Per quanto tempo la terapia antiandrogena nel carcinoma prostatico radiotrattato?

La terapia antiandrogena è un trattamento molto efficace nel cancro (ca) prostatico localmente avanzato e si utilizza dopo la radioterapia, ma per quanto tempo va somministrata? Classicamente viene somministrata per 3 anni, ma rischia di essere mal tollerata e per di più ci sono delle segnalazioni che una terapia per soli 6 mesi, che provoca molto meno effetti secondari ed una qualità di vita molto migliore, dia dei risultati simili. La questione è importante sotto il profilo clinico, ed uno studio pubblicato su Lancet Oncology l’ha affrontata cercando di individuare quali siano i pazienti in cui la radioterapia ed una soppressione androgenica per soli 6 mesi sia insufficiente. Utilizzando come endpoint la mortalità da ca prostatico gli AA hanno utilizzato il PSA come test precoce surrogato. Lo studio è il risultato di 2 trials (uno americano e uno australia-asiatico) che hanno raccolto, random, 734 uomini con un ca prostatico localmente avanzato, nei quali sono stati utilizzati il PSA alla fine dei 6 mesi (PSA end) e la concentrazione più bassa di PSA (PSA nadir). Gli AA hanno osservato che sicuramente la terapia antiandrogena accompagnata alla radioterapia era più efficace della sola radioterapia (p < 0.0001), ma un PSA end superiore a 0.5 ng/mL era indice di maggiore rischio, per cui i pazienti con questi valori dovrebbero essere presi in considerazione per una soppressione a lungo termine. Anche un PSA nadir superiore a 0.5 ng/mL è indice di rischio e pure questi pazienti dovrebbero essere considerati per un trattamento a 3 anni (vedi figura). Lo studio è importante perché offre anche al medico non specialista un’indicazione accessibile per una prosecuzione del trattamento con antiandrogeni in questo tipo di pazienti, ma ha dei limiti oggettivi: gli effetti sulla concentrazione del PSA possono esser determinati non solo dagli antiandrogeni, ma anche da farmaci concomitanti utilizzati nei due studi, per cui si rendono necessari ulteriori trials randomizzati che chiariscano questi dubbi.

D’Amico AV et al. Lancet Oncol 2012; 13: 189-95

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