Cioccolato scuro migliora funzionalit? endoteliale nei fumatori
(Heart. 2006: 92: 119-20)
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Paolo Alboni et collaboratori della Divisione di Cardiologia e Centro Aritmologico dell?Ospedale di Cento ( Ferrara ) hanno compiuto una revisione della letteratura con l?obiettivo di definire allo stato attuale delle conoscenze la migliore strategia farmacologica per i pazienti con fibrillazione atriale ricorrente.
A ) Pazienti che non necessitano di terapia antiaritmica
Non dovrebbero essere sottoposti a trattamento con farmaci antiaritmici:
– i pazienti dopo il primo episodio di fibrillazione atriale
I pazienti con un primo episodio di fibrillazione atriale dovrebbero essere convertiti a ritmo sinusale, ma il trattamento profilattico con un farmaco antiaritmico non sembra indicato.
Questo approccio ? condiviso dalle lineeguida dell?American College of Cardiology/American Heart Association e dell?European Society of Cardiology.
Ci possono essere alcune eccezioni come: fibrillazione atriale con grave sintomatologia ( scompenso cardiaco, sincope ), presenza di stenosi mitralica e/o atrii marcatamente dilatati, episodi di lunga durata ( settimane o mesi ).
– i pazienti con rari episodi di fibrillazione atriale di breve durata
I pazienti con rari episodi di fibrillazione atriale di breve durata ( poche ore ), ben tollerati emodinamicamente, non dovrebbero essere sottoposti a trattamento farmacologico preventivo.
– i pazienti con fibrillazione atriale perioperatoria
La fibrillazione atriale ? una frequente complicanza ( con un?incidenza tra il 15 ed il 40% ) dopo chirurgia cardiotoracica.
La fibrillazione atriale perioperatoria ? generalmente di breve durata, ma ? associata ad un aumento di morbilit? e ad una prolungata ospedalizzazione.
Le recidive di fibrillazione atriale sono abbastanza frequenti nel primo mese dopo intervento di cardiochirurgia.
Dopo questo periodo le recidive diventano rare.
Un trattamento antiaritmico cronico non appare indicato nei pazienti senza storia di fibrillazione atriale prima dell?intervento chirurgico.
Il trattamento antiaritmico pu? trovare indicazione solo nel primo mese dopo l?operazione chirurgica.
I pazienti con fibrillazione atriale durante infarto miocardico
Nell?era trombolitica la prevalenza di fibrillazione atriale durante infarto miocardico acuto ( IMA ) varia tra l?8 ed il 10%.
La fibrillazione atriale durante IMA ? associata ad un pi? grave coinvolgimento cardiaco.
Il decorso della fibrillazione atriale durante infarto pu? essere estremamente variabile.
Pertanto i pazienti con fibrillazione atriale durante IMA senza storia di fibrillazione atriale dovrebbero essere dimessi in ritmo sinusale senza alcuna prescrizione di farmaci antiaritmici.
i pazienti con l?holiday heart syndrome
L?assunzione di elevate quantit? di alcol aumenta il rischio di insorgenza di fibrillazione atriale.
I pazienti dovrebbero essere invitati ad evitare l?abuso di alcol.
B ) Pazienti che possono trarre giovamento dall?approccio ?pill-in-the-pocket?
Diversi pazienti con fibrillazione atriale ricorrente presentano episodi che non sono frequenti ( inferiore ad 1 per mese ) e che sono emodinamicamente ben tollerati, ma di durata che richiede il ricorso al Dipartimento d?Emergenza o l?ospedalizzazione.
Questi pazienti necessitano di un trattamento, ma la profilassi per os di lungo periodo o l?ablazione non sono trattamenti appropriati di prima linea.
Questo gruppo di pazienti potrebbe trarre vantaggio dall?approccio ?pill-in-the-pocket?.
L?approccio ?pill-in-the-pocket? consiste nell?assunzione per os di una singola dose di farmaco antiaritmico al momento del manifestarsi dell?aritmia.
L?efficacia di un dosaggio da carico di un farmaco di classe IC, Flecainide ( Almarytm ) o Propafenone ( Rytmonorm ) ? stata dimostrata in diversi studi clinici.
C ) Pazienti che richiedono trattamento profilattico con farmaci antiaritmici
Nei pazienti con episodi di fibrillazione atriale frequenti e mal tollerati dal punto di vista emodinamico, trova indicazione il trattamento profilattico con farmaci antiaritmici.
Gli antiaritmici dovrebbero essere impiegati solo nei pazienti con fibrillazione atriale sintomatica in cui il ritmo sinusale necessita di essere mantenuto.
La decisione di impiegare i farmaci antiaritmici richiede un?attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio.
Il farmaco antiaritmico pi? efficace nella prevenzione della fibrillazione atriale ? l?Amiodarone ( Cordarone ).
Alboni P et al, Ital Heart J 2005; 6: 169-174
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L?approccio pill-in-the-pocket consiste nella somministrazione di un carico orale di un farmaco antiaritmico.
I farmaci di classe IC, Flecainide ( Almarytm ) o Propafenone ( Rytmonorm ) presentano il vantaggio di essere convenientemente somministrati come dose di carico orale, di agire rapidamente e di causare minimi effetti indesiderati.
Diversi pazienti con fibrillazione atriale ricorrente presentano episodi che non sono frequenti ( inferiori ad 1 per mese ) e che sono emodinamicamente ben tollerati, ma che presentano una durata tale da richiedere un intervento d?emergenza o una ospedalizzazione.
Questi pazienti potrebbero trarre beneficio dall?approccio pill-in-the-pocket ( pillola in tasca ).
L?efficacia di una singola dose di carico orale di Flecainide e di Propafenone nel convertire la fibrillazione atriale di recente esordio a ritmo sinusale ? stata documentata in diversi studi clinici controllati con placebo.
I due farmaci hanno mostrato un?efficacia simile, con percentuali di successo varianti tra il 58 ed il 95%, in base alla durata della fibrillazione atriale.
In tutti gli studi controllati, ? stata riportata una bassa incidenza di effetti indesiderati.
Il pi? grave effetto indesiderato osservato con l?impiego della Flecainide e del Propafenone ? la comparsa di un flutter atriale transitorio con alta frequenza ventricolare.
La conduzione atrioventricolare 1:1 avviene in circa l?1% dei pazienti con fibrillazione striale trattati con farmaci di classe IC.
Un recente studio multicentrico eseguito in Italia ha dimostrato l?applicabilit? dell?approccio ?pill-in-the-pocket?.
Sono stati arruolati pazienti di et? compresa tra i 18 ed i 75 anni, richiedenti un intervento d?emergenza per fibrillazione atriale di recente insorgenza ( inferiore a 48 ore ), ben tollerata emodinamicamente ( assenza di sintomi quali dispnea, presincope o sincope ).
Questi pazienti presentavano un numero di episodi di fibrillazione atriale inferiore ad 1 al mese.
I pazienti sono stati cardiovertiti, in ambiente ospedaliero, mediante somministrazione di una dose di carico di Flecainide ( 300 mg se il paziente pesava 70 kg o pi?; 200 mg per le persone di peso inferiore ai 70 kg ) oppure di Propafenone ( 600 mg se il paziente pesava 70 kg o pi?; 450 mg per le persone di peso inferiore ai 70 kg ).
Il trattamento farmacologico era considerato ?di successo? se il tempo di conversione a ritmo sinusale era inferiore a 6 ore dopo la somministrazione del farmaco.
Un totale di 268 pazienti con fibrillazione atriale di recente insorgenza sono stati arruolati.
Di questi, 58 sono stati esclusi dal trattamento extra-ospedaliero. In 41, il farmaco ? risultato inefficace nel ripristinare il ritmo sinusale entro 6 ore.
In 14 soggetti sono insorti effetti indesiderati dovuti al trattamento: in 4 ipotensione transitoria, in 7 flutter atriale, in 1 conduzione AV 1:1, ed in 3 una leggera bradicardia sintomatica.
I rimanenti 210 pazienti, et? media 59 anni, sono stati dimessi dall?ospedale su Flecainide o Propafenone per il trattamento ?pill-in-the-pocket? della fibrillazione atriale ricorrente.
Un totale di 118 pazienti non presentava segni di malattia cardiaca ed i rimanenti 92 ( 43% ) presentavano invece una lieve cardiopatia.
Il periodo medio osservazionale ? stato di 15 mesi.
Quattro pazienti sono andati perduti subito dopo l?arruolamento.
Il 20% ( n = 41 ) non ha sperimentato alcuna recidiva aritmica durante il periodo di follow-up, mentre 165 hanno riferito 618 episodi di palpitazione con esordio improvviso.
Il trattamento farmacologico ? risultato efficace nel 94% dei casi ( 534 su 569 episodi aritmici ).
Il tempo alla risoluzione dei sintomi dopo assunsione del farmaco ? stato in media di 98 minuti.
Sedici episodi aritmici sono stati interrotti in un tempo maggiore di 6 ore senza che il paziente contattasse il Pronto Soccorso.
Ventisei episodi ( 5% ) hanno richiesto un intervento d?emergenza, con ospedalizzazione per 10 di questi ( 2% ).
Il 7,9% ( 49 su 618 ) degli episodi aritmici non sono stati trattati, soprattutto a causa dell?indisponibilit? del farmaco ed il 10% ( 5 ) di questi ha richiesto intervento d?emergenza.
Durante il periodo osservazionale il numero delle chiamate per un intervento d?emergenza al mese si ? ridotto in modo significativo rispetto allo stesso periodo dell?anno precedente: 4,9 versus 45,6 ( p < 0,001 ). Anche il numero delle ospedalizzazioni per mese durante il periodo di follow-up ? risultato significativamente pi? basso: 1,6 versus 15 ( p < 0,001 ). Effetti indesiderati durante gli episodi aritmici sono stati riportati nel 7% ( 12/165 ) dei pazienti che hanno utilizzato il farmaco antiaritmico. I risultati di questo studio hanno mostrato che il trattamento extra-ospedaliero della fibrillazione atriale ricorrente mediante l?approccio ?pill-in-the-pocket? ? fattibile e sicuro, con un?alta incidenza di compliance per il paziente ed una bassa percentuale di reazioni avverse. Alboni P et al, Ital Heart J 2005; 6: 169-174
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Nel corso dell?European Society of Cardiology ( ESC ) Congress 2005 sono stati presentati diversi lavori riguardanti la malattia vascolare aterosclerotica.
Khoo et al, Oxford ( UK ), hanno valutato l?effetto della deficienza di tetraidrobiopterina ( BH4 ) sulla progressione dell?aterosclerosi.
L?esperimento ? stato effettuato su topi knockout per apo-E ( inclini all?aterosclerosi ) e topi hph1 mancanti di BH4.
Dopo 12 settimane di dieta ad alto contenuto di grassi, i Ricercatori hanno trovato che i livelli aortici di BH4 erano aumentati nei topi mancanti di BH4.
Inoltre, i topi deficienti per BH4 avevano sviluppato in modo significativo pi? placche aterosclerotiche.
Pertanto l?aterosclerosi pu? essere accelerata da una deficienza sistemica di BH4.
Kwak et altri, Ginevra ( CH ), hanno studiato il ruolo della connessina 37 nel processo aterosclerotico.
Un polimorfismo nel gene umano della connessina 37 pu? rappresentare un potenziale marker prognostico per l?aterosclerosi.
E? stato inoltre dimostrato che l?espressione della connessina 37 ? alterata nelle lesioni aterosclerotiche.
L?esperimento ? stato eseguito confrontando topi mancanti di apo-E e della connessina 37 con quelli deficienti per apo-E, dopo una dieta aterogenica.
E? stato trovato che la deposizione lipidica era 1,5-1,6 volte maggiore nei topi deficienti per la connessina 37 nell?aorta toraco-addominale e nell?aorta toraco-addominale, rispettivamente.
In questi topi ? stata osservata una pi? veloce migrazione attraverso l?endotelio dei macrofagi.
Si ritiene che la connessina 37 possa regolare il reclutamento dei leucociti nei siti di infiammazione.
Schoneveld et al, Utrecht ( NL ), hanno studiato l?iporesponsivit? di TLR ( recettore Toll-like ) dei leucociti nello sviluppo dell?aterosclerosi.
I Ricercatori hanno confrontato lo sviluppo di aterosclerosi nei topi knockout per l?apolipoproteina E in un periodo di 40 settimane, con quello di topi wild-type.
L?espressione di TLR2 e TLR4 ? aumentata nel tempo solo nei topi knockout per l?apo-E.
E? stato anche osservato che i livelli di IL-1b, IL-6, MIP-1 alfa e RANTES si sono ridotti nel tempo nei topi knockout per apo-E mentre sono aumentati nei topi wild-type.
Durante la progressione dell?aterosclerosi, l?espressione di TLR ? risultata aumentata mentre la responsivit? dei leucociti ai ligandi TLR ? diminuita.
Queste scoperte, indicano che un sistema immunitario innato iporesponsivo pu? essere importante nello sviluppo di aterosclerosi.
Braunersreuther et altri, Ginevra ( CH ), hanno studiato un nuovo antagonista delle chemochine, AANA-RANTES, ed i suoi effetti sulle lesioni aterosclerotiche nei topi.
I Ricercatori hanno trovato che l?iniezione di AANA-RANTES a topi knockout per LDLR ( recettore della lipoproteina a bassa densit? ) ha ridotto l?espressione sia del recettore delle chemochine che delle chemochine, ed ha anche ridotto l?infiltrazione dei leucociti, rispetto ai topi non-trattati.
Fonte: European Society of Cardiology ( ESC ) Congress, 2005
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L?FDA ha respinto la petizione di Public Citizen di ritirare dal mercato la Sibutramina ( negli Usa: Meridia; in Italia: Reductil ), ma desidera acquisire maggiori dati sulla sicurezza del farmaco.
Public Citizen aveva motivato il ritiro dal mercato della Sibutramina con la pericolosit? del farmaco, che avrebbe causato alcune morti per problemi cardiaci in giovani soggetti.
L?FDA ? a conoscenza degli effetti indesiderati a livello cardiovascolare della Sibutramina ed ha invitato Abbott Laboratories a non fare prescrivere il farmaco a pazienti cardiopatici.
Dal 1997 al 2003 l?FDA ha ricevuto 30 segnalazioni di persone decedute per cause cardiovascolari mentre stavano assumendo la Sibutramina e 224 rapporti di ictus non-fatali, infarto miocardico ed altri problemi cardiovascolari.
E? in corso in Europa uno studio su 9000 soggetti obesi, a particolare rischio cardiovascolare. Met? di questi stanno assumendo Sibutramina, l?altra met? placebo.
Lo studio fornir? indicazioni sulla sicurezza del farmaco.
E? noto che la Sibutramina pu? aumentare la pressione sanguigna o la frequenza cardiaca in alcuni pazienti.
Il farmaco, pertanto, non dovrebbe essere assunto da persone con ipertensione scarsamente controllata, una storia di cardiopatia, ictus, o con grave danno epatico o renale.
Non devono assumere il farmaco le donne in gravidanza o che allattano.
Fonte: FDA, 2005
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La proteina della soia e gli isoflavoni ( fitoestrogeni ) hanno guadagnato considerevole attenzione per il loro potenziale ruolo nel migliorare i fattori di rischio per la malattia cardiovascolare.
L?American Heart Association ( AHA ) Nutrition Committee ha analizzato i pi? recenti studi pubblicati sulla proteina della soia e sui suoi componenti, gli isoflavoni.
Nella maggior parte dei 22 studi randomizzati, la proteina della soia isolata assieme agli isoflavoni ha ridotto in media le concentrazioni di colesterolo LDL di quasi il 3% rispetto ad altre proteine.
La riduzione del colesterolo LDL ? risultata molto piccola in relazione alle grandi quantit? di proteina della soia ( circa 50g/die ) utilizzata negli studi clinici.
Non ? stato osservato, inoltre, nessun significativo effetto sul colesterolo HDL, trigliceridi, lipoproteina ( a ) e sulla pressione sanguigna.
Tra i 19 studi che hanno riguardato gli isoflavoni di soia, l?effetto sul colesterolo LDL e su altri fattori di rischio lipidico ? stato nullo.
La proteina della soia e gli isoflavoni non hanno mostrato di diminuire i sintomi vasomotori della menopausa ed i risultati riguardo alla capacit? della soia nel rallentare la perdita ossea nelle donne in postmenopausa sono misti.
L?efficacia e la sicurezza degli isoflavoni della soia nel prevenire e nel trattare il tumore alla mammella, il tumore all?endometrio ed il tumore alla prostata non sono state ben definite.
Lo Scientific Advisory dell?AHA ha rilevato che i risultati dei primi studi che avevano indicato effetti favorevoli, clinicamente importanti, della proteina della soia rispetto ad altre proteine, non sono stati successivamente confermati.
Molti prodotti a base di soia dovrebbero fornire benefici sia per l?apparato cardiovascolare che per la salute generale grazie all?alto contenuto di grassi polinsaturi, fibre, vitamine e minerali, e per il basso contenuto di grassi insaturi.
Sacks FM et al, Circulation 2006; Published online before
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Rosuvastatina ( Crestor ) riduce il colesterolo totale, il colesterolo LDL, l’apolipoproteina B, il colesterolo non HDL e i trigliceridi, e aumenta il colesterolo HDL.
Le risposte terapeutiche dopo somministrazione di Rosuvastatina sono state osservate entro una settimana, mentre la massima risposta avviene generalmente a quattro settimane e si mantiene nel lungo periodo.
Rosuvastatina ha dimostrato di essere efficace in un’ampia variet? di popolazioni di pazienti tra cui pazienti con diabete, pazienti con sindrome metabolica e pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote ed omozigote.
Lo studio STELLAR ha confrontato Rosuvastatina con altre statine in pazienti ( n = 2240 ) con ipercolesterolemia di tipo IIa e IIb.
La Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% rispetto al basale.
Inoltre, Rosuvastatina 10mg ? risultata significativamente pi? efficace nel ridurre il colesterolo LDL rispetto ad Atorvastatina 10mg, Simvastatina 10mg, 20mg e 40mg, e Pravastatina 10mg, 20mg e 40mg.
Rosuvastatina aumenta il colesterolo HDL.
Il meccanismo non ? completamente noto, anche se si ipotizza che la Rosuvastatina riduca l’attivit? del CETP, una proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo.
Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare con livelli medi di colesterolo LDL di 291mg/dl, quelli trattati con Rosuvastatina hanno presentato una riduzione del colesterolo del 47% ( alla dose di 20mg/die ) e del 55% ( alla dose di 40mg/die ) contro una riduzione nei pazienti che hanno assunto Atorvastatina del 38% ( alla dose di 20mg/die ) e del 47% ( alla dose del 40mg/die ).
La differenza tra i due trattamenti non era statisticamente significativa.
Nei pazienti con ipertrigliceridemia ( Fredrickson di tipo IIb e IV ), Rosuvastatina ha ridotto, nell’arco di 6 settimane, i livelli di trigliceridi del 21% ( alla dose di 5mg/die ).
Lo studio COMETS ha coinvolto pazienti con sindrome metabolica e livelli di colesterolo LDL maggiori o uguali a 130mg/dl dimostrando che il trattamento di 6 settimane con Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 42.7% contro il 36% dell’Atorvastatina 10mg.
I livelli di colesterolo HDL sono aumentati del 9.5% e del 5.1%, rispettivamente.
Inoltre, un numero significativamente maggiore di pazienti del gruppo Rosuvastatina 10mg ha raggiunto i target per il colesterolo LDL raccomandata dalle linee guida NCEP ATP III, rispetto ai pazienti trattati con Atorvastatina 10mg ( 83% versus 72%, rispettivamente ).
Nello studio CORALL, rivolto a pazienti con diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia, Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% contro il 41% di Atorvasttina 20mg, del 51% contro il 46% con Rosuvastatina 20mg ed Atorvastina 40mg, rispettivamente, e del 54% con Rosuvastatina 40mg contro il 48% dell’Atorvastatina 80mg.
Ferdinand KC, Expert Opin Pharmacother 2005; 6: 1897-1910
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Rosuvastatina ( Crestor ) riduce il colesterolo totale, il colesterolo LDL, l’apolipoproteina B, il colesterolo non HDL e i trigliceridi, e aumenta il colesterolo HDL.
Le risposte terapeutiche dopo somministrazione di Rosuvastatina sono state osservate entro una settimana, mentre la massima risposta avviene generalmente a quattro settimane e si mantiene nel lungo periodo.
Rosuvastatina ha dimostrato di essere efficace in un’ampia variet? di popolazioni di pazienti tra cui pazienti con diabete, pazienti con sindrome metabolica e pazienti con ipercolesterolemia familiare eterozigote ed omozigote.
Lo studio STELLAR ha confrontato Rosuvastatina con altre statine in pazienti ( n = 2240 ) con ipercolesterolemia di tipo IIa e IIb.
La Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% rispetto al basale.
Inoltre, Rosuvastatina 10mg ? risultata significativamente pi? efficace nel ridurre il colesterolo LDL rispetto ad Atorvastatina 10mg, Simvastatina 10mg, 20mg e 40mg, e Pravastatina 10mg, 20mg e 40mg.
Rosuvastatina aumenta il colesterolo HDL.
Il meccanismo non ? completamente noto, anche se si ipotizza che la Rosuvastatina riduca l’attivit? del CETP, una proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo.
Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare con livelli medi di colesterolo LDL di 291mg/dl, quelli trattati con Rosuvastatina hanno presentato una riduzione del colesterolo del 47% ( alla dose di 20mg/die ) e del 55% ( alla dose di 40mg/die ) contro una riduzione nei pazienti che hanno assunto Atorvastatina del 38% ( alla dose di 20mg/die ) e del 47% ( alla dose del 40mg/die ).
La differenza tra i due trattamenti non era statisticamente significativa.
Nei pazienti con ipertrigliceridemia ( Fredrickson di tipo IIb e IV ), Rosuvastatina ha ridotto, nell’arco di 6 settimane, i livelli di trigliceridi del 21% ( alla dose di 5mg/die ).
Lo studio COMETS ha coinvolto pazienti con sindrome metabolica e livelli di colesterolo LDL maggiori o uguali a 130mg/dl dimostrando che il trattamento di 6 settimane con Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 42.7% contro il 36% dell’Atorvastatina 10mg.
I livelli di colesterolo HDL sono aumentati del 9.5% e del 5.1%, rispettivamente.
Inoltre, un numero significativamente maggiore di pazienti del gruppo Rosuvastatina 10mg ha raggiunto i target per il colesterolo LDL raccomandata dalle linee guida NCEP ATP III, rispetto ai pazienti trattati con Atorvastatina 10mg ( 83% versus 72%, rispettivamente ).
Nello studio CORALL, rivolto a pazienti con diabete mellito di tipo 2 e dislipidemia, Rosuvastatina 10mg ha ridotto il colesterolo LDL del 46% contro il 41% di Atorvasttina 20mg, del 51% contro il 46% con Rosuvastatina 20mg ed Atorvastina 40mg, rispettivamente, e del 54% con Rosuvastatina 40mg contro il 48% dell’Atorvastatina 80mg.
Ferdinand KC, Expert Opin Pharmacother 2005; 6: 1897-1910
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I risultati di recenti studi clinici randomizzati, non hanno fornito alcuna evidenza dell?effetto protettivo degli estrogeni equini coniugati associati a Medrossiprogesterone nei confronti della malattia coronarica nelle donne in post-menopausa.
I Ricercatori del Women?s Health Iniziative hanno valutato l?effetto degli estrogeni sulla protezione coronarica.
Un totale di 10.739 donne di et? compresa tra 50 e 79 anni al basale ( et? media, 63.6 anni ), precedentemente sottoposte ad isterectomia, sono state assegnate in modo casuale ad assumere gli estrogeni equini coniugati ( 0.625mg/die ) oppure il placebo, in 40 centri degli Stati Uniti a partire dal 1993.
L?end point primario di efficacia comprendeva l?infarto miocardico o la morte per cause coronariche.
Lo studio ? stato interrotto precocemente dopo 6.8 anni di follow-up ( periodo osservazionale pianificato: 8.5 anni ).
Tra le donne assegnate al trattamento con estrogeni equini coniugati ci sono stati 201 eventi coronarici contro i 217 eventi tra le donne assegnate al placebo ( hazard ratio, HR = 0.95 ).
Tra le donne di et? compresa tra i 50 e i 59 anni al basale, l?hazard ratio ( rapporto tra i rischi ) per l?end point primario ? stato 0.63.
In questo gruppo di et?, le donne assegnate a ricevere estrogeni equini coniugati hanno mostrato un minore ricorso alla rivascolarizzazione coronarica ( HR = 0.55 ).
I dati dello studio hanno mostrato che gli estrogeni equini coniugati non forniscono nessuna protezione contro l?infarto miocardico o la morte cardiaca nelle donne in post-menopausa durante il periodo d?impiego di 7 anni.
E? stata osservata un a minore incidenza di malattia coronarica quando gli estrogeni equini coniugati erano assunti dalle donne di et? compresa tra 50 e 59 anni al basale.
Hsia J et al, Arch Intern Med 2006; 166: 357-365
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L?aterosclerosi coronarica si sviluppa lentamente nell?arco di decenni, ma ? caratterizzata da improvvisi episodi instabili.
I pazienti che presentano malattia coronarica instabile ( es. infarto miocardico acuto ) possono differire dai pazienti con malattia coronarica relativamente stabile ( es. angina da sforzo ).
Ricercatori dello studio ADVANCE ( Atherosclerotic Disease, Vascular Function and Genetic Epidemiology ) hanno esaminato se l?impiego di un farmaco o le caratteristiche del paziente potessero influenzare il modo di presentazione clinica iniziale della malattia coronarica.
Sono stati presi in considerazione soggetti adulti alla prima presentazione clinica della malattia coronarica: infarto miocardico acuto ( n = 916 ) o angina da sforzo stabile ( n = 468 ).
Rispetto ai pazienti con angina da sforzo stabile, i pazienti con infarto miocardico acuto erano con maggiore probabilit? di sesso maschile, fumatori, fisicamente inattivi ed ipertesi, ma avevano una minore probabilit? di storia familiare di malattia coronarica.
I pazienti con infarto miocardico avevano una minore probabilit? di assumere le statine ( 19.3% versus 40.4%; p < 0.001 ) e beta-bloccanti ( 19% versus 47.7%; p < 0.001 ) rispetto ai pazienti con angina da sforzo. Dopo aggiustamento per potenziali confondenti, l?impiego recente di statine ( odds ratio, OR = 0.45 ) e di beta-bloccanti ( OR aggiustato = 0.26 ) era associato ad una minore probabilit? di presentare infarto miocardico. Lo studio ha mostrato che l?assunzione di statine e beta-bloccanti ? associata ad un pi? basso rischio di andare incontro ad infarto miocardico acuto piuttosto che ad angina da sforzo. Go AS et al, Ann Intern Med 2006 ; 144 : 229-238
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