Forame ovale beante peggiora apnea nel sonno

14 Mar 2007 Cardiologia

Nei pazienti con apnea ostruttiva nel sonno (OSA), sussiste un’associazione fra desaturazione notturna dell’ossigeno e presenza di forame ovale beante. E’ stato infatti rilevato che la desaturazione dell’ossigeno ? pi? comune in questi pazienti, ed avviene in proporzione alla frequenza dei disturbi respiratori. L’OSA ? associata a desaturazione dell’ossigeno in vari gradi, e colpisce il 15 percento degli adulti di mezza et?. Nel 25 percento della popolazione ? presente un forame ovale beante, che potrebbe consentire uno shunt interatriale destro-sinistro. Questo fenomeno incrementa sensibilmente il numero di desaturazioni nei pazienti con OSA. Questo potrebbe essere il meccanismo alla base dell’incremento del rischio di ictus osservato nell’OSA: se sar? possibile accertare questo legame, la chiusura percutanea del forame ovale beante potrebbe costituire una potenziale opzione terapeutica per l’ictus nel futuro. (Euro Heart J 2007; 29: 149-55)

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Fibrillazione atriale: meglio l’ablazione

L’ablazione circonferenziale della vena polmonare ? pi? efficace dei farmaci antiaritmici nella prevenzione della fibrillazione atriale parossistica (PAF). Bench? la terapia medica sia considerata l’approccio di prima linea nel trattamento della PAF, essa pu? comportare alcuni gravi effetti collaterali. Studi precedenti avevano gi? suggerito la superiorit? dell’ablazione, ma la situazione appariva finora poco chiara. L’ablazione dunque merita di essere tenuta in considerazione nei pazienti nei quali la terapia antiaritmica ha gi? fallito e si desidera il mantenimento del ritmo sinusale. (J Am Coll Cardiol 2006; 48: 2340-7)

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La nicturia mette a rischio il cuore


La nicturia ? un significativo fattore predittivo indipendente di mortalit? nei pazienti intorno ai 70 anni. Se questo dato verr? confermato, la terapia medica per la prevenzione della nicturia, disponibile ma scarsamente applicata, diverr? sicuramente pi? diffusa. Svegliarsi ed alzarsi di frequente durante la notte, il che ? comune fra gli anziani, sembra predisporre i soggetti suscettibili agli eventi cardiovascolari. L’aumento della frequenza cardiaca e della pressione che si osserva al risveglio al mattino interviene anche al risveglio dal sonno pomeridiano e nei risvegli notturni. I pazienti con cardiopatia ischemica potrebbero venire scoraggiati per le terapie chirurgiche come la prostatectomia per via dell’aumento del rischio percepito, ma questo tipo di intervento potrebbe invece apportare benefici se la causa ella nicturia viene rimossa. (Am J Cardiol 2006; 98: 1311-5)

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Rischio di diabete e di malattia cardiovascolare durante la terapia di deprivazione androgenica per tumore della prostata

La terapia di deprivazione androgenica con un agonista dell?ormone rilasciante la gonadotropina ( GnRH ) ? associata ad un aumento della massa grassa e alla resistenza all?insulina negli uomini con tumore della prostata. Tuttavia il rischio di malattia associata all?obesit? durante il trattamento non ? stato ben studiato.

Ricercatori dell?Harvard Medical School hanno valutato se la terapia di deprivazione degli androgeni fosse associata ad un?aumentata incidenza di diabete e malattia cardiovascolare.

Lo studio osservazionale ha riguardato una coorte di 73.196 persone del servizio Medicare, dell?et? di 66 anni o pi?, ai quali era stato diagnosticato carcinoma prostatico locoregionale durante il periodo 1992-1999.

Pi? di un terzo degli uomini aveva ricevuto un agonista GnRH nel corso del periodo osservazionale.

L?impiego dell?agonista GnRH era associato ad un aumentato rischio di diabete ( hazard ratio aggiustato, HR = 1.16; p < 0.001 ), di infarto miocardico ( HR aggiustato = 1.11; p = 0.03 ) e di morte cardiaca improvvisa ( HR aggiustato = 1.16; p = 0.004 ).
Gli uomini sottoposti ad orchiectomia presentavano una maggiore probabilit? di sviluppare diabete ( HR aggiustato = 1.34; p < 0.001 ), ma non malattia coronarica, infarto miocardico o morte cardiaca improvvisa.
Dai dati dello studio ? emerso che il trattamento con agonisti GnRH per uomini con tumore prostatico locoregionale pu? essere associato ad un aumentato rischio di diabete e malattia cardiovascolare.

Secondo gli Autori, i benefici del trattamento con agonisti GnRH dovrebbero essere confrontati con i potenziali rischi

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Effetti benefici dell?olio d?oliva sui fattori di rischio cardiovascolari

28 Dic 2006 Cardiologia
L?olio vergine di oliva ? ricco di composti fenolici.
Studi clinici di ridotte dimensioni che hanno valutato l?effetto antiossidante dei composti fenolici negli uomini, che hanno assunto piccoli dosaggi giornalieri di olio di oliva nella vita reale, hanno fornito risultati discordanti.

Esiste scarsa informazione sull?effetto dei composti fenolici dell?olio d?oliva sui livelli plasmatici lipidici.

Ricercatori dell?EUROLIVE Study Group hanno valutato se il contenuto fenolico dell?olio d?oliva producesse benefici sui livelli plasmatici lipidici e riducesse il danno ossidativo a carico dei lipidi rispetto al contenuto dell?acido monoinsaturo.

Lo studio cross-over ha interessato 6 Centri di ricerca di 5 Paesi Europei ed ha visto la partecipazione di 200 volontari maschi sani.

I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a 3 sequenze di somministrazione giornaliera di 25ml di 3 tipi di olio d?oliva.
Gli oli differivano per il contenuto fenolico: basso ( 27mg/kg di olio d?oliva ), medio ( 164mg/kg ) o alto ( 366mg/kg ).

Gli oli venivano somministrati per 3 settimane, precedute da 2 settimane di washout.

Un aumento lineare dei livelli di colesterolo HDL ? stato osservato per l?olio d?oliva a basso, medio ed alto contenuto di polifenoli: cambiamento medio 0.025mmol/l, 0.032mmol/l e 0.045mmol/l, rispettivamente.

Il rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL si ? ridotto linearmente con il contenuto fenolico dell?olio d?oliva.

I livelli dei trigliceridi si sono ridotti in media di 0.05mmol/l per tutti gli oli d?oliva.
E? stata osservata una diminuzione dei marker di stress ossidativo, linearmente con l?aumentare del contenuto fenolico.

I principali cambiamenti dei livelli di LDL ossidati sono stati: 1.21U/l, -1.48U/l e ?3.21U/l per l?olio d?oliva con contenuto di polifenoli basso, medio ed alto, rispettivamente.

Lo studio ha presentato alcune limitazioni:

– possibile interazione tra l?olio d?oliva ed altri componenti della dieta;

– mancata verifica da parte dei Ricercatori dell?assunzione con la dieta dell?olio d?oliva;

– periodi di assunzione dell?olio d?oliva brevi.

I risultati dello studio, tuttavia, hanno mostrato che il contenuto fenolico dell?olio d?oliva pu? fornire benefici sui livelli plasmatici lipidici e ridurre il danno ossidativo.

Covas MI et al, Ann Intern Med 2006; 145: 333-341

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Colesterolo, per 7 medici europei su 10 linee guida poco seguite

29 Nov 2006 Cardiologia

In Europa 7 medici su 10 ritengono che le linee guida sul trattamento dell’ipercolesterolemia non siano sufficientemente seguite. E’ quanto emerge da un’indagine internazionale su 879 tra medici di famiglia e cardiologi, presentata al Congresso mondiale di cardiologia in corso a Barcellona, nel corso di una sessione congiunta promossa da Merck Sharp Dohme e Schering-Plough. Secondo gli esperti, i limiti della poca ‘aderenza’ alle linee guida vanno ricercati nella mancanza di efficacia delle statine somministrate in monoterapia nel raggiungere l’obiettivo nei pazienti ad elevato rischio e nel tempo e le molte visite necessari per aggiustare la terapia con statine. In particolare un medico di famiglia su 2 sottolinea che il problema maggiore e’ legato ai rischi associati alle statine somministrate in dosi elevate. “La difficolta’ di seguire esattamente le indicazioni delle linee guida accomuna tutti i Paesi europei, Italia compresa -afferma Alberico Catapano, ordinario di Farmacologia presso l’Universita’ di Milano- molti medici infatti devono fare i conti con le restrizioni imposte dai piani di rimborso dei vari Sistemi sanitari. Inoltre i medici dovrebbero impegnarsi di piu’, per far capire ai pazienti quanto sia importante seguire le terapie per tutta la vita, poiche’ si tratta di una patologia cronica. E invece spesso capita che una volta raggiunti i primi benefici e’ difficilissimo far proseguire la cura”.

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Proteina C reattiva e altri fattori di rischio cardiovascolare.

27 Ott 2006 Cardiologia
La prevenzione del rischio cardiovascolare ? un tema che ha suscitato negli ultimi anni un grande interesse. L?efficacia degli interventi operati in questo campo ? stata anche determinata da una corretta individuazione dei principali fattori di rischio, da un?ampia sensibilizzazione della popolazione e da un grande impegno nel mettere in atto quelle misure riconosciute pi? idonee per ridurre il profilo di rischio individuale di ogni paziente.
Accanto ai principali e ben noti fattori di rischio tradizionali la ricerca si ? applicata nell?individuare altri elementi di rischio non tradizionali. Tale lavoro ha trovato forse uno stimolo ulteriore dalla constatazione dell?insorgenza di malattia cardiovascolare anche in soggetti giovani, ove appunto i tradizionali fattori di rischio, anche quando attentamente ricercati, non risultavano presenti e non erano quindi in gioco nel determinare la malattia. La ricerca si ? indirizzata prevalentemente al rilievo di sensibili marker di infiammazione (alla luce di un ipotetico meccanismo patogenetico flogistico alla base di alcune lesioni ostruttive vascolari), di disfunzione endoteliale, di esaltata trombogenesi (eccessiva formazione di fibrina, inadeguata fibrinolisi), di disvitaminosi, di infezione particolare. Un recente studio ? stato condotto per valutare il peso di 19 nuovi fattori di rischio cardiovascolare, per predire l?insorgenza di coronaropatia ostruttiva. Lo studio Atherosclerosis Risk in Communities (ARIC) si ? basato sui dati relativi all?osservazione di un?ampia popolazione studiata a partire dagli anni 1987-1989, comprendente ben 15.792 individui. In aggiunta ai fattori di rischio tradizionali e ben noti (et?, sesso, colesterolemia, ipertensione arteriosa, fumo, diabete) sono stati presi in considerazione altri indicatori di rischio gi? individuati e descritti, alcuni pi? noti come la Proteina C reattiva e l?omocisteina, altri meno noti come gli anticorpi anti-Chlamydia Pneumoniae, anti-Cytomegalovirus, anti-Herpes simplex virus, il dosaggio sierico di folati e vitamina B6, il D-dimero, il plasminogeno, l?antigene 1 inibitore dell?attivatore del plasminogeno, l?antigene attivatore del plasminogeno tissutale, la trombomodulina solubile, la molecola 1 di adesione intracellulare, la selectina E, la leptina plasmatica, l?interleuchina 6, la matrice metalloproteinasi 1, l?inibitore tessutale della metalloproteinasi 1.
I risultati hanno portato alla conclusione che la presenza di questi nuovi fattori di rischio non tradizionali non produce un sensibile incremento nella capacit? predittiva di malattia cardiovascolare in aggiunta ai tradizionali fattori, fatta eccezione in parte ed in misura modesta per la Proteina C reattiva. In conclusione, anche l?editoriale, pubblicato nello stesso numero della rivista, sottolinea la maggiore importanza dei fattori di rischio tradizionali, su cui devono essere concentrate le principali misure di prevenzione necessarie, non trascurando per? la necessit? di far progredire la ricerca verso altri indicatori di rischio, che potrebbero dimostrarsi in futuro pi? interessanti ed utili nella pratica clinica.

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Insufficienza cardiaca: utile un po’ di colesterolo

11 Ott 2006 Cardiologia
Un livello di colesterolo totale vicino ai 200 mg/dl ? associato ad una maggiore sopravvivenza nei pazienti con insufficienza cardiaca rispetto a livelli inferiori a 140 mg/dl. Questo dato ? tutt’altro che intuitivo, dato che il colesterolo totale elevato ? un fattore di rischio di coronaropatie dalla significativit? ben nota. Nel presente studio, dato che l’infiammazione ? presente circa nel 70 percento dei pazienti con insufficienza cardiaca, e l’infiammazione ? associata a minori livelli di colesterolo totale, era stato ipotizzato che minori livelli di colesterolo potessero essere associati ad una minore sopravvivenza in questi pazienti. Vi ? comunque un livello al quale l’elevato colesterolo influenza negativamente la sopravvivenza, ma i dati del presente studio suggeriscono che sia il colesterolo che l’infiammazione devono essere trattati adeguatamente nei pazienti con insufficienza cardiaca.

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Insufficienza cardiaca: efficace trapianto cellule staminali

11 Ott 2006 Cardiologia
E’ stato dimostrato per la prima volta che il trapianto intracoronarico di cellule mononucleate midollari autologhe (BMMC) pu? migliorare in sicurezza la funzionalit? cardiaca nei pazienti con insufficienza cardiaca allo stadio terminale. Precedenti studi su animali avevano suggerito che ci? possa accadere tramite la riparazione del miocardio danneggiato, ma non erano disponibili dati sull’efficacia di questo trattamento nell’uomo. Il presente studio rappresenta la prima dimostrazione del fatto che il trapianto intracoronarico di BMMC ? una strategia terapeutica praticabile e sicura per limitare i sintomi, migliorare la funzionalit? cardiaca e probabilmente prolungare la sopravvivenza dei pazienti con insufficienza cardiaca allo stadio terminale refrattaria alla terapia medica standard.

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Malfunzionamento dei pacemaker e degli ICD: analisi delle segnalazioni giunte al

29 Set 2006 Cardiologia

I pacemaker ed i defibrillatori cardioverter impiantabili ( ICD ) sono dispositivi medici complessi.

Uno studio, coordinato da William H. Maisel del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, ha analizzato i report annuali post-approvazione inviati all?FDA ( Food and Drug Administration ) delle societ? che producono pacemaker e ICD, con l?obiettivo di valutare l?incidenza di malfunzionamenti di pacemaker ed ICD.

Il periodo considerato ? stato quello compreso tra il 1999 ed il 2002.

Il pacemaker o l?ICD sono stati definiti malfunzionanti quando si ? reso necessario l?espianto del dispositivo per un funzionamento non corretto, il rinvio al produttore e quando il funzionamento inappropriato veniva confermato dalla societ? produttrice.

I cateteri e i dispositivi bivalvolari non sono stati inclusi nello studio.

Le morti erano attribuite al malfunzionamento del dispositivo solo se c?erano testimoni, se il malfunzionamento conduceva immediatamente a morte, e se il malfunzionamento era confermato dal produttore.

Durante il periodo dello studio, 2.25 milioni di pacemaker e 415.780 ICD sono stati impiantati negli Stati Uniti.

In totale, 17.323 dispositivi, di cui 8.834 pacemaker e 8.485 ICD, sono stati espiantati a causa di malfunzionamento, confermato.

I problemi a batteria/condensatore ( 23.6%; 4.085 malfunzionamenti ) ed i problemi elettrici ( 27.1%; 4.708 malfunzionamenti ) hanno rappresentato quasi la met? dei fallimenti totali.

La percentuale annuale di sostituzione del pacemaker per malfunzionamento per 1000 impianti ? diminuita in modo significativo durante lo studio, passando da un picco di 9 nel 1993 a 1.4 nel 2002 ( p = 0.006 per trend ).

Al contrario, la percentuale annuale di sostituzione per malfunzionamento dell?ICD per 1000 impianti, dopo essere diminuita da 38.6 nel 1993 a 7.9 nel 1996, ? aumentata in modo sensibile durante l?ultima met? dello studio con un picco nel 2001 a 36.4 ( p = 0.04 per trend ).

Pi? della met? dei malfunzionamenti degli ICD riportati si sono presentati negli ultimi 3 anni dello studio.

In generale, la percentuale annuale di sostituzione per malfunzionamento degli ICD ? risultata significativamente pi? elevata rispetto alla percentuale di sostituzione per malfunzionamento dei pacemaker ( in media 20.7 versus 4.6 sostituzioni per 1000 impianti; p < 0.001; rate ratio = 5.9 ).
Un totale di 61 morti, di cui 30 nei pazienti in cui era stato impiantato un pacemaker e 31 tra i pazienti con ICD, erano attribuibili a malfunzionamento del dispositivo. ( Xagena_2006 )

Maisel WH et al, JAMA 2006; 295: 1901-1906

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