Nuove tecniche di imaging per lo studio e la diagnosi della cardiopatia ischemic
Introduzione
Da oltre trenta anni l’esame diagnostico che costituisce il gold-standard per il riconoscimento della malattia ostruttiva coronarica ? l’esame angiocoronarografico, utilizzato in maniera sempre pi? diffusa negli ultimi anni soprattutto in Nord America ma anche nei paesi europei. Alcuni esami di tipo non invasivo sono di solito utilizzati in prima istanza nello studio della cardiopatia ischemica come il test ergometrico o le tecniche di stress-imaging quali l’ecocardiografia e la scintigrafia miocardica perfusionale da stress fisico o farmacologico, ma frequentemente la conferma della patologia occlusiva con le indicazioni alle modalit? di rivascolarizzazione del miocardio necessita dell’esame angiocoronarografico, che ? sempre un test invasivo che prevede l’introduzione di un catetere intracardiaco, la somministrazione di mezzo di contrasto intraarterioso, l’esposizione a radiazioni e il conseguimento di immagini radiografiche monoplanari, con le quali ? possibile sottostimare o sovrastimare alcune occlusioni del lume coronario di tipo eccentrico.
Nuove metodiche
Negli ultimi tempi nuove interessanti metodiche si sono proposte all’attenzione dei cardiologi per lo studio della malattia coronarica ed alcune sono ormai entrate nell’armamentario clinico dei centri pi? all’avanguardia in questo campo. Un’interessante review pubblicata sul Canadian Medical Association Journal fa il punto su caratteristiche, attuale utilizzo e prospettive future di tre nuove tecniche di imaging diagnostico di grande interesse come l’ ultrasonografia intravascolare, la tomografia assiale computerizzata multi-slice e la risonanza magnetica per lo studio delle coronarie.
Ultrasonografia intravascolare
L’ultrasonografia intravascolare o ecografia intracoronarica ? un esame invasivo utilizzato di solito a completamento della angiocoronarografia che si avvale dell’utilizzo di una piccola sonda ad ultrasuoni montata sulla punta di un catetere che viene indirizzato nell’albero coronarico sino a superare la lesione aterosclerotica e mentre viene ritirato ? in grado grazie ad una rotazione del fascio di ultrasuoni di fornire un’immagine ecografica ricostruita in maniera biplana del lume vascolare visto nella sua circonferenza interna invece che dall’esterno. I vantaggi principali sono rappresentati da una migliore valutazione del grado di stenosi del lume coronarico e dal riconoscimento del tipo di placca presente, importante per valutare l’instabilit? della placca e quindi il grado di rischio. Si possono infatti riconoscere placche soffici (con poco calcio e collagene ed a prevalente contenuto lipidico), placche fibrose (con grado intermedio delle due componenti sopra citate), placche calcifiche (con elevato contenuto di calcio) e placche miste. Un contributo estremamente importante di tale metodica ? emerso nell’indicazione e nella valutazione dei risultati della rivascolarizzazione mediante applicazione di stent intracoronarici con angioplastica. ? infatti assai utile nel riconoscere le lesioni complesse o quelle dubbie alla coronarografia o delle biforcazioni o del tronco comune che possono essere trattate con migliori risultati con angioplastica e stent, ed ? la tecnica pi? sensibile nel riconoscimento delle restenosi (uno dei problemi principali degli stent) prevalentemente dovute ad una iperplasia neointimale, visibile come un tessuto fibrotico neoformato che cresce all’interno del vaso dilatato e lo riocclude. Un ulteriore campo di applicazione, interessante, soprattutto per sviluppi futuri, ? il riconoscimento precoce di placche aterosclerotiche a rischio in soggetti sintomatici con ostruzioni di entit? minima o lieve all’esame coronarografico.
Da oltre trenta anni l’esame diagnostico che costituisce il gold-standard per il riconoscimento della malattia ostruttiva coronarica ? l’esame angiocoronarografico, utilizzato in maniera sempre pi? diffusa negli ultimi anni soprattutto in Nord America ma anche nei paesi europei. Alcuni esami di tipo non invasivo sono di solito utilizzati in prima istanza nello studio della cardiopatia ischemica come il test ergometrico o le tecniche di stress-imaging quali l’ecocardiografia e la scintigrafia miocardica perfusionale da stress fisico o farmacologico, ma frequentemente la conferma della patologia occlusiva con le indicazioni alle modalit? di rivascolarizzazione del miocardio necessita dell’esame angiocoronarografico, che ? sempre un test invasivo che prevede l’introduzione di un catetere intracardiaco, la somministrazione di mezzo di contrasto intraarterioso, l’esposizione a radiazioni e il conseguimento di immagini radiografiche monoplanari, con le quali ? possibile sottostimare o sovrastimare alcune occlusioni del lume coronario di tipo eccentrico.
Nuove metodiche
Negli ultimi tempi nuove interessanti metodiche si sono proposte all’attenzione dei cardiologi per lo studio della malattia coronarica ed alcune sono ormai entrate nell’armamentario clinico dei centri pi? all’avanguardia in questo campo. Un’interessante review pubblicata sul Canadian Medical Association Journal fa il punto su caratteristiche, attuale utilizzo e prospettive future di tre nuove tecniche di imaging diagnostico di grande interesse come l’ ultrasonografia intravascolare, la tomografia assiale computerizzata multi-slice e la risonanza magnetica per lo studio delle coronarie.
Ultrasonografia intravascolare
L’ultrasonografia intravascolare o ecografia intracoronarica ? un esame invasivo utilizzato di solito a completamento della angiocoronarografia che si avvale dell’utilizzo di una piccola sonda ad ultrasuoni montata sulla punta di un catetere che viene indirizzato nell’albero coronarico sino a superare la lesione aterosclerotica e mentre viene ritirato ? in grado grazie ad una rotazione del fascio di ultrasuoni di fornire un’immagine ecografica ricostruita in maniera biplana del lume vascolare visto nella sua circonferenza interna invece che dall’esterno. I vantaggi principali sono rappresentati da una migliore valutazione del grado di stenosi del lume coronarico e dal riconoscimento del tipo di placca presente, importante per valutare l’instabilit? della placca e quindi il grado di rischio. Si possono infatti riconoscere placche soffici (con poco calcio e collagene ed a prevalente contenuto lipidico), placche fibrose (con grado intermedio delle due componenti sopra citate), placche calcifiche (con elevato contenuto di calcio) e placche miste. Un contributo estremamente importante di tale metodica ? emerso nell’indicazione e nella valutazione dei risultati della rivascolarizzazione mediante applicazione di stent intracoronarici con angioplastica. ? infatti assai utile nel riconoscere le lesioni complesse o quelle dubbie alla coronarografia o delle biforcazioni o del tronco comune che possono essere trattate con migliori risultati con angioplastica e stent, ed ? la tecnica pi? sensibile nel riconoscimento delle restenosi (uno dei problemi principali degli stent) prevalentemente dovute ad una iperplasia neointimale, visibile come un tessuto fibrotico neoformato che cresce all’interno del vaso dilatato e lo riocclude. Un ulteriore campo di applicazione, interessante, soprattutto per sviluppi futuri, ? il riconoscimento precoce di placche aterosclerotiche a rischio in soggetti sintomatici con ostruzioni di entit? minima o lieve all’esame coronarografico.
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