Colchicina nella prevenzione secondaria della pericardite ricorrente

La recidiva di pericardite è probabilmente la più comune e preoccupante complicanza della pericardite acuta. Si verifica dal 10 al 30% dei casi in pazienti che abbiano avuto un primo episodio di pericardite acuta. Dopo una prima recidiva il tasso di ricorrenza può raggiunge il 50%. Le linee guida europee del 2004 raccomandano la colchicina nel trattamento della pericardite ricorrente (classe I) e nella pericardite acuta (classe II a) sulla base di studi non randomizzati (gli studi COPE e CORE erano studi open label e su pazienti provenienti da un singolo centro).
Lo studio CORP, trial italiano recentemente pubblicato sugli Annals, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di uso della colchicina aggiunta alla terapia convenzionale nella prevenzione secondaria della ricorrenza di pericardite in pazienti che abbiano già avuto una prima recidiva. Si tratta di un trial prospettico, randomizzato in doppio cieco verso placebo, che ha arruolato in quattro ospedali italiani 120 pazienti in cui l’episodio di recidiva di pericardite era documentato dalla presenza di dati clinici, laboratoristici e strumentali. I pazienti erano randomizzati a ricevere colchicina in aggiunta al trattamento convenzionale con aspirina 800-1000 mg (o 600 mg di ibuprofene) per os ogni 8 ore per 7-10 gg, con terapia a scalare per 3-4 settimane. La dose di colchicina era da 1.0 a 2.0 mg il primo giorno, seguiti da 0.5/1.0 mg/die per sei mesi. Nei pazienti con peso corporeo inferiore a 70 kg o con intolleranza alle dosi maggiori di colchicina, veniva somministrato il dosaggio inferiore (0.5 mg ogni 12 ore seguiti da 0.5 mg/die). I pazienti con intolleranza all’aspirina (allergia, ulcera peptica o rischio di sanguinamento GE) o con un inaccettabile rischio emorragico, assumevano prednisone da 0.2 a 0.5 m/kg per 4 settimane con successiva riduzione a scalare del dosaggio del farmaco. Tutti i pazienti hanno completato lo studio. A 18 mesi il tasso di recidiva era del 24% nel gruppo colchicina e del 55% nel gruppo placebo (riduzione del rischio assoluto 0.31 [95% CI, 0.13 to 0.46], riduzione del rischio relativo 0.56 [CI 0.27-0.73] con un NNT di 3. La colchicina inoltre ha ridotto la persistenza dei sintomi a 72 ore (riduzione del rischio assoluto 0.30 [CI 0.13-0.45] e riduzione del rischio relativo 0.56 [CI 0.27-0.74]) ed il numero medio delle recidive; ha inoltre aumentato il tasso di remissione alla prima settimana ed ha allungato l’intervallo di recidiva. Durante i 20 mesi di osservazione non si sono avuti casi di pericardite restrittiva. Non è noto il meccanismo specifico con cui la colchicina previene la pericardite; esso è probabilmente da collegare alle concentrazioni che il farmaco raggiunge nei leucociti e specie nei granulociti, che sono circa 16 volte superiori alle concentrazioni plasmatiche. Inoltre se la colchicina si è dimostrata efficace nella prevenzione della pericardite ricorrente è necessario chiarire se tale terapia abbia indicazione anche nella fase iniziale della pericardite acuta (a questo riguardo siamo in attesa dei dati dello studio ICAP). I criteri di esclusione dello studio CORP non consentono di estendere i risultati a pazienti con pericarditi infettive, come quelle virali. Un ultimo punto in sospeso riguarda la durata ottimale della terapia dal momento che alcuni autori, avendo descritto la comparsa di recidiva alla sospensione del farmaco, propongono una estensione della durata del trattamento fino a 12-24 mesi dopo l’ultima recidiva, personalizzandola per ciascun paziente (nei casi più gravi con lentissima riduzione dei dosaggi dei farmaci). 

Imazio M. Annals of Internal  Medicine 2011; 155: 409-414

 1,570 total views,  1 views today

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?