Un filosofo e il cancro della mammella
Patologi, oncologi, chirurghi, radiologi, senologi, associazioni di donne, donne, erano venuti da tutta la Sardegna a discutere di neoplasia della mammella. E’ possibile veder oltre l’organo malato per parlare di tutto il sistema di cura? Sì, ecco come è andata
La domanda li sorprese. Me ne accorsi dalle loro facce. Patologi, oncologi, chirurghi, radiologi, senologi, associazioni di donne, donne, erano venuti da tutta la Sardegna a discutere di neoplasia della mammella. La sala dell’assessorato era piena. “Di cosa stiamo discutendo” chiesi in modo provocatorio “di carcinoma della mammella” o di “mammella malata di carcinoma”? Silenzio e grande attenzione. “Insomma qual è il sostantivo che comanda e decide i predicati della cura e quindi della sanità che serve e delle professioni coinvolte? La malattia o la mammella metonimia della donna? Quale ontologia? Di questi tempi si parla solo di sostenibilità parlare di ontologia è da pazzi.
Spiegai che se il sostantivo che comandava la cura era il carcinoma allora non ci sarebbe stato bisogno di romperci la testa con la multidisciplinarietà, con i percorsi condivisi. Sarebbe bastato integrare meglio i servizi e le giustapposizioni professionali esistenti. Ma se il sostantivo era il “malato di carcinoma” allora sarebbe stato diverso e avremmo dovuto cambiare il modo di curare. Ogni singola razionalità professionale andava armonizzata cioè ridefinita dentro nuove relazioni cooperative. E questo implicava un nuovo discorso di organizzazione del lavoro.
“Se discutiamo di mammella come dovremmo considerarla?” chiesi ancora incalzante. “Un organo? Un pezzo anatomico? O qualcosa di più”? Spiegai che nel caso avessimo considerato la mammella qualcosa di più di un organo, filosoficamente avremmo dovuto considerarla un “superoggetto” o se si preferisce un “quasi soggetto” cioè: un organo, un organismo, una specificità genetica, persona e un fenomeno (la malattia) dentro una società che con i suoi bisogni si rivolgeva ad una sanità sempre più definanziata. Il superoggetto è una coestensione tra biologia clinica storia esistenza società economia. Quindi qualcosa di complesso.
E’ questa nuova visione della complessità a costringerci a cambiare una intera organizzazione sanitaria, a ridefinire le strategie e le metodologie operative, gli approcci professionali. Solo se ci si ripensa nella complessità si ha il vantaggio di essere più bravi professionalmente, di costare di meno e di curare meglio. Chissà se i primari oncologi (Cipomo) che sollecitano giustamente una legge sull’oncologia ci hanno pensato? Come si fa a personalizzare le cure se non si ripensa l’impersonalità della clinica quella che considera gli organi come semplici macchine biochimiche? E come si fa ad essere “sostenibili economicamente” se prima non si è “sostenibili culturalmente” cioè se non si risolvono certe regressività che continuano a orientare intere organizzazioni sanitarie? Le Commissioni di indagine del Parlamento sanno che la regressività culturale del sistema è funzione della sua sostenibilità economica? Intanto gli anatomo patologi ci bombardarono con le slide, i loro vetrini… istotipi…fenotipi… dicendoci in sostanza che il carcinoma della mammella parlava, cioè aveva un suo linguaggio.
Azzardai una interpretazione (ero stato chiamato per fare un discorso sui discorsi): chi parlava in realtà non era l’organo tout court ma il sistema “fenomeno (malattia) superoggetto (ontologia) medicina e sanità”(organizzazione e conoscenze), con dei discorsi fatti da cellule, metastasi, valori biochimici ma anche altro. L’organo in sostanza si proponeva come se fosse un “ipertesto” da interpretare. Quindi oltre l’ontologia pure l’ermeneutica. Cavolo sempre più difficile! Tutti gli intervenuti senza rendersene conto avevano posto tuttavia importanti problemi ermeneutici, cioè di interpretazione, ma non solo, tutti a diverso titolo, giustamente abbinavano il problema ermeneutico della malattia a quello della comunicazione con il malato.
Ma comunicazione tra chi? Potevamo dialogare con il superoggetto avvalendoci solo dei nostri significati scientifici? Sarebbero bastati? Sapevamo tutti che non bastava spiegare ad una donna il significato scientifico del carcinoma mammario…e allora? Allora la sparai grossa: “Oltre al problema del “significato” esiste il problema del “senso”, cioè un supersignificato che va oltre la clinica e che coinvolge la vita delle persone i problemi organizzativi e economici della sanità e quelli problemi professionali degli operatori. Qual è il senso della medicina? Di una organizzazione sanitaria? Delle procedure condivise, dei percorsi terapeutici delle cure integrate?
Mentre il significato delle cose riguarda le cose Il senso riguarda il mondo delle cose, nel nostro caso tanto chi cura quanto chi è curato. Malati e operatori hanno un comune problema di senso. Ma questa è una storia antica. Migliaia anni prima di Cristo si usava studiare gli organi per ricavarne “responsi diagnostici”…Il presupposto razionale: vi era un “microcosmo”, l’organo, che corrispondeva ad un “macrocosmo” l’universo. Leggere o parlare con l’organo significava leggere o parlare con l’universo. Mutatis mutandis tutti avevano lo stesso problema. C’è un microcosmo che si chiama mammella da interconnettere con un macrocosmo che si chiama donna, vita, società, sanità, economia, azienda. Tutti quegli operatori si ponevano il problema di come organizzare tali interconnessioni per essere semplicemente migliori.
Me ne tornai a casa rimuginando tra me e me. Pensavo alle due Commissioni di indagine sulla sanità decise dal Parlamento e all’intero apparato istituzionale che governa la sanità. Mi sembrava di avere a che fare con una gigantesca arretratezza culturale . La sanità si potrebbe rivoltare come un calzino. Ma come diavolo faccio a spiegare a gente che in testa ha solo i costi standard, i fondi integrativi, la sostenibilità, che per cambiare la sanità prima di ogni cosa si tratta di decidere i sostantivi che comandano i predicati della cura?
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