Nuovi antitrombinici orali nella fibrillazione atriale

La terapia anticoagulante con antivitamina K ? raccomandata dalle linee guida internazionali ed ampiamente utilizzata, nei pazienti con fibrillazione atriale, per la prevenzione dello stroke e di altre complicanze emboliche sistemiche
Bench? di provata efficacia, questa terapia comporta la necessit? di un attento monitoraggio per garantire adeguati livelli di anticoagulazione, ed ? gravata dal rischio di complicanze emorragiche maggiori. Fra i nuovi antitrombinici orali, che non richiedono il monitoraggio dell’attivit? anticoagulante, dabigatran ? recentemente entrato nell’utilizzo clinico per la profilassi del tromboembolismo venoso dopo interventi di chirurgia ortopedica maggiore. Nello studio RE-LY, in corso di pubblicazione sul numero del 17 settembre del New England Journal of Medicine, circa 18.000 pazienti con fibrillazione atriale e a rischio di stroke, sono stati trattati per una durata mediana di 2 anni, con warfarin o dabigatran, quest’ultimo alle dosi 110 mg o 150 mg b.i.d. Nel gruppo warfarin, la percentuale media di periodo di studio durante il quale l’INR risultava in range terapeutico, ? risultata del 64%. La frequenza di complicanze tromboemboliche per anno (stroke o embolia sistemica) ? stata di 1.69% nel gruppo warfarin, 1.53% nel gruppo trattato con dabigatran 110 mg (p < 0.001 per non inferiorit?), e 1.11% nei pazienti che avevano ricevuto dabigatran 150 mg (p < 0.001 per superiorit? vs warfarin). Un episodio di sanguinamento maggiore si ? verificato su base annua nel 3.36% dei pazienti trattati con warfarin, e nel 2.71% (p=0.003) e 3.11% (p=0.31) dei pazienti in terapia con dabigatran 110 o 150 mg b.i.d., rispettivamente. I risultati di questo studio sembrano supportare la prospettiva che nuovi, pi? maneggevoli trattamenti anticoagulanti orali, possano in prospettiva sostituirsi agli antivitamina K attualmente utilizzati. Nello specifico, dabigatran alla dose di 110 mg b.i.d. ha presentato efficacia simile e minore incidenza di sanguinamenti maggiori rispetto a warfarin, mentre la dose di 150 mg b.i.d. ha consentito di conseguire un minor numero di complicanze tromboemboliche, a parit? di manifestazioni emorragiche. Lo studio non ? stato quindi in condizione di formulare un suggerimento definito e sistematico sulla dose di dabigatran ottimale, poich? le due dosi testate hanno presentato un beneficio clinico netto (eventi vascolari maggiori, sanguinamenti maggiori, mortalit?) sostanzialmente simile. Lo scenario futuro potrebbe prevedere una scelta della dose in funzione delle caratteristiche del paziente, sulla base di criteri peraltro da definire. NEJM (10.1056/NEJMoa0905561)

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