La conferenza internazionale sulla Malattia di Alzheimer a Chicago. Demenza: cosa c’è di nuovo?

Indicazioni alla diagnosi precoce, agli stili di vita e a testare nuovi farmaci

I fattori di rischio della demenza vanno ricercati molto tempo prima dell’esordio della malattia. Tre recenti studi (Neurology 2008, 71: 1051-6, 1057-64 e 1065-71) hanno dimostrato che:

  1. esiste un’associazione tra minori abilità cognitive in età infantile e maggior rischio di demenza vascolare,
  2. esiste un’associazione tra obesità androide in età media e maggior rischio di demenza,
  3. esiste un’associazione tra resistenza insulinica e maggior rischio di demenza vascolare.

In un altro studio, un elevato grado di istruzione oppure un’attività intellettualmente impegnativa hanno dimostrato di ritardare la comparsa di sintomi di demenza da malattia di Alzheimer (www.neurology.org). Questo studio, condotto all’Istituto San Raffaele di Milano, ha impiegato nella valutazione dei casi anche il metodo di misurazione dell’utilizzazione cerebrale del glucosio da parte dei neuroni mediante la tomografia a emissione di positroni (PET): meno glucosio viene consumato, più è alto il deterioramento neuronale.

L’esercizio fisico risulta efficace nel mantenere le abilità cognitive: tra gli ultracinquantenni con iniziali amnesie il gruppo di coloro che praticavano attività fisica ha dimostrato dopo 18 mesi di follow up risultati migliori nei testi di valutazione cognitiva rispetto al gruppo di coetanei sedentari (http://jama.ama-assn.org).

Questi dati sottolineano l’importanza degli stili di vita salutari e del ruolo che il medico curante può avere nell’incoraggiare gli assistiti a praticare attività fisica, a seguire un’alimentazione corretta per controllare il peso corporeo, a coltivare interessi intellettuali per allenare la memoria, a riconoscere precocemente i sintomi di demenza e modificare i fattori di rischio riconosciuti.
Una condizione precoce di rischio è il “Deterioramento Cognitivo Lieve” (MIC = Mild Cognitive Impairment) caratterizzato da: disturbo soggettivo di memoria, disturbo obiettivo di memoria, integrità delle altre funzioni cognitive, conservata autonomia nella vita di tutti i giorni e assenza di criteri per la diagnosi di demenza. Il deterioramento cognitivo lieve è stato descritto per la prima volta nel 1999 da Ronald Peterson della Mayo Clinic di Rochester (USA) ed oggi è ancora controverso se è da considerare uno stadio precedente la demenza o solo un fattore di maggior rischio: dopo 4 anni dall’esordio il 50% dei pazienti con MCI presenta sintomi di malattia di Alzheimer. Ma non tutti i pazienti con MCI diventano dementi: alcuni mantengono una stabilità clinica e altri mostrano un recupero cognitivo.

Nell’Unione Europea oggi vivono 6,1 milioni di persone affette da demenza, secondo le stime raccolte da Maurice O’Connell, presidente di Alzheimer Europe (www.alzheimer-europe.org).La prevalenza di demenze negli ultraottantacinquenni è stimata intorno al 30% (NEJM 2004, 351: 56-67). Gli anziani dementi vengono in maggioranza assistiti dai familiari a domicilio e questi familiari nel 90% dei casi giudicano insufficiente l’assistenza socio-sanitaria ricevuta in Italia, secondo una ricerca condotta dall’ISPO, Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione (www.fondazione-manuli.org).
Le dimensioni crescenti del fenomeno hanno indotto Nicolas Sarkozy, in qualità di presidente di turno dell’Unione Europea, a promuovere entro il 2010 l’adozione di un piano europeo contro l’Alzheimer seguendo tre direttrici: la ricerca, l’assistenza e l’etica.

In merito alla ricerca, nella Conferenza Internazionale sulla Malattia di Alzheimer (ICAD), tenutasi a Chicago il 26-31 luglio 2008, sono state presentate le evidenze finora disponibili.

  • I ricercatori hanno concordato che gli studi sull’efficacia dei farmaci dovrebbero essere condotti su pazienti in cui la demenza è ancora allo stadio iniziale e non da lieve a moderato come definito dai criteri NINDS-ADRDA.
  • l’anticipazione della soglia di rilevamento della demenza probabilmente sarà praticabile attraverso l’impiego di marcatori liquorali quali la proteina tau e l’ABeta42, tecniche di imaging e alcuni test cognitivi. In Italia il Centro Alzheimer Fatebenefratelli di Brescia guida questo filone di studi.
  • La conferma del maggior rischio di demenza multinfartuale correlato all’uso degli antipsicotici atipici per i disturbi del comportamento (JAMA 2005, 293: 596-608), ha indotto a raccomandare prudenza ai medici nell’impiego di questi farmaci nei pazienti con demenza (www.bmj.com).
  • I ricercatori hanno inoltre presentato studi sulle ipotesi eziologiche per la demenza della neurotossicità indotta dall’amiloide, dalla proteina tau, dall’infiammazione cronica.
  • Il blu di metilene, già utilizzato come disinfettante urinario, si è mostrato capace di ridurre di oltre l’80% la proteina tau neurotossica e è quindi studiato da 2 anni all’Università di Aberdeen in Scozia in un gruppo di 321 pazienti nell’ipotesi che possa ridurre la progressione della demenza di Alzheimer.
  • L’etarnecept, già usato come antinfiammatorio per curare psoriasi e artrite reumatoide, è stato studiato per i suoi presunti effetti positivi sulla memoria negli USA (BMC Neurology, luglio 2008), l’antistaminico dimebon è sperimentato in Russia per i suoi presunti effetti sullo stato cognitivo e sul comportamento (www.thelancet.com) e così pure molti altri farmaci. Infine è stato avviato lo studio per un vaccino di seconda generazione (ACC-0001) prodotto da Elan e Wyeth con l’approvazione della FDA negli USA La prudenza è d’obbligo per non creare false speranze.

01-12-UNV-2009-IT-2662-W 

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