Corte d?appello riforma totalmente la sentenza di primo grado, ritenendo che l’imputato debba essere assolto dal reato ascrittogli perch? il fatto non sussiste.
Motivi della decisione
Nel “verbale di triage e pronto soccorso” risulta che Il GC era entrato nella struttura sanitaria alle ore 5.46, “sveglio” e con un respiro “normale”; i valori di pressione arteriosa erano andati diminuendo fino ad assestarsi su 150/75; veniva dimesso alle ore 6.36.
La figlia DC ha dichiarato che il padre “non ha mai avuto problemi di salute”, tanto che “durante il lavoro non ? mai stato a casa in malattia”; ha inoltre escluso che il padre bevesse “in modo particolare”, riferendo, in proposito, di un normale consumo di vino durante i pasti.
E’ conseguentemente da escludere che al medico e al personale del PS siano stati forniti, anche dal paziente, dati e informazioni diversi. L’infermiera CS, di turno all’accettazione il giorno del fatto (compil? il “verbale di triage”), ha riferito che: “il sanguinamento dal naso in pronto soccorso non era in atto”; che GC “stava in piedi” davanti a lei, “perfettamente collaborante e cosciente”, tanto da poter rispondere con prontezza e lucidit? alle domande che gli venivano rivolte.
La situazione cos? ricostruita appare quindi caratterizzata da:
a) totale carenza di informazioni utili a fini diagnostici e, in particolare, di informazioni (su malattie e terapie pregresse e in atto, su un qualunque quadro di possibile rilievo sintomatologico, su abitudini di vita comunque significative) in grado di orientare il sanitario nella variet? e complessit? delle patologie che possono determinare l’epistassi, o essere direttamente o indirettamente collegate al verificarsi di tale fenomeno;
b) rapida e stabile risoluzione dell’episodio di sanguinamento e da un altrettanto rapido e stabile assestarsi dei valori pressori, senza alcun supporto farmacologico, su parametri di normalit?: e ci? in un contesto in cui il GC, oltre a non rivelare alcuna particolarit? all’esame del torace, ebbe ad entrare e uscire autonomamente dai locali della struttura sanitaria e a dimostrarsi sempre ed in ogni momento lucido e collaborante, cos? presente ai fatti da manifestare la normalissima preoccupazione che la figlia avesse a far tardi sul posto di lavoro.
Fonte
Corte d?Appello di Milano – Sezione II – 06-11-2006
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