Diagnosi differenziale delle cefalee: come evitare gli errori più comuni
Chiunque si ponga di fronte ad un problema clinico, si trova ad affrontare una prima ma fondamentale questione: inquadrare il sintomo nel contesto di una sindrome o di una malattia, raccogliere cioè quegli elementi che nel loro insieme ci indirizzano verso un inquadramento diagnostico. E tutto ciò non appaia pleonastico: qualunque medico che si trova ad affrontare una cefalea, si trova di fronte ad un sintomo (il mal di testa, la cefalea appunto) molto spesso aspecifico e che solo dopo un’accurata raccolta anamnestica può essere inserito in un contesto sindromico definito.
Parliamo di anamnesi, non di “accertamenti”, in quanto ancora oggi rimangono fondamentali le parole ed il tempo che noi impieghiamo con il nostro paziente. Dobbiamo, in questo contesto come in altri, imparare ad ascoltare la storia clinica di chi ci sta di fronte, valorizzando gli elementi che ci interessano ai fini diagnostici, eliminando quanto ritenuto superfluo. Solo successivamente a questo processo che ci porta alla formulazione di alcune ipotesi diagnostiche, si potrà prendere in considerazione l’effettuazione di accertamenti che possano confutare o confermare le nostre supposizioni.
Per il Medico di Medicina Generale (MMG) così come per il Medico di Pronto Soccorso (secondo il setting assistenziale nel quale ci troviamo ad operare) che si trova ad affrontare un paziente con cefalea, compito fondamentale è quello di operare una distinzione tra Cefalee Primarie (forme nelle quali la cefalea ed i sintomi associati costituiscono il “fulcro” del problema) e Cefalee Secondarie , nelle quali la cefalea è un sintomo che a volte nasconde patologie gravi, potenzialmente pericolose per la vita.
Come è possibile orientarsi nella diagnosi differenziale delle cefalee?
Da alcuni lavori presenti in letteratura, sappiamo che quando ci troviamo di fronte a una cefalea di intensità disabilitante (che limita grandemente o annulla le attività quotidiane del paziente), associata a nausea e fotofobia , abbiamo il 93 % di probabilità di essere di fronte ad un’emicrania1,2 .
Questo dato riveste un’importanza straordinaria nella gestione di un paziente emicranico da parte del MMG: con pochi elementi clinici possiamo formulare una diagnosi e quindi avanzare una prognosi, iniziare un trattamento adeguato fornendo rapidamente delle risposte ad un paziente che spesso ci troviamo in ambulatorio lamentando queste problematiche. Non solo: adottando uno strumento di questo genere si può pensare di “prendere confidenza ” con questa diagnosi e quindi di imparare a gestire il paziente cefalalgico, inviando a visita specialistica neurologica solo quei pazienti che magari necessitano di terapia preventiva, che hanno forme “difficili”, con resistenza alla terapia dell’attacco.
Si può realizzare così una sorta di stratificazione dell’intensità di cura fornita al paziente cefalalgico3 , oggi auspicata e perseguita in ogni ambito della professione medica in quanto noi dobbiamo fornire a quel paziente ciò di cui ha bisogno, per la sua patologia, in quel momento.
E’ chiaro però che situazioni così insidiose come le cefalee devono sempre essere osservate e valutate attentamente cercando di cogliere la presenza di eventuali “segnali d’allarme ” che ci indicano la presenza di forme secondarie, come già detto a volte pericolose per la vita. Chiaramente la contemporanea presenza di cefalea ed alterazioni dell’obiettività neurologica ci indirizza con certezza verso una forma secondaria: in questo caso il sintomo “cefalea” perde importanza a favore di segni chiari ed evidenti di disfunzione diffusa o focale, permanente o transitoria, del Sistema Nervoso Centrale.
Stesso discorso vale per le forme di cefalea associate a segni sistemici, come la febbre ed il rigor nucale, che ci indirizzano chiaramente verso forme secondarie a patologie infettive.
Ci sono invece forme più subdole, meno eclatanti, di cefalea, accompagnate da un’obiettività neurologica negativa, per le quali dobbiamo utilizzare alcuni principi generali.
Va innanzitutto valutato il decorso nel tempo: l’assenza di modificazioni cliniche (nel senso di variazione di intensità, durata o frequenza degli attacchi) depone per una Forma Primaria. Per contro una cefalea di recente insorgenza (specie se in individui con più di 50 anni, con storia pregressa di neoplasie o di HIV positività) va sempre studiata (neuroimaging, indici di flogosi) essendo fortemente suggestiva di secondarietà.
Ancora è importante valorizzare la modalità di insorgenza del dolore: una cefalea violenta, “a colpo di pugnale ” che il pz riconosce come non abituale, specie se associata a lipotimia o vomito all’esordio, ci deve far pensare ad una emorragia sub aracnoidea. Questa è la vera “spina nel fianco” del medico che affronta una cefalea: circa il 5% delle emorragie sub aracnoidee non vengono diagnosticate all’esordio (specie le forme paucisintomatiche) e questo è ancora più grave se si pensa che questa patologia abbia un’altissima mortalità in fase acuta4 . Infine le modalità di scatenamento del dolore (la tosse, la manovra di Valsalva, l’ortostatismo) sono da valutare attentamente nello screening delle forme secondarie in quanto si possono sospettare processi espansivi (specie in fossa cranica posteriore) o forme congenite (come la malformazione di Arnold Chiari).
In conclusione il MMG, così come il Medico di Pronto Soccorso, che si trovano ad operare in setting assistenziali particolari debbano porsi come obiettivo prioritario quello di formulare una diagnosi differenziale tra Cefalee Primarie e Cefalee Secondarie, lasciando poi ad un’eventuale valutazione neurologica successiva la possibilità di una diagnosi definita delle diverse forme Primarie. L’utilizzo da parte del MMG di semplici questionari basati sul rilievo clinico anamnestico di pochi sintomi associati, può portare ad una diagnosi e ad un trattamento efficace. La valutazione delle caratteristiche cliniche e del loro andamento temporale ed il rilievo dei così detti segnali d’allarme rappresenta un ausilio fondamentale che comunque deve sempre essere integrato da un’accurata valutazione obiettiva neurologica5 .
Bibliografia
- Lantéri-Minet M. The role of general practitioners in migraine management. Cephalalgia, 2008,28;Suppl. 2
- LiptonRB, Bigal ME. Ten Lessons on the Epidemiology of Migraine. Headache 2007;47; Suppl 1
- Saper J. Stratification of Headache Care. Headache 2007;47;Suppl 1
- Vermuellen J. Missed diagnosis of subarachnoid hemorrhage in emergency department. Stroke 2007;38, 1216-21
- Sempere AP et al. Neuroimaging in the evaluation of patients with non acute headache. Cephalalgia 2005 Jan;25(1):30-5
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