Senza angiogenesi, recidiva tardiva del tumore ovarico
L’impiego di bevacizumab nelle donne colpite da tumore dell’ovaio aumenta di circa il 15% a un anno le probabilit? che la malattia non si ripresenti. ?Si tratta di una svolta importante nel trattamento di una malattia che negli ultimi anni non ha offerto nuove opzioni terapeutiche? spiega Sandro Pignata dell’Istituto dei tumori fondazione “G. Pascale” di Napoli. ?In questa forma di cancro la diagnosi precoce ? difficile perch? non vi sono sintomi che la consentano. Con la conseguenza che nell’80% dei casi il tumore viene scoperto solo quando ? gi? in fase avanzata. Uno dei problemi pi? importanti nel trattare questa patologia non ? la risposta iniziale alla chemioterapia, ma il fatto che per la maggior parte delle pazienti la neoplasia si ripresenta dopo un certo periodo di tempo, nella maggior parte dei casi entro 15 mesi dalla diagnosi iniziale?. Ed ? proprio su questo versante che lo studio Icon7 ha fornito risultati promettenti. L’indagine ha arruolato 1.528 donne, suddivise in due gruppi: al primo ? stato somministrato il trattamento standard, al secondo la chemioterapia tradizionale associata a bevacizumab. I dati presentati all’Esmo, da considerare preliminari (quelli definitivi sono attesi tra un paio d’anni), confermano i positivi riscontri evidenziati dal trial Gog 0218 presentato lo scorso giugno al congresso dell’American society of clinical oncology (Asco). Bevacizumab ? un inibitore dell’angiogenesi gi? approvato in Europa per il trattamento degli stadi avanzati di quattro tipi di tumori (carcinoma del colon-retto, del seno, del polmone e del rene); i risultati di Icon7 aprono ora la strada al trattamento del cancro ovarico, malattia che in Italia colpisce ogni anno 4.500 donne provocando 3.000 decessi.
35? Congresso ESMO, 8-12 ottobre 2010, Milano
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