Campania. Il Tar boccia il decreto sulle autorizzazioni per farsi curare fuori Regione
Per i giudici il decreto commissariale è stato emanato senza alcuna intesa con la Conferenza delle Regioni e limita il diritto alla libertà di scelta . “È da escludere che una Regione, sia pure per esigenze di riequilibrio finanziario, possa disciplinare unilateralmente la propria mobilità passiva”. LA SENTENZA
20 GIU – Il Tar della Campania boccia e annulla il decreto commissariale n.156 della Regione Campania che disponeva come per curarsi fuori Regione (limitatamente ad alcuni interventi) il cittadino avrebbe dovuto richiedere alla Asl competente un’autorizzazione. I giudici hanno accolto il ricorso presentato da una clinica di Formia nel Lazio.
Per i giudici che hanno accolto i rilievi del ricorrente “la Regione Campania avrebbe regolato la materia senza alcuna intesa con le Regioni di confine e in assenza di alcun accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni, in contrasto con l’accordo interregionale per la compensazione della mobilità sanitaria approvato dalla Conferenza delle Regioni (ed annessa Tariffa Unica Convenzionale); violazione dell’art. 8-sexies del d. lgs. n. 502 del 1992, che demanderebbe al Ministero d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni la fissazione dei criteri per la compensazione dell’assistenza prestata ai cittadini in Regioni diverse da quella di appartenenza; violazione dell’art. 19 del Patto per la Salute adottato il 3/12/2009 in Conferenza Stato-Regioni, che contemplerebbe l’individuazione mediante accordi tra le Regioni confinanti di adeguati strumenti per governare il fenomeno della mobilità sanitaria”.
Ma non solo “le ASL non avrebbero costituito le Commissioni che avrebbero il compito di rilasciare le autorizzazioni in questione; non sarebbe precisata neppure la composizione di tali organi”. E poi “la determinazione, concernente solo le Regioni limitrofe, sarebbe discriminatoria; le tabelle sui saldi di mobilità interregionale dimostrerebbero che altre Regioni avrebbero assorbito il maggior flusso di migrazione assistenziale; l’onere per la mobilità verso le Regioni limitrofe sarebbe inferiore a quello di altre Regioni”.
E poi c’è la questione sollevata dal ricorrente rispetto alla “limitazione del diritto di libera scelta del luogo di cura violerebbe gli arttt. 13 e 32 cost., la cui restrizione non sarebbe giustificata o bilanciata da altre ragioni di pari rilevanza; sarebbe violato l’art. 3 cost. sotto il profilo del principio di ragionevolezza; emergerebbe anche il contratsto con l’art. 117 cost., atteso che il sistema dell’accreditamento sarebbe improntato al principio di uguaglianza tra le varie strutture per quanto riguarda l’erogazione di prestazioni nell’intero territorio nazionale”.
Ma i giudici hanno anche considerato il quadro normativo che affida operativamente la compensazione interregionale della mobilità sanitaria alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che ha all’uopo approvato l’accordo interregionale per la compensazione della mobilità sanitaria.
Nonostante l’intesa sulla mobilità preveda “che, per il conseguimento del livello di appropriatezza nella erogazione e nella organizzazione dei servizi di assistenza ospedaliera e specialistica, le Regioni individuano adeguati strumenti di governo della domanda tramite accordi tra Regioni confinanti per disciplinare la mobilità sanitaria al fine di evitare fenomeni distorsivi indotti da differenze tariffarie e da differenti gradi di applicazione delle indicazioni di appropriatezza definite a livello nazionale, di favorire collaborazioni interregionali per attività la cui scala ottimale di organizzazione possa risultare superiore all’ambito territoriale regionale, di facilitare percorsi di qualificazione ed appropriatezza dell’attività per le Regioni interessate dai piani di rientro, di individuare meccanismi di controllo dell’insorgere di eventuali comportamenti opportunistici di soggetti del sistema attraverso la definizione di tetti di attività condivisi funzionali al governo complessivo della domanda”. È in ogni caso da “escludere che una Regione, sia pure per esigenze di riequilibrio finanziario ovvero di programmazione e controllo della spesa sanitaria, possa disciplinare unilateralmente, al di fuori di una cornice negoziale, la propria mobilità passiva (per la compensazione di prestazioni erogate a propri assistiti al di fuori dal territorio di competenza), influendo ovviamente sulla mobilità attiva di altre Regioni (per la compensazione di prestazioni erogate sul territorio di competenza) e quindi sulla rispettiva programmazione sanitaria”.
Questi i motivi per cui il Tar ha annullato il decreto commissariale 156.
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