Esistono pochi dati riguardo agli effetti dei comuni interventi terapeutici sulla tolleranza all?esercizio nella fibrillazione atriale.
Ricercatori del Walter Reed Army Medical Center, negli Stati Uniti, hanno sottoposto a test da sforzo massimale 655 pazienti con fibrillazione atriale cronica, al basale e a 8 settimane, 6 mesi ed 1 anno dopo la randomizzazione a Sotalolo ( Sotalex ), Amiodarone ( Cordarone ) o placebo.
L?et?, l?obesit? e la presenza di sintomi che accompagnano la fibrillazione atriale, sono risultati inversamente associati alla capacit? d?esercizio al basale, ma questi fattori erano responsabili solamente del 10% della varianza nella capacit? d?esercizio.
I pazienti che avevano la maggiore probabilit? di beneficiare della cardioversione erano quelli pi? giovani d?et?, non obesi o ipertesi, e con una frequenza cardiaca non controllata al basale.
La cardioversione con successo ha migliorato la capacit? d?esercizio del 15% ad 8 settimane, e questi miglioramenti si sono mantenuti per tutto l?anno. Questo miglioramento ? stato osservato sia tra i pazienti che hanno mantenuto il ritmo sinusale, che in quelli con fibrillazione atriale intermittente.
I dati dello studio hanno mostrato che la cardioversione ha prodotto un miglioramento sostenuto nella capacit? d?esercizio nel corso di 1 anno. I pazienti che con maggiore probabilit? erano destinati a migliorare con il trattamento, tendevano ad essere pi? giovani e non obesi.
Farmaci per l?ipertensione, anzi classi di farmaci, ce ne sono parecchi che differiscono per azione, efficacia (in funzione delle caratteristiche individuali) e non hanno lo stesso profilo sul piano degli effetti indesiderati. Scegliere quindi il pi? adatto anche da questo punto di vista non ? facile, anche perch?? non tutte le diverse classi sono state studiate una a confronto dell?altra. In situazioni come queste vengono in aiuto le tecniche statistiche che consentono con una buona approssimazione di mettere a confronto tra di loro risultati ottenuti in studi diversi. Di queste tecniche, una delle pi? recenti ? la network metanalysis, che permette di paragonare tra loro i risultati ottenuti con due farmaci diversi anche se questi non sono mai stati messi a confronto diretto in uno studio. Una network metanalysis ? stata impiegata per paragonare tra loro le diverse classi di antipertensivi in funzione del loro effetto sullo sviluppo di diabete o il peggioramento della resistenza insulinica (cio? l?incapacit? dei tessuti di utilizzare l?ormone). E? un effetto noto gi? dalla fine degli anni cinquanta, particolarmente importante perch? effettivamente buona parte delle persone ipertese o presentano gi? questa condizione, oppure presentano resistenza insulinica oppure ancora caratteristiche che possono determinarle, come l?obesit?.
Un dato chiaro?
Ovviamente, gi? si sapeva che alcuni farmaci, per esempio gli ace-inibitori, hanno una funzione protettiva nei confronti del diabete, ma una vera e propria classifica in questo senso non era stata tracciata. Cos? gli autori di questa ricerca hanno selezionato 21 studi clinici, per un totale di 143153 pazienti suddivisi in 48 gruppi. Diciassette studi erano stati condotti su pazienti ipertesi, tre su pazienti ad alto rischio e uno su pazienti con insufficienza cardiaca (uno degli esisti dell?ipertensione grave). Nessuno, all?inizio delle ricerche cui avevano partecipato, presentava diabete. Scopo dell?analisi era determinare in quanti, alla fine dello studio, si era presentata la malattia. Detto cos? sembra facile ma non lo ? affatto. Il risultato ? stato che effettivamente gli antipertensivi cui si associa una minore insorgenza del diabete sono gli ACE inibitori, appaiati agli inibitori dei recettori dell?angiotensina ?Quelli con il maggior numero di casi associati sono i diuretici, con rischio relativo pari a uno e poi i beta bloccanti e i calcio-antagonisti, che non differiscono dal placebo. Com??, come non ?, sono le due classi pi? recenti ad aver riportato i risultati migliori.
?con risvolti pratici incerti
Ottenuto il dato, che cosa se ne fa il medico? La risposta ? pi? difficile, perch? in termini assoluti le differenze sono piccole: in altre parole, tra un farmaco e l?altro la differenza non supera il 3,6%. Inoltre, gli studi non sono sufficientemente lunghi per stabilire se il diabete cos? sviluppatosi ? a sua volta causa di una malattia di cuore, evento che l?antipertensivo dovrebbe evitare. Quanto alla scelta iniziale del trattamento, dunque, rimangono disparit? di opinione: se negli Stati Uniti si consiglia anche per l?ipertensione non complicata di partire con un diuretico, il National Institute for Health and Clinical Excellence indica di considerare diuretici e betabloccanti come terza o quarta scelta. Gli autori giustamente dicono anche per ragioni economiche, visto che trattare il diabete ? costoso. Ma d?altra parte ci sono ragioni economiche anche nella scelta di partire con i diuretici (i pi? vecchi e i meno cari). E a complicare il tutto c?? la differenza di risposta del paziente? Una cosa ? certa, per?, la scelta peggiore ? trascurare l?ipertensione: tutto il resto ? meglio, di molto.
I parametri di concentrazione sierica del colesterolo distinguono al meglio i soggetti con o senza ipercolesterolemia familiare nella fascia d’et? compresa fra uno e nove anni. Il trattamento per diminuire tale concentrazione, come ad esempio mediante le statine, ? efficace nella prevenzione delle coronaropatie, e quindi lo screening dell’ipercolesterolemia familiare potrebbe rappresentare un’opzione pratica se fossero disponibili strategie efficaci. Lo screening a cascata, in cui vengono esaminati i parenti di primo grado di un soggetto affetto, ? attualmente in fase di valutazione in tal senso, ma al momento non vi sono metodi efficaci per identificare i casi primari nella popolazione, e quindi rimane incertezza sulle strategie di screening veramente efficaci. Il presente studio propone un approccio che offre un modo semplice per controllare bambini, genitori e membri della famiglia. Un potenziale punto di forza dello screening al momento dell’immunizzazione del bambino consiste nel fatto che esso avverrebbe in un momento in cui i genitori sono recettivi alla possibilit? della prevenzione di malattie nei loro figli, e pertanto potrebbero essere recettivi anche nei confronti di strategie su base familiare per la prevenzione delle conseguenze delle stesse malattie all’interno dell’intera famiglia. Sarebbe necessario sviluppare sistemi per seguire i bambini affetti nel tempo per assicurare che venga iniziato un trattamento appropriato all’et? giusta. (BMJ online 2007, pubblicato il 13/9)
Ricercatori del Brigham and Women?s Hospital Harvard Medical School di Boston, hanno esaminato gli effetti della riduzione dell?assunzione di sodio con la dieta sugli eventi cardiovascolari, utilizzando i dati di 2 studi clinici randomizzati, TOHP I e TOHP II.
Il periodo osservazionale si ? protratto per 10-15 anni dopo lo studio originale.
Avevano preso parte agli studi TOHP I e TOHP II, soggetti adulti di 30-54 anni con preipertensione.
I pazienti dello studio TOHP I hanno ridotto l?assunzione di sodio con la dieta per 18 mesi, mentre i pazienti dello studio TOHP II per 36-48 mesi.
Allo studio TOHP I avevano preso parte 744 soggetti e 2382 nello studio TOHP II, assegnati al gruppo di intervento o al gruppo controllo.
Le riduzioni nette di sodio nel gruppo d?intervento sono state 44 mmol/24 ore e 33 mmol/24 ore, rispettivamente.
Il rischio di evento cardiovascolare ? risultato pi? basso del 25% tra i soggetti del gruppo d?intervento rispetto al gruppo controllo ( rischio relativo, RR 0.75; p = 0.04 ), e pi? basso del 30% dopo ulteriore aggiornamento ( RR = 0.70 ).
Lo studio ha dimostrato che la restrizione del sodio, oltre ad abbassare la pressione sanguigna, pu? anche ridurre il rischio nel lungo periodo di eventi cardiovascolari.
Gli agonisti della dopamina derivati dall?ergot, spesso impiegati nel trattamento della malattia di Parkinson, sono associati ad un aumentato rischio di cardiopatia valvolare.
Ricercatori degli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano hanno eseguito uno studio ecocardiografico in 155 pazienti che stavano assumendo gli agonisti della dopamina per la malattia di Parkinson e 90 soggetti di controllo.
I 155 pazienti stavano assumendo: Pergolide ( Permax / Nopar ) ( n = 64 ), Cabergolina ( Cabaser ) ( n = 49 ) ed agonisti della dopamina non derivati dall?ergot ( n = 42 ).
Il rigurgito valvolare ? stato valutato in base alle raccomandazioni dell?American Society of Echocardiography.
Rigurgito clinicamente importante ( da moderato a grave di grado da 3 a 4 ) ad ogni valvola ? stato riscontrato con maggiore incidenza tra i pazienti che hanno assunto Pergolide ( 23.4% ) o Cabergolina ( 28.6% ), ma non nei pazienti che stavano assumendo agonisti della dopamina non derivati dall?ergot ( 0% ), rispetto ai soggetti di controllo ( 5.6% ).
Il rischio relativo di rigurgito valvolare da moderato a grave nel gruppo Pergolide ? stato di 6.3 per il rigurgito della mitrale ( p = 0.008 ), 4.2 per il rigurgito aortico ( p = 0.01 ) e 5.6 per il rigurgito della tricuspide ( p = 0.16 ), mentre i corrispondenti rischi relativi nel gruppo Cabergolina sono risultati 4.6 ( p = 0.09 ), 7.3 ( p < 0.001 ) e 5.5 ( p = 0.12 ).
I pazienti trattati con i derivati dell?ergot che presentavano rigurgito valvolare di grado da 3 a 4 avevano ricevuto una dose cumulativa media significativamente pi? alta di Pergolide o Cabergolina, rispetto ai pazienti con pi? bassi gradi.
Lo studio ha mostrato che la frequenza di rigurgito valvolare clinicamente importante era significativamente aumentata nei pazienti che assumevano la Pergolide o la Cabergolina, ma non nei pazienti che erano trattati con agonisti della dopamina non derivati dall?ergot
Ancora una volta si torna a parlare dei danni che le moderne tecnologie portatili potrebbero causare alla salute dei consumatori. Per una volta, per?, a essere nel mirino non ? il solito cellulare, bens? un gadget altrettanto diffuso e popolare quale l’iPod. INTERFERENZE ? Secondo uno studio realizzato dal 17enne Jay Thaker (studente presso la Okemos High School, nel Michigan) sotto la guida del dottor Krit Jongnarangsin, cardiologo presso l’ Universit? del Michigan, il dispositivo della mela morsicata potrebbe infatti provocare malfunzionamenti nei pacemaker cardiaci. La causa sarebbe, come nel caso dei telefonini, l’interferenza tra il campo elettromagnetico del lettore digitale e il sistema che nel pacemaker permette di generare gli impulsi elettrici da inviare al cuore. LO STUDIO ? La ricerca, presentata ieri alla 28esima edizione del meeting annuale della Heart Rhythm Society di Denver, ? stata condotta su un campione di 100 pazienti cardiopatici, et? media 77 anni, tutti portatori di stimolatore artificiale. Il team di Thaker e Jongnarangsin ha analizzato gli effetti che l’uso dell’iPod pu? avere su questa categoria di pazienti. Come riferisce Reuters, le suddette interferenze sono state registrate nel 50 per cento dei casi in cui il gadget Apple ? stato posizionato a circa 5 centimetri di distanza dal torace dei soggetti in esame, ma in alcuni casi l’influenza sul pacemaker si ? verificata anche quando l’iPod ? stato posizionato pi? lontano, a circa 45 centimetri dal torace. Tale malfunzionamento ha fatto s? che i dispositivi salva-cuore non siano riusciti a leggere correttamente il ritmo cardiaco, e in un caso ha anche causato l’arresto del pacemaker. CAUTELA ? ? giusto per? dire che lo studio non ha preso in considerazione altri modelli di lettore mp3 all’infuori dell’iPod, e che lo stesso Jongnarangsin ha ammesso che ci sarebbe bisogno di ulteriori approfondimenti. Nel frattempo, per?, il cardiologo ha gi? in mente di tentare un esperimento analogo, testando i possibili effetti del gadget Apple su pazienti portatori di defibrillatori cardiaci impiantabili.
Un semplice quadrato di cioccolato fondente ? in grado di ridurre la pressione di alcuni mmHg nei soggetti sani con una pressione a valori al di sopra di quelli ottimali. Si tratta del primo studio a dimostrare i benefici del cacao nel cioccolato fondente a lungo termine. Tale effetti si deve probabilmente ai polifenoli del cacao, anche se il meccanismo esatto non ? noto. Il presente studio comunque fornisce abbastanza dati da presumere che lievi quantit? di cioccolato ricco in polifenoli quale aggiunta ad una dieta sana possa causare una riduzione progressiva della pressione sistolica e diastolica nei soggetti anziani con preipertensione senza indurre aumento di peso o altri effetti collaterali. (JAMA. 2007; 298: 49-60)
Parlando di troppi grassi nel sangue ? al colesterolo elevato che si pensa come attentatore delle arterie e del cuore. Ma spesso ci sono comprimari pi? oscuri non meno pericolosi: i trigliceridi alti. Il loro ruolo come fattore di rischio indipendente di coronaropatia ? controverso, per? vi concorrono, inoltre sono componenti di quella frequente sindrome metabolica che ? causa di cardiopatie, si associano a basse HDL, aumentano il rischio di pancreatite e sono coinvolti nella steatosi, quando vengono ridotti nei dislipidemici questo si lega a meno eventi coronarici. E l?elenco delle colpe pu? continuare: ? bene perci? non sottovalutarli. Ma che cosa sono i trigliceridi, come si previene e si cura il loro eccesso?
Occhio a grassi, calorie, zuccheri
In sostanza sono i lipidi pi? abbondanti nell?organismo, presenti soprattutto nell?adipe sottocutaneo, forniti dai grassi alimentari ma anche formati come riserva energetica da altri componenti della dieta quando le calorie totali sono troppe. La prima misura nella correzione dell?ipertrigliceridemia ? quindi, come nell?ipercolesterolemia, comportamentale: da ridurre, oltre ai cibi grassi, soprattutto calorie totali, zuccheri semplici, alcol (che stimola la sintesi nel fegato); tenere poi controllato il peso e fare esercizio fisico, eliminare il fumo. Le cause dei trigliceridi alti per? non sono solo o direttamente alimentari, ci sono anche obesit?, diabete, fattori ereditari, nefropatie croniche, ipotiroidismo e altro ancora. La gestione iniziale dipende quindi dal profilo di rischio coronarico del soggetto (alto se probabilit? oltre il 20% di eventi a dieci anni anni o coronaropatia o diabete) e dal livello d?ipertrigliceridemia, che ? considerata leggera tra 150 e 200 mg/dl, elevata tra 200 e 500 e molto elevata oltre i 500. Bisogna fare counselling al paziente se ? responsabile lo stile di vita, indagare se c?? sindrome metabolica, ricercare altre cause secondarie, normalizzare la glicemia se c?? diabete. In molti casi d?ipertrigliceridemia non occorrono farmaci; quando questi sono necessari puntano a raggiungere prima di tutto gli obiettivi per le LDL.
Farmaci, combinazioni con cautela
Gli agenti farmacologici pi? usati sono le statine, i fibrati, la niacina, gli oli di pesce (omega-3). Nei casi con valori tra normali ed elevati in genere non sono necessari farmaci e il goal ? appunto ridurre in altro modo le LDL. Nell?ipertrigliceridemia elevata nei soggetti che non hanno raggiunto le LDL ideali in prima linea si usano le statine, in quelli pi? vicini all?obiettivo e non coronaropatici si possono considerare le altre opzioni, anche se i dati di efficacia come prevenzione primaria sono scarsi. Alla luce delle pi? recenti raccomandazioni per una diminuzione pi? aggressiva delle LDL nei soggetti a maggior rischio coronarico, possono occorrere combinazioni degli altri farmaci con le statine, scegliendole individualmente: per esempio niacina se le HDL sono basse e le LDL alte, fibrati se HDL e LDL sono adeguate e i trigliceridi alti, omega-3 se c?? coronaropatia. La terapia di combinazione richiede per? un attento monitoraggio e basse dosi per possibili rischi, come quello di rabdomiolisi, risultato aumentato da alcune associazioni di statine e fibrati. Nell?ipertrigliceridemia molto elevata, infine, i farmaci sono in genere necessari e spesso combinati, sempre usando cautela; se i valori sono superiori a 1000 un obiettivo prioritario ? diminuire il rischio di pancreatite acuta e occorre una dieta fortemente ipolipidica.
Elettra Vecchia
(Robert C. Oh e coll. Management of Hypertriglyceridemia. Am Fam Physician 2007; 75: 1365-71)
Durante la somministrazione di olio di pesce ad alte dosi, gli acidi grassi omega-3 vengono incorporati rapidamente nei fosfolipidi miocardici, e ci? rende questi integratori particolarmente utili nei pazienti infartuati durante il periodo ad alto rischio dei 30 giorni successivi all’infarto. L’incremento del consumo di olio di pesce ? associato alla riduzione della mortalit? per cause cardiache, e soprattutto della morte improvvisa: questo effetto viene attribuito appunto all’incorporazione degli acidi grassi omega-3 a catena lunga nei fosfolipidi cardiomiocitari. I sopravvissuti ad un infarto sono esposti ad un aumento del rischio di morte improvvisa nel primo mese dopo l’infarto stesso: ne emerge che questi integratori potrebbero essere di aiuto durante questo periodo di vulnerabilit? alle aritmie letali. (Am J Clin Nutr 2007; 85: 1222-8)
L’iperglicemia postprandiale ? pi? comune dell’iperglicemia a digiuno nei pazienti con diabete di tipo 2 con mancata diminuzione notturna della pressione. Al momento non ? il caso di raccomandare variazioni del trattamento antidiabetico per il ripristino della corretta variabilit? pressoria, ma considerando l’importanza dell’iperglicemia postprandiale per gli eventi cardiovascolari, sarebbe opportuno trattare sia l’iperglicemia a digiuno che quella postprandiale in questi pazienti. Il collegamento meccanico fra anomalie della variabilit? pressoria notturna e anomalie del metabolismo del glucosio rimane poco chiaro: l’anello mancante potrebbe consistere in una disfunzione autonomica e delle cellule endoteliali. (Am J Hypertens 2007; 20: 541-5 e 546-7)