Scompenso: ursodesossicolico migliora flusso ematico
L’acido ursodesossicolico (Udca), normalmente impiegato nel trattamento della epatopatia colestatica, è ben tollerato dai pazienti con scompenso cardiaco cronico nei quali migliora il flusso ematico periferico e i marker di funzionalità epatica. Lo dimostrano i risultati di uno studio prospettico, crociato e in doppio cieco con placebo realizzato da Stephan von Haehling della scuola medica Charité di Berlino (Germania) e collaboratori. Il razionale della sperimentazione consisteva da un lato nel frequente riscontro – nei soggetti scompensati – di disfunzione endoteliale, ritenuta corresponsabile delle limitate capacità di esercizio dei pazienti, e dall’altro nel considerare il lipopolisaccaride batterico un possibile trigger per il rilascio di citochine proinfiammatorie, con aggravamento del quadro endoteliale. Di qui l’ipotesi di somministrare l’Udca che, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie e citoprotettive, e alla possibilità di formare micelle intorno al lipopolisaccaride, avrebbe potuto migliorare il flusso ematico periferico nei pazienti con insufficienza cardiaca. Per verificare questa tesi, sono stati arruolati 16 pazienti di sesso maschile scompensati (classe Nyha II/III, frazione di eiezione ventricolare <45%) ma clinicamente stabili, i quali sono stati randomizzati a ricevere 500 mg di Udca bis/die per 4 settimane e placebo per altre 4 settimane. Rispetto al placebo, l’Udca ha migliorato il picco di flusso post-ischemico nel braccio (endpoint primario, misurato con pletismografia “strain-gauge”) e si è rilevata una tendenza positiva per un miglioramento analogo nell’arto inferiore. Anche le funzioni epatiche sono migliorate: rispetto al placebo, i livelli di gamma-Gt, aspartato transaminasi e recettore solubile del Tnf-alfa sono risultati inferiori. Non si sono visti cambiamenti nel test del cammino a 6 minuti o di classe funzionale Nyha, e i livelli di Tnf-alfa e interleuchina-6 sono rimasti immutati o aumentati rispetto al placebo.
J Am Coll Cardiol, 2012; 59(6):585-92
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