Fibrillazione familiare: ruolo del gene ANP

Una mutazione nel gene che codifica il peptide natriuretico atriale (ANP) ? responsabile della fibrillazione atriale ereditaria. La mutazione ? stata individuata studiando una famiglia in cui 11 membri presentano questa aritmia. Il peptide che ne deriva ? in grado di effettuare azioni elettrofisiologiche che predispongono l’atrio alla fibrillazione. Ci? offre un potenziale nuovo target per la farmacoterapia nella fibrillazione atriale. E’ anche possibile che l’ANP normale o il suo recettore possano essere in qualche modo manipolati nei soggetti con forme pi? sporadiche della malattia. A livello genetico, inoltre, questi dati offrono anche una potenziale finestra per la diagnosi precoce della fibrillazione atriale prima dello sviluppo della malattia conclamata. (New Engl J Med 2008; 359: 158-65)

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Gli omega-3 nell’insufficienza cardiaca

L’integrazione degli acidi grassi omega-3 potrebbe non essere prudente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra. I pazienti con insufficienza cardiaca presentano un’alterazione del profilo degli acidi grassi dei globuli rossi ed un elevato livello di acidi grassi omega-3. Inoltre, l’indice omega-3 dei globuli rossi predice la comparsa di aritmie ventricolari in questi pazienti. Gli studi epidemiologici supportano l’effetto protettivo degli acidi grassi omega-3 contro la morte improvvisa di natura cardiaca, ma comunque i pazienti con cardiopatie strutturali e defibrillatori impiantabili non rispondono in alcun modo, o lo fanno addirittura in senso proaritmico, alla somministrazione di olio di pesce. Studi su animali inoltre suggeriscono che gli acidi grassi omega-3 circolanti ed incorporati non abbiano gli stessi effetti elettrofisiologici. E’ stato dimostrato che la somministrazione di questi acidi grassi riduce la mortalit? complessiva e quella da aritmie nei pazienti senza insufficienza cardiaca, ma ci? non pu? essere esteso ai pazienti con una funzionalit? ventricolare sinistra danneggiata. Si ipotizza che la fibrillazione ventricolare dovuta ad insufficienza cardiaca sia associata ad un profilo di acidi grassi diverso da quello della stessa aritmia dovuta ad infarto miocardico. (Am Heart J 2008; 155: 971-7)

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Il fondente riduce pressione a breve termine

Un solo quadrato di cioccolato fondente al giorno ? in grado di ridurre la pressione di pochi mmHg nei soggetti sani con livelli pressori al di sopra di quelli ottimali. Si tratta della prima volta in cui i benefici del cacao presente nel cioccolato fondente vengono dimostrati a lungo termine. I meccanismi implicati in questa azione del cioccolato apparentemente passerebbero attraverso un incremento cronico nella produzione di ossido nitrico da parte dell’endotelio vascolare, ed ? probabile che i flavonoli del cacao siano responsabili del fenomeno. Il cioccolato fondente non ha gli stessi effetti collaterali dei medicinali, ed ? certamente pi? gradito al paziente, il quale per? ? spesso preoccupato di mantenere il proprio apporto calorico quotidiano entro certi limiti: 100 grammi di cioccolato fondente al giorno sarebbero comunque in grado di diminuire la pressione di 12/8 mmHg. (JAMA. 2007; 298: 49-60)

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Fibrillazione non disturba resincronizzazione

La terapia con resincronizzazione cardiaca (CRT) garantisce ai pazienti con insufficienza cardiaca gli stessi benefici in presenza di fibrillazione atriale o di ritmo sinusale. Il fatto che sia stato rilevato un beneficio sintomatologico ? coerente con il dato secondo cui, cos? come nei pazienti in ritmo sinusale, la CRT porta anche all’inversione del rimodellamento ventricolare sinistro nei pazienti con fibrillazione atriale. Dato inoltre che con la CRT nessuno dei pazienti osservati ? stato sottoposto ad ablazione nodale atrioventricolare, sono necessarie ulteriori ricerche per investigare il ruolo dell’ablazione nei pazienti con fibrillazione atriale cronica. (Heart 2008; 94: 826-7 e 879-83)

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I valori pressori sia bassi che alti dopo infarto miocardico sono associati a ma

25 Lug 2008 Cardiologia

Un?analisi post hoc dello studio VALIANT ( Valsartan in Acute myocardial iNfarcTion ) ha mostrato che valori pressori sistolici sai elevati che bassi dopo infarto miocardico acuto sono associati ad un aumentato rischio di successivi eventi cardiovascolari.

Lo studio VALIANT aveva arrulato 14.703 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, insufficienza cardiaca o entrambi; la pressione sistolica era maggiore di 100 mmHg dopo infarto miocardico ( 12 ore ?10 gironi ).

Un totale di 8.575 pazienti presentava ipertensione prima dell?infarto miocardico, e di questi molti erano in trattamento con farmaci antipertensivi.

I pazienti con precedente ipertensione presentavano un aumentato rischio di ictus, ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, morte cardiovascolare, ed outcome combinato di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ospedalizzazione per scompenso cardiaco, ictus o morte improvvisa o arresto cardiaco resuscitato nell?anno successivo all?infarto miocardico, rispetto ai pazienti senza storia di ipertensione ( hazard ratio, HR= 1,27; 1,19; 1,11; e 1,13 rispettivamente ).

Dei 10.532 pazienti in cui, nel corso di 6 mesi, non si era manifestato un evento cardiovascolare, il 14,5% presentava un?elevata pressione sistolica ( > 140 mmHg ), mentre il 5,7% aveva bassi valori di pressione sistolica ( < 100 mmHg ), tra 1 e 6 mesi dopo infarto miocardico. Rispetto ai pazienti con normali valori di pressione sanguigna nel post-infarto, i pazienti con bassa pressione sanguigna presentavano un aumentato rischio di scompenso cardiaco ( HR=1,49 ), morte cardiovascolare ( HR=1,48 ), morte per tutte la cause ( HR=1,46 ), e outcome cardiovascolare combinato ( HR=1,32 ). I pazienti con elevati valori di pressione sistolica durante il periodo post-infartuale, compreso tra 1 e 6 mesi, hanno presentato un aumento significativo del rischio di ictus ( HR=1,64 ) e dell?outcome cardiovascolare combinato ( HR = 1,41 ). Fonte: Hypertension, 2007

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Fibrillazione atriale innesco per le piastrine

28 Giu 2008 Cardiologia

La fibrillazione atriale acuta causa l’attivazione locale delle piastrine e di diversi marcatori protrombotici nel cuore nel giro di pochi minuti. Ci? rappresenta un meccanismo che potrebbe spiegare come mai alcuni brevi episodi di fibrillazione atriale predispongano all’ictus nei pazienti con malattie cardiovascolari di base. Questi dati supportano la pratica dell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale e fattori di rischio di ictus anche in presenza di una predominanza del ritmo sinusale. Si tratta della prima volta in cui ? stato esaminato l’effetto di una fibrillazione atriale acuta di una durata precisa sull’attivazione piastrinica umana, ed ? stato dimostrato che essa si scatena anche per episodi molto brevi. I pazienti vanno incontro anche ad un incremento della produzione locale di trombina ed alla diminuzione della produzione di ossido nitrico, ma non sono stati osservati cambiamenti nei marcatori infiammatori. (J Am Coll Cardiol 2008; 51: 1790-3)

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Angioedema da ACE-inibitori in PS

27 Giu 2008 Cardiologia

Circa un terzo dei casi di angioedema che si osservano in pronto soccorso ? causato dalla terapia con ACE-inibitori. La maggior parte di questi pazienti viene trattata sul momento e poi dimessa, ma un loro sottogruppo necessita di ricovero ospedaliero per la gestione dell’angioedema delle vie aeree superiori. Gonfiore faringeo e stress respiratorio sono fattori predittivi indipendenti di ricovero ospedaliero e durata della degenza, mentre respiro corto, gonfiore di labbra e lingua ed edema laringeo sono i segni di presentazione pi? frequenti. Sono ancora necessari studi sugli esatti meccanismi di sviluppo dell’angioedema da ACE-inibitori e lo sviluppo di nuove opzioni terapeutiche per la malattia. (Ann Allergy Asthma Immunol 2008; 100: 327-32)

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Mortalit? a 8 anni: nessun effetto della depressione al momento dell?infarto miocardico

24 Giu 2008 Cardiologia

La depressione durante l?ospedalizzazione per infarto miocardico ? associata a successiva mortalit?.

Ricercatori della Johns Hopkins University School of Medicine a Baltimora negli Stati Uniti, hanno confrontato uno studio con l?obiettivo di valutare se la depressione durante l?ospedalizzazione per infarto miocardico, che predice la mortalit? a 4 mesi, fosse in grado di predire la mortalit? ad 8 anni.

Lo studio prospettico, osservazionale, ha riguardato 284 pazienti ospedalizzati con infarto miocardico.

La depressione maggiore e la distimia sono state valutate mediante DSM-III-R ( Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Third Edition, Revised ), ed i sintomi depressivi mediante la scala BDI ( Beck Depression Inventory ).

L?et? media dei pazienti nel corso dell?ospedalizzazione era di 64,8 anni; il 43% era di sesso femminile; il 66,7% soffriva di ipertensione ed il 35,7% di diabete mellito.

Una forma di depressione ( depressione maggiore, distimia, e/o punteggio alla scala BDI maggiore o uguale a 10 ) era presente in 76 pazienti ( 26,8% ).

La percentuale di mortalit? a 8 anni ? stata del 47,9% ( 136 casi fatali ).

La depressione al momento dell?infarto miocardico non era associata alla mortalit? a 8 anni in un modello non-aggiustato ( hazard ratio, HR=1.25; p=0.22 ) o in un modello multivariato. ( HR=0.76; p=0.27 ).

In conclusione, la depressione dopo infarto miocardico era associata ad un?aumentata mortalit? di breve periodo, ma questa relazione ? apparsa diminuire nel tempo, almeno in un gruppo di pazienti anziani, che presentavano comorbidit? multiple.

Parakh K et al, Am J Cardiol 2008; 101: 602-606

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Fibrillazione atriale cronica: trattamento con Digitale + beta-bloccante, o calc

12 Feb 2008 Cardiologia

Due Ricercatori del Royal Hallamshire Hospital di Sheffield in Gran Bretagna, hanno compiuto una revisione di studi clinici riguardanti il controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale permanente.

Sono stati esaminati 57 studi, di cui 25 controllati, in doppio cieco e randomizzati, che avevano valutato la Digossina, i beta-bloccanti, i calcioantagonisti, e le combinazioni, nel controllo della frequenza ventricolare.

E? stato osservato che la monoterapia con beta-bloccanti era in grado di meglio controllare la frequenza a riposo, rispetto alla sola Diossina, in 1 studio su 10, mentre in 4 studi i beta-bloccanti hanno migliorato il controllo della frequenza durante sforzo.
Negli altri 6 studi, l?impiego dei beta-bloccanti da soli non ha migliorato la capacit? d?esercizio.

Diversi studi hanno dimostrato che la combinazione tra beta-bloccante e Digossina ha prodotto pi? significativi miglioramenti nel controllo della frequenza a riposo e durante sforzo, rispetto alla sola Digossina.
Non ben definito ? stato l?effetto riguardo alla capacit? d?esercizio.

In 5 studi il calcioantagonista Diltiazem ( Tildiem ) ha prodotto un miglior controllo della frequenza durante sforzo, rispetto alla Digossina, ma non a riposo, e non ha modificato la capacit? d?esercizio.

La maggior parte degli 11 studi, che hanno valutato la combinazione di Diltiazem e Digossina, hanno mostrato un miglior controllo della frequenza a riposo e durante esercizio, rispetto alla sola Digossina. Due studi hanno mostrato che la combinazione migliora la tolleranza all?esercizio.

Risultati simili sono stati osservati con il calcioantagonista Verapamil ( Isoptin ) in monoterapia, rispetto alla Digossina.
La tolleranza all?esercizio ? migliorata con il Verapamil in 2 studi su 3.

La combinazione di Verapamil e Digossina ha migliorato il controllo della frequenza a riposo e durante esercizio, rispetto alla sola Digossina; tuttavia la tolleranza all?esercizio non ? migliorata in modo consistente.

L?uso dei calcioantagonisti, Diltiazem e Verapamil, ? limitato dagli effetti inotropi negativi.

Secondo gli Autori, la combinazione di Digitale + beta-bloccante, o eventualmente calcioantagonista, dovrebbe rappresentare la prima scelta nel trattamento della fibrillazione atriale cronica.
Fonte: British Medical Journal, 2007

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Omega-3 in prevenzione cardiovascolare, evidenza insufficiente

L?evidenza sulla somministrazione di routine di omega-3 nel quadro della prevenzione dell?aritmia ventricolare ? insufficiente. Il verdetto arriva da una meta-analisi pubblicata dal Canadian Medical Association Journal.

I ricercatori del Clinical Nutrition and Risk Factor Modification Centre del St. Michael’s Hospital di Toronto guidati da David J.A. Jenkins hanno identificato tre trial clinici per un totale di 573 pazienti trattati con olio a base di omega-3 e 575 nel gruppo di controllo. L?estrema eterogeneit? dei dati raccolti impedisce di fatto di stabilire se il generale ricorso a somministrazione di olio di pesce e omega-3 in prevenzione cardiovascolare sia giustificato.

Stuart J. Connolly, della Division of Cardiology della McMaster University di Hamilton, commenta: ?Come devono regolarsi i clinici? Possiamo sentirci cautamente ottimisti sul fatto che i pazienti possano trarre beneficio dalla somministrazione di omega-3 in prevenzione o dopo un infarto del miocardio, ma dobbiamo sapere che i dati non persuadono del tutto e che per ora gli omega-3 non possono essere considerati farmaci veri e propri?.

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