Anche intolleranze glucidiche di grado minore possono aumentare il rischio di co
La gravidanza ? associata a intolleranza glucidica e insulino-resistenza. Questo ha portato a raccomandare lo screening di tutte le gestanti per il diabete e il trattamento di quelle con test di tolleranza al glucosio oltre le soglie stabilite, con revisioni sui criteri di diagnosi di diabete gestazionale. Tuttavia, sta emergendo che anche intolleranze glucidiche di grado minore possono aumentare il rischio di complicanze perinatali: uno studio canadese, per esempio, ha mostrato che valori del test pi? alti del normale, ma non abbastanza da essere classificati come diabete, comportano esiti simili a quelli delle gestanti con i criteri del dismetabolismo. Evidenze dei rischi gi? a livelli d’iperglicemia meno gravi sono state raccolte da uno studio internazionale che ha coinvolto pi? di 23 mila donne in gravidanza di nove paesi di quattro continenti. Lo studio HAPO (Hyperglicemia and Adverse Pregnancy Outcome) si ? rivolto a donne sottoposte, tra le ventiquattro e le trentadue settimane di gravidanza, a test di carico orale con 75 g di glucosio, selezionandole, in cieco, con glicemia a digiuno di 105 mg/dl o glicemia due ore dopo il test inferiore i 200 mg/dl. Alcune di esse, con valori glicemici da 140 a 200 mg/dl sarebbero dovute rientrare nei criteri di diabete gestazionale, ma essendo la loro iperglicemia considerata moderata si ? ritenuto etico non sottoporle a trattamento. E’ stata elaborata una stima del tasso di esiti avversi per incrementi di valore statistico (1 deviazione standard) della glicemia a digiuno, di quella un’ora dopo il test e due ore dopo. E’ emerso un aumento del rischio di peso in eccesso alla nascita, di livelli elevati di peptide C nel sangue ombelicale, di parto cesareo e di ipoglicemia neonatale direttamente proporzionale ai tassi glicemici materni, a digiuno o a un’ora dal test o a due ore. Non si ? dimostrata in altre parole una soglia di incremento di rischio anche in seguito ad aggiustamento per potenziali elementi confondenti (BMI materno o precedenti microsomia o diabete gestazionale). Associazioni significative con i valori glicemici delle madri, anche se pi? deboli, sono state rilevate anche per gli endpoint secondari: parto prima della 37a settimana o difficoltoso o traumatico, iperbilirubinemia (da cui ittero), preeclampsia (ipertensione gravidica), necessit? di cure intensive neonatali. Una delle riflessioni proposte dallo studio ? stata quella di abbassare le soglie per la diagnosi e il trattamento del diabete gestazionale. Un’ipotesi da sondare, anche se sembra difficile dimostrare che trattando intolleranze glucidiche meno severe si possano migliorare significativamente gli esiti. Anche perch?, l’associazione pi? marcata ? stata con i livelli di peptide C, che di per s? non sembra clinicamente preoccupante, mentre gli esiti pi? preoccupanti, come la necessit? del cesareo, aumentavano solo moderatamente con gli incrementi glicemici materni. Il giudizio prudente ? quindi di aspettare che si dimostrino benefici clinici, prima di pensare a rivedere i criteri. Il diabete gestazionale ha, per?, ricevuto attenzione primariamente come elemento predittivo di futuro diabete delle stesse donne, e identificare quelle con probabilit? di sviluppare la malattia offre la possibilit? d’intervenire per ridurre questo rischio. Aspetto tutt’altro che trascurabile dal momento che i dati americani indicano che, tra il 1999 e il 2005, la prevalenza del diabete preesistente nelle donne gravide da 20 a 39 anni ? raddoppiata e nelle teenager ? quintuplicata. (N Engl J Med 2008; 358:1991-2002) ?-bloccanti e chirurgia non cardiaca, gravi rischi
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