Linfadenopatia sospetta

In un editoriale apparso nell’agosto 2006 sull’American Family Physician (1 ) veniva proposto uno scenario clinico di un paziente di 48 anni con una storia di cancro del colon retto che si recava dal proprio medico di famiglia per la comparsa di astenia, febbricola e senso di costrizione retro-sternale. L’ecocardiogramma, l’ECG e l’esame clinico obiettivo erano normali, ma per il persistente disturbo toracico il medico aveva proposto un check-up cardiologico completo ed esami di routine i quali documentarono un’anemia. Visti gli esami veniva proposta la colonscopia. Alla visita successiva il paziente si presentò accompagnato dalla moglie che esordì affermando – Dottore credo che mio marito abbia un linfoma. – conclusione a cui erano arrivati dopo una ricerca approfondita via Internet sulle possibili cause dei sintomi riferiti dal marito. Una TC del torace confermò un ingrandimento dei linfonodi mediastinici conseguente ad un Linfoma non-Hodgkin.

Questo caso clinico permette di focalizzare l’attenzione su alcuni concetti generali utili nella pratica clinica, ovvero che:

  1. Il paziente è altamente motivato al raggiungimento della sua diagnosi
  2. Ha un rapporto molto stretto con i propri sintomi
  3. E’ disposto a dedicare più tempo del medico all’analisi delle diagnosi potenziali

Ne consegue che l’attenzione e il tempo medico dedicati al paziente in fase diagnostica hanno rappresentato due fattori critici per l’esito di questo processo decisionale, assunto che è possibile generalizzare. Nei linfomi spesso, come in buona parte dei tumori delle parti esterne (cute, tiroide, mammella, testicoli, cavo orale), è possibile orientarsi dopo una semplice visita che documenta un ingrandimento dei linfonodi superficiali, anche se l’esempio riportato rende l’idea della complessità in cui si opera nella pratica clinica.

In una revisione della letteratura scientifica apparsa sui Mayo Clinic Proceeding (2 ) è stato affrontato il tema dell’approccio clinico della linfadenopatia partendo dalla distinzione tra un reperto attribuibile ad una malattia autolimitante benigna rispetto a una patologia maligna. Di seguito è importante, nelle linfadenopatie maligne, poter discriminare tra il sospetto di un carcinoma o di un linfoma per le differenti competenze specialistiche coinvolte (oncologo o ematologo) per l’appropriato trattamento.
Gli studi condotti nell’ambito delle cure primarie hanno posto l’attenzione su alcuni fattori predittivi utili al Medico di Medicina Generale (MMG) nell’orientamento del giudizio clinico circa la malignità o meno di una linfadenopatia elencate nella

TAB.1.

Le malattie linfoproliferative non hanno predilezione per l’età, mentre è più facile che i carcinomi insorgano dopo i 50 anni. La diagnosi differenziale con la mononucleosi infettiva è prioritaria nei soggetti giovani, nei quali la dimensione dei linfonodi, la loro localizzazione e il tempo di insorgenza rappresentano i fattori che orientano all’esecuzione della biopsia. In generale i soggetti con linfonodi che si manifestano al di fuori della regione inguinale, di diametro >1 cm e con un tempo di insorgenza superiore ai 30 gg senza che si sia raggiunta una diagnosi plausibile sono da indirizzare rapidamente all’ematologo.

Il trattamento empirico della linfadenopatia con antibiotici o cortisone non è raccomandabile, anche se rappresenta una pratica comune in medicina generale.
L’associazione di segni e sintomi può essere molto variabile e il paziente può essere asintomatico. I sintomi sistemici (febbre <=38°C, sudorazione notturna, calo ponderale >10% ) sono suggestivi di malattia linfoproliferativa, ma va considerato che sono presenti anche nelle malattie infettive. Inoltre i pazienti con Malattia di Hodgkin possono accusare algie linfonodali dopo ingestione di bevande alcooliche.
Le caratteristiche di consistenza dei linfonodi non sono di particolare aiuto nel discriminare tra lesioni benigne o maligne, anche se linfonodi duro- lignei, confluenti e mal delimitabili sono spesso associati alle neoplasie solide o ai linfomi. La dolorabilità linfonodale alla palpazione può essere più suggestiva di una lesione infiammatoria, ma anche linfonodi maligni in rapida evoluzione possono essere dolenti per alterazioni strutturali secondarie a emorragia e necrosi.

La splenomegalia associata a linfadenopatia è frequente nella mononucleosi, nei linfomi Hodgkin e Non-Hodgkin e nella leucemia linfatica cronica; è rara nei carcinomi metastatici.Mentre la presenza di febbre apre un ampio ventaglio di diagnosi differenziali.Il tipo di localizzazione delle masse linfonodali è un fattore condizionante l’invio del paziente allo specialista per la biopsia. In questo caso il valore predittivo dell’esame varia al variare della sede di biopsia. Un prelievo bioptico ai linfonodi della regione inguinale è quello meno utile per raggiungere la diagnosi, mentre i linfonodi sovraclaveari sono i maggiormente predittivi di linfadenopatia maligna, come è stato dimostrato da una analisi su 550 pazienti pubblicata sul British Journal of Cancer (3 ) in cui questa ipotesi è stata confermata insieme ad altri indici di malignità rappresentati dal sesso maschile, l’età, la razza bianca e il contemporaneo coinvolgimento di 2 o più aree linfonodali.

In conclusione nel caso di una linfadenopatia è possibile che il paziente porti all’attenzione del medico non solo i sintomi, ma anche le proprie ipotesi diagnostiche fruendo dell’enorme mole di conoscenze disponibile sul web, ipotesi che possono a volte migliorare la gestione del rapporto medico-paziente.

Bibliografia

  1. Alper BS Curbside consultation Usefulness of Online Medical Information Am Fam Phys 2006;74:482
  2. Habermann TM, Steensma DP Lymphadenopthy Mayo Clinic Proc 2000;75:723-32
  3. Chau I et al Rapid access multidisciplinary lymph node diagnostic clinic: analisis of 550 patients Brit J Cancer 2003;88:354-61

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