Qual è la terapia di combinazione ottimale nell’ipertensione arteriosa?
A causa della complessità dei fattori genetici ed ambientali che portano all’ipertensione, non esiste un farmaco che da solo, almeno nei casi di una certa importanza, riesca a normalizzarla. Questo ormai si sa: valgano per tutti i risultati di una recente metanalisi di trials placebo-controllati in cui si è visto che la risposta pressoria ad un singolo agente non superava i 9.1 mmHg per la PAS e i 5.5 mmHg per la PAD. Si aggiungano poi i meccanismi controregolatori messi in atto dall’organismo in riposta ad un primo abbassamento della pressione e che possono nel tempo ridurre di molto l’effetto ipotensivizzante del singolo farmaco. Quindi, dopo una mancata risposta alla monoterapia, bisogna fare delle scelte: aumentare i dosaggi? cambiare farmaco? aggiungere altri farmaci? Questo è il tema di un up-date sulla terapia dell’ipertensione pubblicato nel 2011 da Sever e Messerli sull’European Heart Journal. La prima ipotesi viene scartata dagli autori della messa a punto, perché la grande maggioranza degli antipertensivi ha una curva dose-risposta e quindi aumentando il dosaggio si rischia di aumentare gli effetti secondari senza avere in contropartita un corrispondente aumento dell’efficacia. La seconda ipotesi, cioè la sostituzione del farmaco, va presa in considerazione solo se intervengono problemi di intolleranza o di assoluta inefficacia (la razza nera, per esempio, risponde poco ai farmaci che agiscono sul SRA, che peraltro vanno sostituiti al più presto in situazioni come la gravidanza), per cui nella grande maggioranza dei casi il razionale migliore è una terapia di combinazione. Ma quale combinazione? Gli autori eseguono un’ampia disamina della letteratura e nella tabella 1 hanno sintetizzato le combinazioni considerate ottimali, quelle accettabili, quelle sconsigliate. Come si può vedere, gli autori pongono tra le associazioni non consigliabili quelle tra ACEI/ARBs e anche quelle tra Inibitori della renina e ACEI o ARBs. In verità molti non condividono questo punto di vista e gli stessi autori nel testo sono meno schematici affermando che finora non disponiamo di dati sufficienti per poter raccomandare questo tipo di associazioni, almeno nella routine clinica. Un consenso crescente hanno poi acquisito le combinazioni precostituite, che sono meglio accettate dal paziente e permettono una migliore compliance. In una metanalisi il tasso di aderenza ad associazioni precostituite è migliorato del 26% rispetto agli stessi farmaci utilizzati separatamente. Gli autori pertanto concludono
- la grande maggioranza, se non tutti, i pazienti necessita di due o più farmaci di differenti classi per ottenere un buon controllo della pressione
- la terapia di combinazione dovrebbe essere iniziata se i pazienti hanno una PA superiore a 20/10 mmHg rispetto ai livelli target
- è preferibile adottare le combinazioni considerate ottimali
- è conveniente per questioni di costi e di compliance, quando possibile, utilizzare le combinazioni precostituite.
Sever PS, Messerli FH. European Heart Journal 2011; 32: 2499-2506
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