Marker prognostici della terapia di resincronizzazione cardiaca

29 Feb 2012 Cardiologia

Messo a punto da cardiologi italiani un nomogramma basato su elementi clinici, ampiezza del Qrs al basale e grado della sua riduzione in risposta alla terapia di resincronizzazione cardiaca (Crt), capace di stimare la probabilità individuale di piena risposta alla Crt stessa. L’algoritmo è frutto di un lavoro coordinato da Riccardo Cappato, direttore del centro di Elettrofisiologia e aritmologia clinica del Policlinico San Donato (vicino a Milano), condotto insieme a un team degli Ospedali Riuniti dell’università di Trieste guidato da Laura Vitali Serdoz. Nello studio prospettico di follow-up sono stati coinvolti 75 pazienti (età media: 64 anni, 87% uomini) con scompenso cardiaco avanzato (frazione di eiezione ventricolare, Lvef: 24% in media), sottoposti a impianto di dispositivo per Crt e seguiti per un periodo medio di 17 mesi. Mediante analisi di regressione univariata e multivariata si sono identificati i predittori di piena risposta alla Crt (intesa come raggiungimento di una Lvef =/>50% e di una classe Nyha I dopo 1 anno dall’impianto) e si è sviluppato un nomogramma per l’identificazione individuale di tale risposta. In tutto, 13 pazienti hanno ottenuto un recupero della Lvef (56% in media) contro 62 che non hanno raggiunto valori adeguati (31%). Gli elementi predittivi di piena risposta sono risultati la presenza di una cardiopatia non ischemica, un’ampiezza del Qrs al basale =/<150 ms e una riduzione del Qrs =/>40 ms in risposta alla Crt; i soggetti con questi parametri, rispetto agli altri, avevano una probabilità >75% di conseguire il ripristino di una Lvef normale.

Am J Cardiol, 2011; 108(1):75-80

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Ictus criptogenici da tachiaritmie atriali subliniche

I pazienti con periodi di tachiaritmia atriale subclinica – senza fibrillazione atriale (Fa) clinica – rilevati frequentemente dai loro pacemaker, sono significativamente associati a un rischio maggiore di ictus ischemico o di embolia sistemica. Questo dato sembra supportare il concetto che la Fa subclinica sia spesso alla base di un ictus criptogenico. È la tesi sostenuta da Jeff S. Healey, della McMaster university di Hamilton (Canada) sulla base dei risultati ottenuti in uno studio condotto – insieme al team internazionale dei ricercatori Assert (Asymptomatic Atrial Fibrillation and Stroke Evaluation in Pacemaker Patients and the Atrial Fibrillation Reduction Atrial Pacing Trial) – su 2.580 pazienti, di età =/>65 anni, con ipertensione e senza storia di Fa, nei quali era stato recentemente impiantato un pacemaker o un defibrillatore. I soggetti sono stati monitorati per 3 mesi allo scopo di rilevare eventuali tachiartmie (episodi di frequenza atriale >190 bpm per più di 6 minuti) e seguiti per una media di 2,5 anni allo scopo di valutare l’outcome primario rappresentato da ictus ischemico o embolia sistemica. Nei primi 3 mesi sono state segnalati dai device tachiaritmie subliniche atriali in 261 pazienti (10,1%), risultate associate a un aumentato rischio di fibrillazione atriale clinica (Hr: 5,56) e di ictus ischemico o embolia sistemica (Hr: 2,49). Dei 51 soggetti che hanno subito un evento primario, 11 avevano avuto una tachiaritmia subclinica atriale entro 3 mesi mentre nessuno aveva avuto una Fa clinica nello stesso periodo. Il rischio di ictus o embolia sistemica attribuibile alla popolazione associata a tachiaritmia atriale subclinica è risultata del 13%. Quest’ultima si è mantenuta predittiva di outcome primario dopo aggiustamento per i fattori predittivi di stroke.

N Engl J Med, 2012; 366(2):120-9

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Escrezione urinaria di sodio e rischio cardiovascolare

Rispetto a un valore basale di 4-5.99 g/die, un’escrezione urinaria di sodio superiore a 7 g/die si associa a un accresciuto rischio di eventi cardiovascolari (cv), ma se l’escrezione dell’elettrolita diventa inferiore a 3 g/die aumenta il rischio di mortalità cv e di ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Vi è dunque tra escrezione di sodio e rischio di eventi cv una correlazione “a forma di J”. È quanto hanno scoperto Martin O’Donnell, della McMaster University di Hamilton (Canada) e collaboratori. I ricercatori hanno coinvolto 28.880 pazienti con diagnosi accertata di malattia cardiovascolare o diabete mellito provenienti dai trial Ontarget e Trascend, dai cui campioni di mitto mattutino a digiuno sono state effettuate stime dell’escrezione urinaria di sodio e potassio lungo le 24 ore, applicando la formula di Kawasaki. Gli outcomes di interesse, valutati a un follow-up medio di 56 mesi, erano costituiti da mortalità cv, infarto miocardico, ictus e ospedalizzazione per scompenso cardiaco. Rispetto a un gruppo di riferimento con un valore basale di escrezione di sodio di 5-5.99 g/die, livelli superiori al basale sono risultati associati a un rischio maggiore di morte cv. In particolare il rischio era quasi raddoppiato nei soggetti con escrezione basale superiore a 8 g/die, ma aumentava solo del 15% in quanti avevano un’escrezione iniziale di 7-8 g/die. Comunque, un basso livello al basale di escrezione di sodio è apparso associato ad un rischio superiore di un outcome composito, comprendente morte cv, infarto miocardico, ictus e ricovero per scompenso cardiaco. Quanti mostravano un valore basale inferiore a 2 g/die avevano un rischio per quest’ultimo esito aumentato del 21%, cifra che scendeva al 16% nel caso di valori compresi tra 2 e 2.99 g/die. Da notare infine che rispetto a un valore di riferimento di 1.5 g/die, valori superiori di escrezione urinaria di potassio si sono accompagnati a riduzioni crescenti del rischio di ictus (da 23% fino a 32%).

O’Donnel MJ et al. JAMA 2011; 306(20):2229-38

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Rischio Cv ridotto negli over70 con testosterone elevato

Negli uomini di età ≥70 anni, elevati livelli sierici di testosterone (correlati a ridotta adiposità e minore sviluppo di aterosclerosi) sono predittivi di un minore rischio di episodi cardiovascolari (Cv) a 5 anni. Lo rivela uno studio di Claes Ohlsson, dell’università di Göteborg (Svezia), e collaboratori, svolto su 2.416 soggetti di età compresa tra 69 e 81 anni. In ogni partecipante, oltre alla valutazione dei livelli di testosterone al basale mediante gascromatografia-spettrometria di massa, si sono misurati anche quelli di Shbg (sex hormone binding protein), glicoproteina di traporto degli ormoni sessuali già associata al rischio di diabete di tipo 2 ma poco studiata come fattore predittivo di rischio Cv. Nel corso di 5 anni sono avvenuti 485 episodi Cv. Sia il testosterone totale sia l’Shbg sono apparsi inversamente associati al rischio di tali eventi. Più in dettaglio, negli uomini con i valori più elevati dell’ormone (≥550 ng/dl) si è calcolato un rischio inferiore del 30% rispetto a chi ne mostrava livelli più contenuti nel siero. Questa associazione non si è modificata dopo aver apportato correzioni per i tradizionali fattori di rischio Cv e non è sostanzialmente cambiata nelle analisi che escludevano gli uomini con malattia Cv nota alla visita iniziale. Nei modelli che tenevano conto sia del testosterone sia dell’Shbg, solo il primo si è rivelato in grado di predire il rischio Cv.

J Am Coll Cardiol, 2011; 58(16):1674-81

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Ipolipemizzanti: gap europeo tra linee guida e pratica clinica

12 Dic 2011 Cardiologia

Una quota elevata di pazienti europei affetti da sindrome metabolica e ad alto rischio cardiovascolare non raggiunge gli obiettivi dei trattamenti ipolipemizzanti. Esiste infatti un “gap” sostanziale tra le linee guida e la loro applicazione nella pratica clinica. Lo rivela un’analisi dello studio Eurika (European study on cardiovascular risk prevention and management in daily practice), condotto tra il 2009 e il 2010 in 12 nazioni su pazienti non ricoverati di età =/>50 anni, senza malattie cardiovascolari. L’équipe di José R. Banegas, dell’universidad Autónoma de Madrid (Spagna), ha valutato, tra i partecipanti all’Eurika, il raggiungimento degli obiettivi di trattamento lipidico secondo la definizione dell’American diabetes association e dell’American college of cardiology foundation (Ada/Accf). Tutti i soggetti considerati avevano una sindrome metabolica ed erano ad altissimo rischio (diabete più >1 fattori di rischio cardiovascolare maggiore oltre le anomalie lipidiche) o ad alto rischio (assenza di diabete ma >2 fattori addizionali di rischio cardiovascolare maggiore). Tra i 1.431 pazienti ad altissimo rischio, soltanto il 64,6% era in terapia con ipolipemizzanti. Di questi, solo il 13,4% raggiungeva tutti e tre i target terapeutici (Ldl <70 mg/dL, non-Hdl <100 mg/dL, e apolipoproteina B <80 mg/dL). Tra gli 832 soggetti ad alto rischio, il 38,7% era trattato con ipolipemizzanti e di questi solamente il 20,5% aveva Ldl <100 mg/dL, nonHdl <130 mg/dL e apolipoproteina B <90 mg/dL. Circa il 96% e il 94% dei pazienti, rispettivamente, ad altissimo e ad alto rischio aveva ricevuto almeno una volta una consulenza sullo stile di vita (riduzione del peso, attività fisica, dieta sana, cessazione del fumo). Ciononostante solo l’1,3% dei primi e il 4,9% dei secondi ha raggiunto i tre obiettivi terapeutici, evidenziando che il counselling sui comportamenti è scarsamente implementato.

Int J Cardiol, 2011 Nov 4. [Epub ahead of print]

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Fa, la funzione renale migliora dopo l’ablazione

I pazienti con fibrillazione atriale (Fa), spesso affetti anche da disfunzione renale di grado lieve o moderata, dopo risoluzione dell’aritmia mediante ablazione transcatetere con radiofrequenza mostrano un miglioramento della funzionalità renale (predittiva di morbilità e mortalità cardiovascolare) fino a un follow-up di 1 anno. La dimostrazione proviene da uno studio prospettico condotto da Yoshihide Takahashi, dell’ospedale Kyousai di Yokosuka (Giappone) e collaboratori, su 386 pazienti con fibrillazione atriale (parossistica in 135 casi, persistente in 106, persistente di lunga durata in 145) avviati ad ablazione transcatetere. In tutti i soggetti arruolati nel trial si è stimato il tasso di filtrazione glomerulare (eGfr) prima dell’intervento e 1 anno dopo l’ablazione. I valori basali di eGfr erano compresi tra 60 e 89 mL min-1 1,73 m-2 nel 66% dei pazienti, e fra 30 e 59 mL min-1 1,73 m-2 nel 26% dei casi. Al follow-up di 1 anno, in tutto 278 pazienti (72%) non erano più aritmici. In questi soggetti, l’eGfr era aumentato 3 mesi dopo l’ablazione e si era mantenuto elevato per un anno, mentre nei pazienti con recidive l’eGfr era diminuito nel corso dei 12 mesi. Qualunque fosse il valore basale di eGfr, le sue modificazioni in 1 anno dopo ablazione erano maggiori nei soggetti senza aritmia rispetto a quelli con recidive.

Circulation, 2011 Oct 31. [Epub ahead of print]

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Microalbuminuria e rigidità arteriosa

Dati epidemiologici dimostrano che esiste un’associazione tra rigidità arteriosa e microalbuminuria, indici di danno d’organo subclinico in soggetti non ipertesi e non diabetici. Questa evidenza suggerisce che un simile meccanismo fisiopatologico sia coinvolto nello sviluppo dei due biomarcatori. Sono le conclusioni di una ricerca condotta da Byung Jin Kim, della Scuola medica universitaria Sungkyunkwan di Seul (Corea del Sud), e collaboratori, su un campione di 3.826 soggetti non ipertesi non diabetici. I pazienti sono stati classificati in due gruppi, in base al rapporto albumina/creatinina nelle urine raccolte al mattino: normoalbuminuria (<30 ug/kg) e microalbuminuria (30-300 ug/mg). A tutti i partecipanti è stata inoltre misurata la velocità dell’onda di polso braccio-caviglia (baPwv). La prevalenza della preipertensione e della microalbuminuria è risultata pari a 52,5% e 4%, nell’ordine. Valori anormali sia di baPwv sia di microalbuminuria hanno determinato un profilo cardiometabolico sfavorevole. I valori assoluti di baPwv sono risultati correlati a quelli del rapporto albumina/creatinina nelle urine. All’analisi di regressione multivariata, il gruppo microalbuminuria ha mostrato, rispetto al gruppo normoalbuminurico, un’associazione indipendente di aumento di baPwv non influenzata da potenziali fattori confondenti.

J Hypertens. 2011 Nov;29(11):2091-8

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Disfunzione erettile aumenta rischio cardiocerebrovascolare

28 Ott 2011 Cardiologia

La disfunzione erettile aumenta in modo significativo il rischio di patologia cardiovascolare, malattia coronarica, ictus e morte per tutte le cause; tale incremento è probabilmente indipendente dai convenzionali fattori di rischio cardiovascolare. È quanto si ricava dai risultati di una meta-analisi condotta da Jia-Yi Dong e collaboratori dell’università di Suzhou (Cina) su 12 studi di coorte prospettici, comprendenti un totale di 36.744 partecipanti. La ricerca dei trial da inserire nell’analisi è stata effettuata su PubMed, consultando l’archivio fino al gennaio del 2011; successivamente due autori, in modo indipendente, hanno estratto le informazioni su disegno e caratteristiche degli studi, misurazioni degli esiti e controlli per potenziali fattori confondenti. Al termine dell’analisi, globalmente i rischi relativi combinati per gli uomini con disfunzione erettile rispetto al gruppo di riferimento sono risultati pari a 1,48 per la patologia cardiovascolare, 1,46 per la malattia coronarica, 1,35 per l’ictus, e 1,19 per la morte per tutte le cause. L’analisi di sensibilità ristretta agli studi con controllo per fattori convenzionali di rischio cardiovascolare ha portato a risultati simili. Non si sono osservate evidenze di bias di pubblicazione.

J Am Coll Cardiol, 2011; 58(13):1378-85

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Chads(2) predittivo di ictus anche senza fibrillazione atriale

Il punteggio Chads(2) – normalmente utilizzato per calcolare il rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale (Fa) – è predittivo di Tia e ictus anche nei soggetti senza Fa e con malattia coronarica (Chd) stabile. Lo dimostra uno studio condotto da Christine C. Welles dell’università di California (San Francisco), e collaboratori, i quali hanno calcolato i punteggi Chads(2) – in cui si assegna 1 punto per ciascuna delle seguenti condizioni: scompenso cardiaco congestizio, ipertensione, età =/> 75 anni, diabete; e 2 punti in caso di stroke o Tia pregresso in 916 pazienti extraospedalieri non in terapia anticoagulante con Chd stabile e assenza di Fa. L’outcome primario preso in considerazione è stato il tempo trascorso fino alla comparsa di un ictus o un Tia su un follow-up medio di 6,4 anni. Su un follow-up totale di 5.821 anni-persona, 40 individui hanno avuto un ictus ischemico o un Tia (tasso: 0,69/100 anni-persona). A confronto dei pazienti con bassi score Chads(2), ossia intorno a 0-1, quelli con punteggi intermedi (2-3) ed elevati (4-6) hanno mostrato un tasso aumentato di eventi ischemici neurologici, anche dopo aggiustamento per età, fumo, terapia antiaggregante, uso di statine e di inibitori del sistema renina-angiotensina (con un hazard ratio, rispettivamente, di 2,4 e di 4,0). La capacità discriminativa del modello è risultata simile a quella delle curve pubblicate relative a coorti di soli pazienti con Fa. Il tasso di eventi nei soggetti senza Fa con elevati score Chads(2) (5-6) è risultato paragonabile ai valori pubblicati per pazienti con Fa e score Chads(2) moderati (1-2), una popolazione nota per trarre benefici da trattamenti per la prevenzione dell’ictus. Questi dati – sostengono i ricercatori – dovrebbero far concentrare gli sforzi affinché sia chiarito se le terapie di prevenzione dell’ictus o lo screening per Fa silente possano essere di beneficio per soggetti con Chd stabile e alti punteggi Chads(2). Am Heart J, 2011; 162(3):555-61

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Rischio di trombosi e conta leucocitaria per predire l’infarto

Al momento del ricovero di un soggetto con infarto miocardico acuto, la semplice combinazione della conta leucocitaria e del Timi (thrombosis in myocardial infarction) risk score può fornire ulteriori informazioni utili a predire gli outcomes dei pazienti. Il dato deriva da una ricerca condotta in Iran da un team guidato da Atooshi Rohani dell’università di Scienze mediche di Yasuj su 70 soggetti con infarto acuto, ai quali, al momento del ricovero, si sono misurati la conta dei bianchi e il Timi risk score. È così emerso che, rispetto a quanti mostravano una bassa conta dei bianchi, i soggetti con un’elevata conta leucocitaria mostravano un rischio quintuplicato di scompenso cardiaco congestizio intraospedaliero e più che raddoppiato di morte. I pazienti con alto Timi risk score, a loro volta, avevano un rischio decuplicato di insorgenza di scompenso cardiaco congestizio e morte a confronto di chi aveva un punteggio basso. Quando si effettuava un’analisi della combinazione di differenti strati di ogni variabile, si è osservato un incremento di mortalità. Si sono osservati pochi pazienti con alta conta dei bianchi e basso Timi risk score o con bassa conta leucocitaria e alto Timi risk score. Questi soggetti mostravano un rischio intermedio, mentre quelli con elevato conteggio dei bianchi e di Timi risk score presentavano il rischio più elevato. J Emerg Trauma Shock, 2011; 4(3):351-4

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