Il riscontro di extrasistolia ventricolare nell’elettrocardiogramma (ECG) basale ? un evento assai comune in soggetti senza una evidente patologia cardiaca ed ancor pi? in individui cardiopatici. Tale evenienza indirizza abitualmente l’interesse del medico verso differenti ed importanti aspetti di management clinico, quali ad esempio l’esecuzione di indagini pi? approfondite nei soggetti senza una cardiopatia evidente, la valutazione dell’aritmia a fini prognostici, la necessit? e l’utilit? di un trattamento antiaritmico specifico, la maggiore aggressivit? nella terapia della cardiopatia gi? nota. E’ noto che le caratteristiche proprie dei battiti ectopici ventricolari prematuri (BEV, definizione pi? corretta in aritmologia per indicare l’extrasistolia ventricolare) registrati all’ECG assumono un significato rilevante nel giudizio diagnostico e prognostico; per questo una cosiddetta forma ?complessa? (BEV polimorfi, frequenti, ripetitivi a coppie o salve di tachicardia ventricolare non sostenuta o sostenuta, molto precoci con fenomeno R su T) ? considerata in ogni caso con maggiore attenzione ed allarme rispetto ad una senza tali caratteri determinanti.
Certamente, il problema richiede un approccio clinico differente a seconda che l’aritmia venga evidenziata in soggetti gi? cardiopatici o in assenza di un precedente rilievo di malattia cardiaca.
Significato prognostico dell’extrasistolia ventricolare
Nonostante l’elevato livello di conoscenze sull’argomento, esistono tuttora rilevanti aree di incertezza sul significato prognostico dell’aritmia ventricolare nei soggetti con cardiopatia nota, ed ancor pi? nei casi in cui questa viene esclusa dopo un iter diagnostico accurato.
Sembra, inoltre, che la terapia con farmaci antiaritmici, ad eccezione di pochi casi selezionati, non riesca comunque a modificare significativamente la prognosi quoad vitam.
A tale riguardo risulta particolarmente interessante il contributo che deriva da un recente studio, pubblicato sulla rivista American Journal of Cardiology da ricercatori dell’Universit? della Carolina del Nord: vengono riportati i risultati di un’analisi prospettica condotta su un’ampia popolazione dello studio ARIC (Atherosclerosis Risk in Communities), 15.070 soggetti di et? compresa fra 45 e 64 anni.
Il riscontro di BEV in un singolo ECG della durata di 2 minuti era presente nel 6,2% del campione, con una frequenza significativamente maggiore negli individui con malattie delle coronarie.
Nel periodo di osservazione di 10 anni, tra i soggetti che avevano mostrato la presenza di BEV all’ECG, la percentuale di decessi per eventi coronarici era maggiore di almeno tre volte (7,8% versus 2,1%) rispetto al resto della popolazione osservata; tale dato era evidente sia tra coloro che avevano una malattia ischemica gi? accertata sia tra quelli senza cardiopatia.
Cosa fare per migliorare la prognosi?
Secondo gli Autori dello studio la presenza di aritmia ventricolare all’elettrocardiogramma comporterebbe un rischio pi? elevato di mortalit? per cardiopatia ischemica, anche in soggetti apparentemente sani.
Da questi dati deriverebbe la necessit? di una maggiore attenzione nei confronti dei soggetti, non particolarmente rari, che presentano BEV all’elettrocardiogramma, anche se non cardiopatici, con l’adozione non tanto di un trattamento farmacologico con antiaritmici (che in altri studi non si sono dimostrati sempre efficaci nel ridurre la mortalit? cardiaca), quanto piuttosto di provvedimenti pi? aggressivi di riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare, come ipertensione, fumo, ipercolesterolemia.
Questa pu? oggi essere infatti definita la strategia di prevenzione in assoluto pi? efficace, fondata su una corretta individuazione della popolazione a rischio pi? elevato e su una tempestiva ed aggressiva riduzione dei fattori di rischio modificabili pi? importanti.