Due recenti pubblicazioni aiutano il medico di famiglia nella diagnosi di depressione
Il disturbo depressivo una delle patologie croniche più comuni e di più difficile diagnosi per il medico di famiglia: per fare un esempio, negli Stati Uniti si stimano in 19 milioni gli adulti sofferenti di depressione, con costi di miliardi di dollari ogni anno. Il mancato riconoscimento dei sintomi di un possibile stato depressivo ed una prescrizione non appropriata hanno un evidente e non trascurabile impatto sociale. Va considerata anche l’inevitabile ‘responsabilizzazione’ del medico di famiglia, chiamato ad un difficile compito. Gli si chiede infatti di saper riconoscere la componente psichica dei sintomi riferiti dal suo assistito, senza trascurare nel contempo l’eventuale patologia organica, comunque integrando la prescrizione terapeutica con opportune indicazioni per il controllo efficace del disturbo affettivo.
E’ stato recentemente pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine un documento contenente i consigli e suggerimenti al riguardo degli esperti americani dell’U.S. Preventive Services Task Force. Questi suggeriscono al medico generico di porre due semplici domande, che possono aiutare ad individuare una possibile componente depressiva dei disturbi somatici riferiti dal proprio assistito: “Nelle ultime due settimane si sentito giù, depresso o disperato?”, “Ha provato scarso interesse od insoddisfazione nelle sue abituali attività?”. Una risposta affermativa indicherà l’opportunità di un approfondimento diagnostico specialistico, che consentirebbe di riconoscere il 90% dei casi di depressione maggiore presenti nella popolazione afferente ai servizi di medicina di base.
Sull’opportunità che il medico di famiglia trovi tempi e modi per indagare con particolare attenzione anche lo stato emozionale dei propri assistiti concordano Wu, Parkerson e Doraiswamy, del Duke University Medical Center, che allo scopo suggeriscono un breve questionario, da somministrare nella sala d’attesa prima della visita ambulatoriale. Una ricerca da loro condotta dimostra infatti che il riconoscimento di uno stato depressivo possibile solo con strumenti specifici e soprattutto che sintomi comuni, come la cefalea, i dolori articolari ed i dolori addominali, non possono essere considerati indicatori attendibili di uno stato di ansia o di depressione, pur essendo frequente la loro coesistenza con un disturbo dell’affettività. E’ utile fare riferimento anche al nostro Paese: il quadro non differisce di molto e i medici di medicina generale devono rivolgere molta della loro attenzione ai pazienti anziani.
I risultati di un recente studio epidemiologico nazionale, promosso dalla Società Italiana di Medicina Generale e coordinato dall’Università di Bologna, confermano l’elevata prevalenza (9% circa) della patologia depressiva (definita come episodio depressivo in atto, secondo i criteri dell’ICD-10) negli ultrasessantenni afferenti alle strutture sanitarie di base, senza sostanziali differenze geografiche tra Nord e Sud. Dalla ricerca italiana emerge anche che le manifestazioni cliniche nell’anziano non differiscono da quelle del soggetto più giovane; la depressione in età geriatrica si caratterizza invece per la frequente coesistenza di una patologia organica e per l’associazione ad una significativa disabilità. La disabilità determina un aumento dei costi sociali ed incide ovviamente sulla qualità di vita individuale, motivando un più frequente ricorso dell’anziano depresso al consulto medico.
Bibliografia
- U.S. Preventive Services Task Force.
Screening for depression: recommendations and rationale.
Ann Intern Med 2002; 136: 760-764. [testo completo] - Wu LR, Parkerson GR Jr, Doraiswamy PM.
Health perception, pain, and disability as correlates of anxiety and depression symptoms in primary care patients.
J Am Board Fam Pract 2002; 15(3): 183-190. [testo completo]. - Whooley MA, Avins AL, Miranda J, Browner WS.
Case-finding instruments for depression. Two questions are as good as many.
J Gen Intern Med 1997; 12: 439-45. - Berardi D, Leggieri G, Ceroni GB, et al.
Depression in primary care. A nationwide epidemiological survey.
Fam Pract 2002; 19 (4): 397-400. - Berardi D, Menchetti M, De Ronchi D, Rucci P, Leggieri G, Ferrari G.
Late-Life Depression in Primary Care: A Nationwide Italian Epidemiological Survey.
Journal of the American Geriatrics Society 2002; 50 (1): 77
- Funzionalità delle HDL e rischio cardiovascolare
- Fonte www.sisa.it
- Il legame tra HDL (High Density Lipoprotein) e rischio di malattie cardiovascolari è più complicato di quanto normalmente si pensi. Anche se numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione indipendente tra i livelli plasmatici di HDL e il rischio di malattie cardiovascolari, i risultati degli studi in soggetti con deficit genetici di HDL e gli studi clinici con farmaci in grado di aumentare i livelli plasmatici di HDL hanno mostrato risultati contrastanti.
Queste differenze potrebbero essere collegate all’eterogeneità delle HDL in termini di composizione, struttura e funzioni biologiche. Per esempio, in soggetti dislipidemici con bassi livelli di HDL, le particelle più piccole e dense quali le HDL 3 sono meno efficaci nel proteggere LDL (Low Density Lipoprotein) dall’ossidazione. Questa osservazione ha portato a suggerire che la funzionalità delle HDL possa essere importante tanto quanto i livelli plasmatici di HDL-colesterolo. In linea con questa ipotesi si inserisce il recente lavoro pubblicato su NEJM.
Gli autori hanno ipotizzato che la capacità delle HDL di promuovere l’efflusso di colesterolo (cioè la capacità delle HDL di accettare colesterolo dai macrofagi, azione che riflette l’attività antiaterogena delle HDL) possa essere predittivo della malattia aterosclerotica indipendentemente dai livelli plasmatici di HDL-colesterolo. Gli autori hanno misurato ex vivo la capacità di promuovere l’efflusso di colesterolo da campioni di siero depleti di ApoB (Apolipoprotein B) di volontari sani (n=203) e pazienti con o senza evidenza angiografica di malattia coronarica (>50% stenosi) (442 casi e 351 controlli). Nella coorte di volontari sani è stata inoltra valutato l’ispessimento medio-intimale carotideo (cIMT). In quest’ultima coorte è stato osservata una correlazione inversa e significativa tra la capacità di efflusso del colesterolo e cIMT anche dopo aggiustamento per i livelli di HDL-colesterolo plasmatico o per i livelli di apolipoproteina A-I. In modo sorprendente non è stata trovata alcuna associazione tra i livelli di HDL-colesterolo e cIMT. - Nello studio caso-controllo, i pazienti con malattia coronarica, non solo hanno mostrato livelli più bassi di HDL colesterolo e apolipoproteina A-I, ma anche una minore capacità nel promuovere l’efflusso di colesterolo. L’analisi di regressione logistica ha mostrato che l’aumento della capacità di efflusso del colesterolo è un predittore indipendente della diminuzione del rischio cardiovascolare. Questa associazione rimane robusta anche quando i livelli di HDL colesterolo vengono inclusi come covariata nel modello. Un altro studio, pubblicato recentemente su JACC, ha mostrato come la capacità di efflusso del colesterolo aumenta in pazienti con sindrome metabolica e bassi livelli di HDL trattati con pioglitazone, ma non nei pazienti ipercolesterolemici trattati con statine e che il trattamento si associa con un ritardo nella progressione dell’ateroma. Non è da escludere la possibilità che quest’ultima osservazione possa essere legata agli effetti sui livelli e sulla funzionalità delle HDL.
Queste osservazioni potrebbero suggerire la rilevanza della misura della capacità di promuovere l’efflusso di colesterolo come indice dell’attività funzionale delle HDL. In aggiunta a questa osservazione è importante sottolineare come la valutazione di altre capacità delle HDL, quali quelle antiossidanti ed antiinfiammatorie, possano contribuire all’azione ateroprotettiva. Infine dal punto di vista clinico la possibilità di migliorare le capacità funzionali delle HDL oltre ad aumentare i livelli circolanti rappresenta un’ importante strategia terapeutica. - Cholesterol efflux capacity, high-density lipoprotein function, and atherosclerosis Khera AV, Cuchel M, de la Llera-Moya M, Rodrigues A, Burke MF, Jafri K, French BC, Phillips JA, Mucksavage ML, Wilensky RL, Mohler ER, Rothblat GH, Rader DJ. N Engl J Med 2011;364:127-35
- Lowering the triglyceride/high-density lipoprotein cholesterol ratio is associated with the beneficial impact of pioglitazone on progression of coronary atherosclerosis in diabetic patients: insights from the PERISCOPE Study Nicholls SJ, Tuzcu EM, Wolski K, Bayturan O, Lavoie A, Uno K, Kupfer S, Perez A, Nesto R, Nissen SE. J Am Coll Cardiol 2011;57:153-9
- 06-13-UNV-2011-IT-5603-NL
- Celiachia: le indicazioni dietetiche da fornire. La diagnosi oggi è più comune in età adulta
- Proposto un iter diagnostico differenziato in base alla gravità dei sintomi
- Il morbo celiaco è dovuto ad un’intolleranza permanente al glutine causante un’atrofia dei villi dell’intestino tenue ed un conseguente malassorbimento di gravità variabile (NEJM 2007, 357: 1731-1743; Ann Intern Med 2005, 142: 289-298).
La prevalenza della celiachia è stimata del 1-1,5% della popolazione e viene sottostimata dal numero dei casi diagnosticati (www.ministerosalute.it). - La celiachia può essere del tutto asintomatica o invece manifestarsi in età adulta o pediatrica solo con dolori addominali ricorrenti e/o con ritardo di crescita o bassa statura, calo ponderale, steatorrea, diarrea o stipsi e numerose manifestazioni extra-intestinali (astenia da anemia da carenza di ferro, folati o vitamina B12, iperparatiroidismo e osteopenia da carenza di vitamina D e calcio, displasia dello smalto dentario, tetania da ipocalcemia, emorragie e porpora da carenza di vitamina K, xeroftalmia da carenza di vitamina A, edemi da enteropatia protido-disperdente con ipoalbuminemia, ipertransaminasemia da epatite autoimmune, alopecia, dermatite erpetiforme, stomatite aftosa, ecc.). La celiachia può associarsi ad altre malattie autoimmuni e se non diagnosticata o non curata può essere complicata da coliti, linfomi e altre neoplasie del tenue e dell’esofago (Br Med J 2004, 329: 716-719).
- Diagnosi
Sono test diagnostici di screening per la celiachia la ricerca nel siero di anticorpi anti-transglutaminasi, anti-endomisio, anti-gliadina. Il gold standard diagnostico è la biopsia, mediante endoscopia, della mucosa del digiuno che appare appiattita e documenta all’esame istologico l’atrofia dei villi intestinali, l’iperplasia delle cripte e l’infiltrazione linfocitaria della lamina propria, lesioni reversibili escludendo il glutine dalla dieta.La celiachia non è più intesa come una patologia solo pediatrica in quanto attualmente l’età media di diagnosi è di circa 40 anni.
La determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio ha dimostrato una sensibilità del 78% ed una specificità del 100% per la diagnosi di celiachia (Br Med J 2007, 335: 1244-1247).
La biopsia intestinale mediante endoscopia per accertare la diagnosi può essere rifiutata dai pazienti in quanto esame invasivo e inoltre l’esito istologico riscontrabile nella celiachia è riscontrabile anche in altre patologie ( tabella 1), ma esistono forme di celiachia sieronegative in cui la biopsia è determinante per la diagnosi. Perciò è stato proposto e validato un iter diagnostico che distingue i soggetti ad alto e basso rischio di celiachia in base alla sintomatologia riferita, proponendo quindi a coloro che presentano disturbi aspecifici come dolore addominale, dispepsia, nausea e vomito solo la determinazione degli anticorpi specifici, proponendo invece a coloro che presentano perdita di peso, anemia e diarrea la determinazione degli anticorpi specifici seguita sempre, anche in caso di loro negatività, dalla biopsia digiunale (Br Med J 2007, 334: 729). - Terapia
La dieta priva di glutine è l’unica terapia efficace per la celiachia (www.celiachia.it).Il glutine è presente, ad esempio, nelle farine di frumento, orzo, segale, nel malto, crusca, pane, pasta, pizza, dadi da brodo, lievito di birra, birra, caffè solubile, olio di semi vari, margarina, formaggini, dolciumi, biscotti, cioccolate, gelati confezionati che quindi sono cibi vietati. L’avena non contiene glutine, ma può essere contaminata dal glutine. Così pure i cibi industriali preconfezionati o surgelati.
Sono cibi consentiti nella dieta: riso, mais, miglio, fecola di patate, grano saraceno, soia, tapioca, olio d’oliva, olio di mais e di arachide e di girasole, carni e pesce (non impanati con farine vietate), uova, verdura e frutta fresca, latte e derivati se non è presente un’intolleranza al lattosio secondaria, tè, caffè, spremute e succhi di frutta, vino.
L’associazione dei pazienti celiaci fornisce un’informazione dettagliata sui cibi permessi che di norma presentano sulle confezioni un logo con la spiga barrata attestante che il prodotto è privo di glutine (www.celiachia.it).Il Sistema Sanitario ai sensi della legge n. 123 del 4 luglio 2005 fornisce gratuitamente ai soggetti con diagnosi accertata prodotti alimentari privi di glutine attraverso le farmacie cui si accede con prescrizione del medico curante facente riferimento al Decreto Ministeriale n.279 del 18 maggio 2001 e prevede la possibilità di fornire alimenti senza glutine nelle mense scolastiche, ospedaliere e di strutture pubbliche. - 01-12-UNV-2009-IT-2647-W
- Alopecia androgenica: linee guida per la diagnosi
- Raccomandazioni utili per la gestione competente dei pazienti che manifestano perdita di capelli
- Key words: alopecia, linee guida
- L’Alopecia androgenetica (AGA) è la più comune condizione che provoca perdita di capelli e colpisce sia gli uomini che le donne. A causa della sua frequenza e della compromissione spesso significativa della vita percepita dai pazienti che ne sono affetti, richiede una consulenza competente del medico, per una corretta diagnosi e un appropriato trattamento. In generale l’AGA è una diagnosi clinica in cui l’anamnesi del paziente e la sua valutazione obiettiva possono orientare ad ulteriori test diagnostici. Considerando che sul problema della perdita dei capelli esistono poche linee guida basate sull’evidenza il Gruppo di Consenso Europeo ha deciso di formulare delle linee guida S1 (1) per la diagnosi di AGA pubblicate sul British Journal of Dermatology e delle linee guida S3 (2) per il trattamento di AGA pubblicate sul Journal of the German Society of Dermatology.
- Il documento definisce AGA una progressiva miniaturizzazione non cicatriziale del follicolo pilifero con una distribuzione secondo uno schema caratteristico negli uomini e nelle donne geneticamente predisposti. Negli uomini, l’AGA mostra un modello di distribuzione tipico, ma a volte è possibile osservare nel maschio un modello femminile. Nelle donne, l’AGA si presenta tipicamente con una diffusa riduzione della densità dei capelli nelle aree frontale e centrale, ma possono essere coinvolte anche le regioni parietali ed occipitali. E’ possibile che l’AGA si manifesti nelle donne con un modello maschile. Poiché la diagnosi è clinica, vanno escluse altre malattie che possono coinvolgere il cuoio capelluto e la crescita dei capelli. Poiché esistono trattamenti selettivamente efficaci nell’AGA, come la finasteride, si può considerarne l’impiego per escludere il coinvolgimento di altre patologie con le stesse modalità di caduta dei capelli.
- La prevalenza nel maschio di AGA è più elevata nella popolazione caucasica, raggiungendo l’80% negli uomini > 70 anni, rispetto al 60% nella popolazione asiatica. Mancano informazioni per gli uomini africani, mentre negli afro -americani la calvizie è 4 volte meno comune rispetto ai caucasici. La gravità della calvizie del maschio aumenta con l’aumentare dell’età in tutti i gruppi etnici, con i primi segni di profonda recessione frontale e alle tempie che si possono manifestare durante l’adolescenza anche se, nella maggior parte dei casi, l’esordio inizia successivamente. Dopo i 70 anni circa il 60% dei maschi caucasici è calvo. Anche nelle donne la frequenza e la gravità dell’AGA aumentano con l’età. I tassi di prevalenza variano dal 3-6% al di sotto dei 30 anni fino al 29-42% in donne di età > 70 anni, con una frequenza inferiore delle donne orientali rispetto alle europee. Mancano i dati sulle donne africane.
- L’AGA è un tratto androgeno-dipendente che porta alla progressiva miniaturizzazione dei follicoli dei capelli negli uomini predisposti geneticamente e con un’aumentata densità dei recettori degli androgeni e/o aumento dell’attività della 5 alfa -reduttasi di tipo II. In questi soggetti i livelli circolanti di androgeni sono normali e l’analisi della famiglia mostra un aumento significativo del rischio di sviluppare AGA negli uomini con padre affetto. Attualmente le evidenze sono a sostegno della tesi che l’AGA sia un tratto poligenico, inoltre sono state riportate associazioni significative con la regione variabile del gene per il recettore degli androgeni sul cromosoma X ed è stato identificato un locus di suscettibilità sul cromosoma 20p11. Il ruolo degli androgeni nella donna è meno certo ed è possibile che le forme di AGA femminile ad esordio precoce e tardivo rappresentino due entità geneticamente distinte. Il Gruppo di Consenso Europeo ha cercato di definire un subset di donne con AGA associata ad alterazioni ormonali.
- Sotto il profilo clinico, nella maggior parte degli uomini, l’AGA coinvolge la zona fronto -temporale e il vertice secondo il modello della scala di Hamilton -Norwood, mentre in alcuni casi si sviluppa un assottigliamento diffuso della corona con mantenimento dell’attaccatura frontale analoga al pattern di Ludwig osservato nelle donne. Nella donna si osservano essenzialmente 3 patterns di perdita di capelli: nel primo si evidenzia un diffuso assottigliamento della corona frontale con attaccatura conservata. Il processo viene rappresentato sia dalla scala di Ludwig (a 3 punti) che dalla scala di Sinclair (a 5 punti); il secondo vede un assottigliamento e ampliamento della parte centrale del cuoio capelluto con compromissione della linea frontale come nella scala di Olsen; nel terzo modello si assiste ad un diradamento associato a recessione bitemporale, secondo la scala di Hamilton -Norwood.
- Nella valutazione clinica è fondamentale registrare quando si è verificata la prima manifestazione di caduta dei capelli e le sue caratteristiche (cronica o intermittente). I primi sintomi di AGA possono essere il prurito e la tricodinia. Spesso è presente una familiarità, anche se la sua negatività non esclude la diagnosi. Vanno escluse condizioni concomitanti come la carenza di ferro, che spesso determina perdita diffusa di capelli nelle donne, o altre cause di effluvium diffuso come infezioni gravi o disfuzioni della tiroide. E’ opportuno sondare il comportamento alimentare che, per diete carenti o rapida perdita di peso, può innescare l’effluvium diffuso. L’anamnesi farmacologica è importante perché molti farmaci possono indurre la perdita dei capelli (chemioterapici, steroidi anabolizzanti, ormoni con azione antitiroidea) Un ruolo significativo può esser giocato da alcuni stili di vita come acconciature speciali, fumo, esposizione a raggi UV. Le donne con AGA solitamente hanno una fisiologica funzione ormonale, ma questo non esclude un’attenta anamnesi ginecologica orientata a definire menarca, tipo di ciclo, presenza di menopausa, amenorrea, uso di contraccezione ormonale orale o sistemica, fertilità, gravidanze, chirurgia ginecologica, segni di iperandrogenismo. Negli adolescenti è fondamentale discriminare una perdita di capelli congenita da un’acquisita. L’AGA è una perdita di capelli di tipo acquisito con una distribuzione caratteristica e differisce dall’effluvium diffuso da fattori nutrizionali, dall’alopecia indotta o dal’ipotricosi simplex (congenita). L’AGA senza segni di pubertà precoce comunque non deve esimere dall’acquisire il parere dell’endocrinologo pediatra.
- La valutazione clinica comprende l’esame del cuoio capelluto che nell’AGA di solito è normale. Può essere associata una dermatite seborroica che potenzialmente è un fattore aggravante. E’ importante la ricerca dei segni di flogosi, seborrea e di cicatrici. L’alopecia areata e l’alopecia cicatriziale possono mimare un AGA specialmente frontale. E’ possibile che il cuoio capelluto sia atrofico in AGA di lunga durata. Si raccomanda di esaminare la distribuzione dell’alopecia confrontando le aree frontale occipitale e temporale. In alcune donne con AGA è possibile osservare un’atrichia focale di pochi millimetri di diametro. Nei maschi l’AGA si presenta con una distribuzione di tipo maschile per recessione bitemporale e/o recessione e diradamento di vertice e talvolta anteriore. Nel 10% degli uomini l’AGA si presenta con un modello femminile. La distribuzione della perdita nelle donne è più diffusa, accentuata nel cuoio capelluto frontale, ma con conservazione dell’attaccatura. Le scale di valutazione più usate nella pratica clinica sono per l’uomo la scala di Hamilton -Norwood e per la donna le scale di Ludwig e di Olsen. Nella donna che consulta il medico in una fase precoce di perdita dei capelli la scala di Sinclair offre più possibilità di categorizzare la paziente rispetto alle altre scale. L’esame della peluria del viso e del corpo, la sua densità e la sua distribuzione orientano verso un’alopecia areata in assenza o netta riduzione delle ciglia e sopracciglia, reperto che può far pensare anche all’alopecia frontale fibrotica. Una crescita di peluria con distribuzione nelle aree terminali del corpo orienta all’ipertricosi etnica, o farmacologica, o all’irsutismo. Acne, seborrea e obesità sono suggestivi di iperandrogenismo. Le alterazioni ungueali possono essere presenti nell’alopecia areata, nel lichen planus e in alcune forme di carenza.
- Tra gli esami di laboratorio Ferritina e TSH trovano indicazione solo se supportati dalla storia del paziente e in presenza di un effluvium diffuso. Nei maschi non c’è indicazione all’esecuzione di esami di laboratorio per la diagnosi di AGA. Nei soggetti > 45 anni è raccomandabile il dosaggio del PSA prima di iniziare la terapia con finasteride, farmaco in grado di ridurne la concentrazione sierica e potenzialmente ritardare la diagnosi in caso di neoplasia prostatica. Nelle donne non è necessario esegire un work up endocrinologico e una valutazione interdisciplinare (ginecologo, endocrinologo, dermatologo). E’ necessaria solo se esiste un sospetto clinico di eccesso di androgeni (es. s. ovaio policistico). Sono considerati solo due test di screening: il testosterone totale e la SHBG, utili per l’identificazione dell’iperandrogenismo, ricordando che i dosaggi vanno eseguiti solo in donne che non assumono ormoni come ad esempio i contraccettivi orali per almeno due mesi.
Nei bambini e negli adolescenti con un’insorgenza precoce di AGA si impone un approccio multidisciplinare tra dermatologo, pediatra ed endocrinologo. Diversi test possono essere impiegati per confermare la diagnosi di AGA come il pull test, la dermatoscopia, la fotografia globale, il tricoscan, il tricogramma, la biopsia, ma l’AGA è essenzialmente una diagnosi clinica e queste linee guida offrono al medico pratico le raccomandazioni essenziali per un rapido e corretto inquadramento. - Bibliografia
(1) U. Blume -Peytavi; A. Blumeyer; A. Tosti; A. Finner; V. Marmol; M. Trakatelli; P. Reygagne; A. Messenger S1 Guideline for Diagnostic Evaluation in Androgenetic Alopecia in Men, Women and Adolescents Br J Derm 2011;164(1):5 -15
(2) A. Blumeyer, A. Tosti, A. Messenger, P. Reygagne,V. del Marmol, P. I. Spuls, M. Trakatelli, A.Finner, F. Kiesewetter, R.Trüeb, B.Rzany, U. Blume -Peytavi Evidence -based (S3) guideline for the treatment of androgenetic alopecia in women and in men - DERM-1026727 – 0000-UNV -W-02/2014
- Riso bianco e diabete 2, il link c’è
- Esiste una correlazione diretta tra consumo di riso bianco e rischio di diabete 2, e questo soprattutto in Asia, dove un massiccio consumo di questo alimento è estremamente diffuso e ha un impatto epidemiologico importante, sul quale si potrebbe intervenire modificando le abitudini alimentari della popolazione. Lo rivela una meta-analisi pubblicata dal British Medical Journal.
- Nel mondo esistono più di 140.000 differenti varietà di riso, ma è possibile operare una distinzione amonte tra riso bianco (più correttamente definito “raffinato”) e integrale: nel primo caso il chicco di risoviene lavorato per liberarlo dalle parti tegumentali (lolla o pula). Il riso bianco è quello più consumato in ogni regione del mondo ed è un alimento con elevato indice glicemico (IG), e sono ormai numerosi gli studi che associano una dieta ricca di alimenti con IG alto adun più elevato rischio di insorgenza di diabete 2.
- Poiché il consumo pro capite di riso bianco si diversifica molto tra Asia e Paesi occidentali (in Cina, per fare un esempio, il consumo medio è di 4 porzioni al giorno, mentre in Europa si viaggia sotto alle 5 porzioni a settimana) e il rischio di eterogeneità dei dati era in agguato, i ricercatori della Harvard School ofPublic Health coordinati da Qi Sun hanno effettuato una meta-analisi prendendo in esame i dati relativi a 4 studi di coorte prospettici (due svolti in Asia – e precisamente in Cina e Giappone – uno svolto negli Usa euno in Australia) su complessive 352.384 persone, seguite con un follow-up di 4-22 anni.
- In tutto 13.284 casi di diabete 2 sono stati accertati nella popolazione dei quattro studi, per un rischio combinato di 1,55 (95% CI 1,20-2,01) in Asia e un rischio relativo 1,12 (0,94-1,33) nei Paesi occidentali. Nella popolazione generale, la meta-analisi dose-rispostaindica che ad ogni porzione quotidiana di riso bianco consumata in più corrisponde un rischio relativo didiabete 2 di 1,11 (1,08-1,14), cioè in sostanza a un aumento del 10% del rischio.
- “Un intake elevato di riso raffinato è associato a un significativo innalzamento del rischio di insorgenza di diabete di tipo 2”, concludono gli autori. Essendo stata rilevata una correlazione diretta tra intake e rischio, ovvio che le popolazioni asiatiche siano più esposte, ma la riflessione è generale: occorre innalzare il consumo di cereali integrali diminuendo al contempo quello di cereali raffinati.
- ▼Sun Q, Hu EA, Pan A, Malik V. White rice consumption and risk of type 2 diabetes: meta-analysis and systematic review. BMJ 2012;344 doi: 10.1136/bmj.e1454
- DIAB-1035041-0000-UNV-W-04/2014
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