Utilit? dell?aggiunta di un bolo orale singolo di Propafenone nei pazienti con d

26 Set 2006 Cardiologia
Ricercatori della Pittsburgh University hanno ipotizzato che un singolo bolo per os di Propafenone ( Rythmol/Rytmonorm ) somministrato precocemente dopo l?insorgenza di fibrillazione atriale potrebbe essere sicuro ed efficace in aggiunta alla terapia basata sul defibrillatore impiantabile.

Uno studio randomizzato ha confrontato 3 strategie dopo l?insorgenza di un episodio di fibrillazione atriale in 35 pazienti a cui era stato applicato un defibrillatore impiantabile.

I pazienti che presentavano episodi non responder ai farmaci , ed in molti casi di malattia cardiaca strutturale sono stati assegnati in modo casuale a ricevere:

– bolo orale singolo di Propafenone ( 600mg ) seguito da scarica da parte del defibrillatore impiantabile, se necessaria;

– bolo orale singolo di placebo, seguito da scarica da parte del defibrillatore impiantabile, se necessaria;

– solo scarica da parte del defibrillatore impiantabile, se necessaria.

L?efficacia antiaritmica, definita come ripristino del ritmo sinusale entro le 24 ore, ? risultata simile tra il Propafenone ( 81% ) e le strategie senza bolo di farmaco ( 84% ).

Le scariche da parte del defibrillatore impiantabile sono state minori nel gruppo trattato con Propafenone ( 19% ) che durante la strategia senza bolo di farmaco ( 55% ).

Dai dati dello studio ? emerso che l?aggiunta di un bolo orale singolo di Propafenone ? sicuro ed efficace nei pazienti con defibrillatore impiantabile. ( Xagena_2006 )

Schwartzman D et al, Europace 2006; 8: 211-215

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Carotidografia e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea

Una accurata metanalisi scioglie i primi dubbi sul confronto tra carotidografia tradizionale e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea. Secondo i dati ottenuti da un importante studio multicentrico Nord-Americano (North American Symptomatic Endarterectomy Trial), l’intervento di endoarteriectomia carotidea, purch? eseguito tempestivamente, riduce significativamente il rischio di ictus ischemico nei pazienti portatori di una stenosi superiore al 70% ma anche – bench? in misura minore – nei casi in cui l’entit? della stenosi oscilla fra il 50 e il 69%.
I maggiori studi effettuati finora sull’argomento hanno invariabilmente utilizzato come tecnica diagnostica la carotidografia con mezzo di contrasto; un esame invasivo e indiscutibilmente rischioso per il quale pu? rendersi necessario il ricovero ospedaliero con ovvie e pericolose perdite di tempo allorch? l’elevato rischio di ischemia impone una effettiva urgenza clinica per l’intervento.
A partire dalla met? degli anni ’90, lo scenario diagnostico di questa patologia ha subito una rapida evoluzione grazie alla introduzione di tecniche molto meno invasive, fra cui l’Eco-Doppler, l’Angio-TAC, l’Angio-Risonanza Magnetica e, da ultimo, l’Angio-RM con contrasto, la cui validit? e accuratezza diagnostica in questo campo non sono per? state validate secondo criteri evidence-based.

A tutt’oggi non si sa se e in quale misura le nuove tecniche possano, da sole o in associazione, essere impiegate in alternativa alla carotidografia tradizionale come test diagnostico risolutivo prima dell’intervento di endoarteriectomia. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Universit? di Edimburgo ha condotto una revisione sistematica degli studi che hanno messo a confronto l’accuratezza diagnostica delle nuove tecniche di studio della carotide con la carotidografia tradizionale con mezzo di contrasto.

Gli studi presi in considerazione, apparsi in letteratura fra il 1980 e il 2004, sono stati sottoposti ad una revisione critica molto severa da due ricercatori indipendenti e, nel caso di opinioni divergenti, giudicati da un terzo revisore, con il risultato che da un pool iniziale di 672 lavori eleggibili si ? arrivati alla analisi di 47 articoli, relativi a 41 studi pubblicati per un totale di 2541 pazienti.

I risultati sembrerebbero indicare che tutte le tecniche non invasive oggi in uso possono essere accreditate di una sensibilit? e specificit? elevate nella diagnosi della stenosi carotidea di alto grado (70-95%) nei pazienti con sintomi ischemici omolaterali, laddove l’accuratezza diagnostica si riduce sensibilmente nei casi di stenosi di grado minore (50-69%). Fra le varie tecniche, l’ Angio-RM con contrasto sembra collocarsi come l’esame di scelta per accuratezza diagnostica. Questo nonostante i dati disponibili siano ancora insufficienti e quindi relativamente poco attendibili, sia per diffusione ancora limitata di questa tecnica, sia per la tendenza a sovrastimare (connaturata negli studi-pilota eseguiti su piccoli numeri di pazienti reclutati in centri di ricerca di alto livello) il potenziale di una tecnica di recente introduzione.

I ricercatori stessi individuano alcuni limiti della revisione ne l’approssimazione metodologica che caratterizzava gran parte dei lavori esaminati (di molto superiore alle previsioni), la relativa scarsit? di pazienti anziani inclusi nelle casistiche e i dati limitati sulle stenosi di grado relativamente minore (50-69%). Queste limitazioni inducono ad una particolare cautela i ricercatori britannici che individuano come punto di partenza essenziale per i nuovi studi la definizione di una metodologia di ricerca pi? accurata i cui requisisti essenziali dovrebbero essere il confronto in cieco fra le nuove tecniche e la tecnica di riferimento, una osservazione esclusivamente di tipo prospettico e la selezione prevalente di pazienti affetti da sintomi ischemici clinicamente significativi.

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Carotidografia e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea

Una accurata metanalisi scioglie i primi dubbi sul confronto tra carotidografia tradizionale e tecniche non invasive nella diagnosi di stenosi carotidea. Secondo i dati ottenuti da un importante studio multicentrico Nord-Americano (North American Symptomatic Endarterectomy Trial), l’intervento di endoarteriectomia carotidea, purch? eseguito tempestivamente, riduce significativamente il rischio di ictus ischemico nei pazienti portatori di una stenosi superiore al 70% ma anche – bench? in misura minore – nei casi in cui l’entit? della stenosi oscilla fra il 50 e il 69%.
I maggiori studi effettuati finora sull’argomento hanno invariabilmente utilizzato come tecnica diagnostica la carotidografia con mezzo di contrasto; un esame invasivo e indiscutibilmente rischioso per il quale pu? rendersi necessario il ricovero ospedaliero con ovvie e pericolose perdite di tempo allorch? l’elevato rischio di ischemia impone una effettiva urgenza clinica per l’intervento.
A partire dalla met? degli anni ’90, lo scenario diagnostico di questa patologia ha subito una rapida evoluzione grazie alla introduzione di tecniche molto meno invasive, fra cui l’Eco-Doppler, l’Angio-TAC, l’Angio-Risonanza Magnetica e, da ultimo, l’Angio-RM con contrasto, la cui validit? e accuratezza diagnostica in questo campo non sono per? state validate secondo criteri evidence-based.

A tutt’oggi non si sa se e in quale misura le nuove tecniche possano, da sole o in associazione, essere impiegate in alternativa alla carotidografia tradizionale come test diagnostico risolutivo prima dell’intervento di endoarteriectomia. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Universit? di Edimburgo ha condotto una revisione sistematica degli studi che hanno messo a confronto l’accuratezza diagnostica delle nuove tecniche di studio della carotide con la carotidografia tradizionale con mezzo di contrasto.

Gli studi presi in considerazione, apparsi in letteratura fra il 1980 e il 2004, sono stati sottoposti ad una revisione critica molto severa da due ricercatori indipendenti e, nel caso di opinioni divergenti, giudicati da un terzo revisore, con il risultato che da un pool iniziale di 672 lavori eleggibili si ? arrivati alla analisi di 47 articoli, relativi a 41 studi pubblicati per un totale di 2541 pazienti.

I risultati sembrerebbero indicare che tutte le tecniche non invasive oggi in uso possono essere accreditate di una sensibilit? e specificit? elevate nella diagnosi della stenosi carotidea di alto grado (70-95%) nei pazienti con sintomi ischemici omolaterali, laddove l’accuratezza diagnostica si riduce sensibilmente nei casi di stenosi di grado minore (50-69%). Fra le varie tecniche, l’ Angio-RM con contrasto sembra collocarsi come l’esame di scelta per accuratezza diagnostica. Questo nonostante i dati disponibili siano ancora insufficienti e quindi relativamente poco attendibili, sia per diffusione ancora limitata di questa tecnica, sia per la tendenza a sovrastimare (connaturata negli studi-pilota eseguiti su piccoli numeri di pazienti reclutati in centri di ricerca di alto livello) il potenziale di una tecnica di recente introduzione.

I ricercatori stessi individuano alcuni limiti della revisione ne l’approssimazione metodologica che caratterizzava gran parte dei lavori esaminati (di molto superiore alle previsioni), la relativa scarsit? di pazienti anziani inclusi nelle casistiche e i dati limitati sulle stenosi di grado relativamente minore (50-69%). Queste limitazioni inducono ad una particolare cautela i ricercatori britannici che individuano come punto di partenza essenziale per i nuovi studi la definizione di una metodologia di ricerca pi? accurata i cui requisisti essenziali dovrebbero essere il confronto in cieco fra le nuove tecniche e la tecnica di riferimento, una osservazione esclusivamente di tipo prospettico e la selezione prevalente di pazienti affetti da sintomi ischemici clinicamente significativi.

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Nuove tecniche di imaging per lo studio e la diagnosi della cardiopatia ischemic

11 Ago 2006 Cardiologia
Introduzione
Da oltre trenta anni l’esame diagnostico che costituisce il gold-standard per il riconoscimento della malattia ostruttiva coronarica ? l’esame angiocoronarografico, utilizzato in maniera sempre pi? diffusa negli ultimi anni soprattutto in Nord America ma anche nei paesi europei. Alcuni esami di tipo non invasivo sono di solito utilizzati in prima istanza nello studio della cardiopatia ischemica come il test ergometrico o le tecniche di stress-imaging quali l’ecocardiografia e la scintigrafia miocardica perfusionale da stress fisico o farmacologico, ma frequentemente la conferma della patologia occlusiva con le indicazioni alle modalit? di rivascolarizzazione del miocardio necessita dell’esame angiocoronarografico, che ? sempre un test invasivo che prevede l’introduzione di un catetere intracardiaco, la somministrazione di mezzo di contrasto intraarterioso, l’esposizione a radiazioni e il conseguimento di immagini radiografiche monoplanari, con le quali ? possibile sottostimare o sovrastimare alcune occlusioni del lume coronario di tipo eccentrico.
Nuove metodiche
Negli ultimi tempi nuove interessanti metodiche si sono proposte all’attenzione dei cardiologi per lo studio della malattia coronarica ed alcune sono ormai entrate nell’armamentario clinico dei centri pi? all’avanguardia in questo campo. Un’interessante review pubblicata sul Canadian Medical Association Journal fa il punto su caratteristiche, attuale utilizzo e prospettive future di tre nuove tecniche di imaging diagnostico di grande interesse come l’ ultrasonografia intravascolare, la tomografia assiale computerizzata multi-slice e la risonanza magnetica per lo studio delle coronarie.
Ultrasonografia intravascolare
L’ultrasonografia intravascolare o ecografia intracoronarica ? un esame invasivo utilizzato di solito a completamento della angiocoronarografia che si avvale dell’utilizzo di una piccola sonda ad ultrasuoni montata sulla punta di un catetere che viene indirizzato nell’albero coronarico sino a superare la lesione aterosclerotica e mentre viene ritirato ? in grado grazie ad una rotazione del fascio di ultrasuoni di fornire un’immagine ecografica ricostruita in maniera biplana del lume vascolare visto nella sua circonferenza interna invece che dall’esterno. I vantaggi principali sono rappresentati da una migliore valutazione del grado di stenosi del lume coronarico e dal riconoscimento del tipo di placca presente, importante per valutare l’instabilit? della placca e quindi il grado di rischio. Si possono infatti riconoscere placche soffici (con poco calcio e collagene ed a prevalente contenuto lipidico), placche fibrose (con grado intermedio delle due componenti sopra citate), placche calcifiche (con elevato contenuto di calcio) e placche miste. Un contributo estremamente importante di tale metodica ? emerso nell’indicazione e nella valutazione dei risultati della rivascolarizzazione mediante applicazione di stent intracoronarici con angioplastica. ? infatti assai utile nel riconoscere le lesioni complesse o quelle dubbie alla coronarografia o delle biforcazioni o del tronco comune che possono essere trattate con migliori risultati con angioplastica e stent, ed ? la tecnica pi? sensibile nel riconoscimento delle restenosi (uno dei problemi principali degli stent) prevalentemente dovute ad una iperplasia neointimale, visibile come un tessuto fibrotico neoformato che cresce all’interno del vaso dilatato e lo riocclude. Un ulteriore campo di applicazione, interessante, soprattutto per sviluppi futuri, ? il riconoscimento precoce di placche aterosclerotiche a rischio in soggetti sintomatici con ostruzioni di entit? minima o lieve all’esame coronarografico.

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Angio-TAC multistrato nella diagnosi di embolia polmonare acuta

10 Ago 2006 Cardiologia
Le probabilit? di successo terapeutico in caso di embolia polmonare (EP) acuta sono strettamente correlate alla tempestivit? della diagnosi. Anche per questo si avverte in maniera sempre pi? pressante l’esigenza di ottenere dati attendibili sulla accuratezza diagnostica in questa patologia di svariate tecniche di imaging. Dunque si procede alla ricerca del test ideale.
Tale esigenza appare motivata oltretutto dal fatto che la diagnosi di EP su basi puramente cliniche pu? rivelarsi fallace perch? gravata da una percentuale elevata di falsi negativi, ma anche di falsi positivi.
Nello studio Prospective Investigation of Pulmonary Embolism Diagnosis (PIOPED II), appena pubblicato sul New England Journal of Medicine , sono state valutate in prima istanza sensibilit? e specificit? della angio-TAC polmonare multistrato nella diagnosi di EP . Considerando l’importanza del rilievo di una trombosi venosa profonda, a sostegno ulteriore della diagnosi di EP, si ? tentato anche di stabilire se la visualizzazione venografica (ottenuta estendendo lo studio angio-TAC alla fase venosa) fosse in grado di incrementare il valore predittivo di questa tecnica.
Il protocollo di studio, per la verit? abbastanza complesso, ha coinvolto oltre 800 pazienti (prevalentemente donne con et? media di poco superiore a 51 anni) selezionati in base ad una batteria di test, clinici (punteggio di Wells) e strumentali fra cui una scintigrafia polmonare ventilo-perfusoria, da molti ritenuta il gold standard per la diagnosi di EP e, in alcuni casi, una angiografia polmonare digitale.
La diagnosi cos? formulata (192 casi positivi e 632 negativi) veniva quindi posta al vaglio della angio-TAC, ottenuta sia con la tecnica standard che con l’aggiunta della fase venosa. I risultati hanno evidenziato una sensibilit? della tecnica standard pari all’83% con una specificit? del 96%, laddove lo studio della fase venosa permetteva di incrementare notevolmente la sensibilit?, portandola al 90%, lasciando praticamente inalterata la specificit? (95%). Per entrambe le tecniche ? stato osservato un numero elevato di diagnosi non conclusive (rispettivamente 51 e 87 casi) essenzialmente a causa della cattiva qualit? dell’immagine. Tale inconveniente, a giudizio degli autori, potrebbe essere parzialmente ovviato dall’impiego di scanner di ultima generazione, in grado di ottenere immagini ad 8 o 16 strati.
Tuttavia, come previsto, il valore predittivo positivo dell’angio-TAC, sia standard sia con studio aggiuntivo della fase venosa, risultava elevato (rispettivamente nel 96% e nel 92%) solo nei casi in cui la valutazione clinica preliminare forniva una probabilit? alta o intermedia di EP acuta, ma si riduceva considerevolmente in presenza di una bassa probabilit? diagnostica, addirittura con un 42% di falsi positivi.
Nell’ipotesi in cui, dunque, non esiste concordanza fra la valutazione clinica e le immagini fornite da questa tecnica, per dirimere il dubbio diventa indispensabile il ricorso ad ulteriori test diagnostici, fra cui ad esempio il dosaggio del D-dimero.
Fonte
Stein PD, Fowler SE, Goodman LR, et al,
Multidetector Computed Tomography for Acute Pulmonary Embolism.
N Engl J Med 2006; 354 (22): 2317-2327

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Cardiopatie: aumento dose statine utile nei diabetici

Il trattamento dei diabetici con segni clinici di coronaropatie con statine ad alte dosi pu? diminuire il tasso di eventi cardiovascolari maggiori, del 25 percento. Nell’analisi dei dati dello studio TNT ? stato provato che l’aumento delle dosi delle statine garantisce significativi benefici clinici nei pazienti con coronaropatie stabili. In attesa di uno studio definitivo, i dati della presente indagine suggeriscono che l’uso di statine ad alte dosi volto ad ottenere un livello di LDL considerevolmente al di sotto dei 100 mg/dl potrebbe risultare appropriato nei pazienti diabetici con coronaropatie, a prescindere da livelli iniziali di LDL, et?, durata del diabete o controllo glicemico. (Diabetes Care online 2006, pubblicato il 29/5)

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Insufficienza cardiaca: obesit? diminuisce soglia BNP

La soglia di BNP per la diagnosi di insufficienza cardiaca dovrebbe essere ribassata nei pazienti obesi. I pazienti pi? pesanti presentano infatti livelli di BNP inferiori rispetto agli altri: bench? la maggior parte dei pazienti pesanti presentano livelli di BNP di molto superiori ai 100 pg/ml, non si dovrebbe realmente escludere la diagnosi a meno che tali livelli non siano al di sotto dei 50 pg/ml. Bench? vi siano probabilmente gi? prove sufficienti allo spostamento dei valori soglia in questi pazienti, ulteriori studi diagnostici getteranno ulteriore luce su questo punto. Per raggiungere il 90 percento di sensibilit?, la soglia di BNP deve essere aumentata a 170 pg/ml nei pazienti magri, e diminuita a 54 pg/ml in quelli gravemente o patologicamente obesi. (Am Heart J 2006; 151: 999-1005)

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La funzione renale ? un predittore di infarto miocardico negli anziani

22 Mag 2006 Cardiologia
L?insufficienza renale ? un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare nei pazienti con malattia renale o malattia coronarica. Ricercatori dell?Erasmus Medical Center di Rotterdam ( Olanda ) hanno esaminato se il livello di funzione renale, calcolato dalla velocit? di filtrazione glomerulare, fosse associato al rischio di infarto miocardico tra i 4.684 soggetti apparentemente sani nello studio Rotterdam ( et? media, 69.6 anni ). Il periodo di follow-up ? stato di 8.6 anni. Nel corso di questo periodo, il 4.9% ( n = 218 ) dei soggetti ha avuto un infarto miocardico. Una riduzione di 10ml/min per 173mq nella velocit? di filtrazione glomerulare era associata ad un aumento del rischio di infarto miocardico del 32% ( p < 0.001 ). Rispetto ai soggetti del quarto quartile, l?hazard ratio aggiustato per il rischio di infarto miocardico ? aumentato da 1.64 nel terzo quartile a 1.94 nel secondo quartile, e 3.06 nel quartile con la pi? bassa velocit? di filtrazione glomerulare, calcolata mediante la formula di Cockcroft-Gault. Lo studio ha mostrato che la funzione renale ? un predittore indipendente di infarto miocardico nella popolazione anziana. Brugts JJ et al, Arch Intern Med 2005; 165: 2659-2665

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La funzione renale ? un predittore di infarto miocardico negli anziani

22 Mag 2006 Cardiologia
L?insufficienza renale ? un fattore di rischio per la malattia cardiovascolare nei pazienti con malattia renale o malattia coronarica. Ricercatori dell?Erasmus Medical Center di Rotterdam ( Olanda ) hanno esaminato se il livello di funzione renale, calcolato dalla velocit? di filtrazione glomerulare, fosse associato al rischio di infarto miocardico tra i 4.684 soggetti apparentemente sani nello studio Rotterdam ( et? media, 69.6 anni ). Il periodo di follow-up ? stato di 8.6 anni. Nel corso di questo periodo, il 4.9% ( n = 218 ) dei soggetti ha avuto un infarto miocardico. Una riduzione di 10ml/min per 173mq nella velocit? di filtrazione glomerulare era associata ad un aumento del rischio di infarto miocardico del 32% ( p < 0.001 ). Rispetto ai soggetti del quarto quartile, l?hazard ratio aggiustato per il rischio di infarto miocardico ? aumentato da 1.64 nel terzo quartile a 1.94 nel secondo quartile, e 3.06 nel quartile con la pi? bassa velocit? di filtrazione glomerulare, calcolata mediante la formula di Cockcroft-Gault. Lo studio ha mostrato che la funzione renale ? un predittore indipendente di infarto miocardico nella popolazione anziana. Brugts JJ et al, Arch Intern Med 2005; 165: 2659-2665

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Nuove linee guida per la misurazione della pressione

14 Mag 2006 Cardiologia
La American Heart Association ha aggiornato le raccomandazioni per la misurazione della pressione. Dall’ultimo aggiornamento vi sono state grandi variazioni nelle tecnologie utilizzate per misurare la pressione, ed anche nella significativit? di diverse misurazioni. Quelle effettuate dal medico nel suo studio potrebbero in effetti risultare inaffidabili per molti pazienti, e pertanto ? in aumento l’accettazione delle misurazioni effettuate dal paziente a casa propria, nonch? quella del monitoraggio pressorio ambulatoriale nelle 24 ore. E’ in aumento anche il credito concesso ai metodi di misurazione alternativi, ma gli strumenti alternativi possono divenire inaccurati, e pertanto la calibrazione mediante uno sfigmomanometro a mercurio ? di importanza critica. La misurazione accurata della pressione ? essenziale per classificare i soggetti, per accertare i rischi correlati alla pressione e per guidare la gestione del paziente. Lo scopo di questo aggiornamento ? fornire ai medici un gruppo di raccomandazioni standard che, se seguite, dovrebbero portare ad una stima accurata della pressione.
(Hypertension. 2005; 45: 2-21)

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