La stimolazione cerebrale profonda nel morbo di Parkinson resistente
Da qualche anno viene utilizzata la stimolazione cerebrale profonda (deep brain stimulation:DBS), in particolare del nucleo subtalamico, nel trattamento dei pazienti con m. di Parkinson resistenti alla terapia medica. Si tratta dell’impianto di elettrodi a livello subtalamico collegati ad una batteria posta all’altezza del cuore, come una sorta di pace-maker. Gli impianti possono essere monolaterali o bilaterali e le stimolazioni vengono effettuate generalmente con corrente variabile. Sono stati utilizzati anche dei devices a corrente costante, che pare abbia dei vantaggi, ma gli effetti della stimolazione costante non erano ancora stati studiati in trials controllati. Okun e coll. hanno pubblicato uno studio randomizzato sulla neurostimolazione subtalamica con corrente costante e i risultati confermano il marcato beneficio che questa metodica esercita sui sintomi motori del Parkinson. Lo studio di Okun ha anche un’altra novità: siccome era sorto il dubbio che il beneficio fosse dovuto al solo intervento chirurgico di impianto, gli AA hanno utilizzato uno studio di controllo con stimolazione ritardata: tutti i pazienti avevano gli elettrodi impiantati, ma nel gruppo di controllo la stimolazione veniva iniziata solo dopo 3 mesi. Entrambi i gruppi hanno ottenuto un miglioramento, più marcato però nel gruppo sottoposto a stimolazione immediata (P=0.003). Nel complesso, la Unified Parkinson’s Disease Rating Scale motor scores (UPDRS) è migliorata del 39%, anche se si sono avute delle importanti complicazioni dopo l’impianto del DBS, quali infezioni (4%) ed emorragie intracraniche (3%). Spesso la stimolazione era accompagnata da disartria, parestesie ed edema, ma i risultati sulla motilità sono stati positivi e duraturi. Questi dati sono molto promettenti ma certamente la metodica va ancora affinata: sono necessarie innovazioni tecnologiche quali patterns più intelligenti della stimolazione continua ad alta frequenza, vie migliori di controllo e stimolazioni selettive di particolari elementi neurali, e niente di tutto questo è stato affrontato dallo studio.
Okun MS et al. The Lancet Neurology 2012; 11: 140-149
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