Metanalisi olandese boccia marker di infarto miocardico

29 Apr 2011 Cardiologia

Contrariamente a quanto prospettato in varie ricerche, la misurazione dei livelli circolanti di proteina cardiaca legante gli acidi grassi (H-Fabp) – utilizzata come test autonomo – non soddisfa i requisiti richiesti per una sicura diagnosi precoce dell’infarto miocardico acuto. L’impiego combinato di H-Fabp con altri test diagnostici potrebbe comunque rivelarsi utile, ma su questo punto occorrono ulteriori studi. ? l’esito di una revisione sistematica con metanalisi effettuata da un team di ricercatori olandesi guidati da Madeleine H. Bruins Slot, del Centro medico universitario di Utrecht, i quali hanno preso in considerazione 16 studi, per un totale di 3.709 pazienti di et? mediana compresa tra 64-76 anni. Dall’analisi dei dati sono risultati complessivamente valori sia di sensibilit? sia di specificit? corrispondenti a 84%, e peraltro molto variabili nei diversi studi: la sensibilit?, infatti, spaziava entro un range compreso tra il 45% e il 100%, la specificit? tra il 50% e il 98%. Tale eterogeneit? pare legata, almeno in parte, al metodo di riferimento utilizzato in ogni studio per la detezione dell’infarto; la sensibilit? di H-Fabp, infatti, ? risultata significativamente inferiore in caso di confronto con la troponina rispetto a quello con la creatin chinasi o la banda miocardica della creatin chinasi. In ogni caso, secondo quanto emerso dall’analisi dei dati, il ricorso a H-Fabp provocherebbe il rilievo di un 16% di falsi positivi e di un 16% di falsi negativi; quest’ultima percentuale, in particolare, riferita a pazienti con lesione non identificata, ? considerata dagli autori della metanalisi inaccettabilmente alta per una condizione potenzialmente fatale come l’infarto miocardico acuto.?

Heart, 2010; 96(24):1957-63

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Ace-inibitori e sartani insieme non portano vantaggi renali

22 Apr 2011 Cardiologia

Gli Ace-inibitori (Ace-i) e i sartani (Arb) esercitano effetti benefici in modo indipendente a livello renale e sugli eventi cardiovascolari non fatali, mentre i loro effetti sulla mortalit? e le malattie cardiovascolari fatali sono incerti. In effetti mancano evidenze sul loro uso combinato, e servirebbe un trial su questi due farmaci da soli e associati in persone con albuminuria e un fattore di rischio cardiovascolare. ? l’esito di una revisione sistematica condotta da un gruppo internazionale sotto la supervisione di Ausilia Maione e Giovanni F.M. Strippoli del dipartimento di Farmacologia ed epidemiologia clinica del Consorzio Mario Negri Sud, a S. Maria Imbaro (Chieti). Alla base dello studio, la recente segnalazione di effetti dannosi sul rene determinati dall’uso combinato di Ace-i e Arb in soggetti diabetici o con malattie vascolari. Dopo la ricerca di studi basati sul confronto di Ace-i con Arb o loro combinazioni con placebo o fra loro in soggetti con albuminuria e uno o pi? fattori di rischio, sono stati inclusi nell’analisi 85 trial, per un totale di 21.708 pazienti. Non si ? rilevata alcuna significativa riduzione nel rischio di morte per tutte le cause o di esiti fatali cardiocerebrovascolari con Ace-i vs placebo, Arb vs placebo, Ace-i vs Arb o con terapie combinate basate su Ace-i + Arb vs monoterapia. Si ? invece avuta una significativa riduzione del rischio di eventi cardiovascolari non fatali con Ace-i vs placebo ma non con Arb vs placebo, Ace-i vs Arb o con terapia di associazione Ace-i + Arb vs monoterapia. Infine, lo sviluppo di una malattia renale allo stadio terminale e la progressione di una microalbuminuria verso una macroalbuminuria sono apparsi ridotti in modo significativo da Ace-i vs placebo e da Arb vs placebo ma non dalla combinazione Ace-i + Arb vs monoterapia.

Nephrol Dial Transplant, 2011 Mar 3.

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Fa: rischio ictus ridotto con apixaban

13 Apr 2011 Cardiologia

Nei pazienti con fibrillazione atriale non candidabili alla terapia con antagonisti della vitamina K come il warfarin, l’impiego di apixaban (inibitore del fattore Xa)? riduce il rischio di ictus o embolia sistemica in modo statisticamente superiore all’acido acetilsalicilico (Asa), senza aumentare il rischio di sanguinamento maggiore o emorragia intracranica. ? questo l’esito del trial Averroes (Apixaban versus acetylsalicylic acid to prevent strokes in Af patients who have failed or are unsuitable for vitamin K antagonist treatment), condotto da Stuart J. Connolly, del Population health research institute di Hamilton, Ontario (Canada), e collaboratori. I ricercatori hanno assegnato 5.599 pazienti affetti da fibrillazione atriale con almeno un fattore di rischio per ictus a ricevere in modo randomizzato 5 mg di apixaban bis/die oppure Asa, da 81 a 324 mg/die. Dopo un follow-up di 1,1 anni, si sono rilevati 44 casi di sanguinamento maggiore (1,4% per anno) nel gruppo apixaban e 39 (1,2% per anno) in quello Asa, equivalente a un rischio accresciuto in modo non significativo di 1,13 volte nei soggetti trattati con apixaban. Dato ancora pi? significativo ? il mancato aumento di rischio di ictus emorragico nel gruppo apixaban, in cui si sono avuti 11 casi contro i 13 del gruppo Asa. L’outcome primario (ictus o embolia sistemica) si ? registrato in 51 soggetti in terapia con apixaban (1,6% per anno) contro i 113 (3,7% per anno) dei trattati con Asa, equivalente a una riduzione significativa di rischio del 55% nel gruppo apixaban. Infine ? apparso ridotto, con apixaban rispetto ad Asa, anche il rischio di ospedalizzazione per cause cardiovascolari: 12,6% vs 15,9% per anno, rispettivamente.

N Engl J Med, 2011 Feb 10.

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Effetto antitumorale degli antagonisti della vitamina K

10 Apr 2011 Cardiologia

I pazienti anziani che fanno uso di antagonisti della vitamina K (Vka) hanno minori probabilit? di sviluppare un cancro – in particolare a carico della prostata – rispetto a chi non ha mai assunto questo tipo di anticoagulanti. ? l’esito di uno studio osservazionale di popolazione condotto da Vittorio Pengo e colleghi dell’universit? di Padova, volto a indagare l’impatto a lungo termine dei Vka? (warfarin o acenocumarolo) su incidenza del cancro e mortalit? oncologica. Nella ricerca sono stati inclusi tutti i residenti del Veneto senza neoplasie n? patologia tromboembolica di et? compresa tra i 65 e i 90 anni tra il 1996 e il 2002. In tutto, hanno partecipato allo studio 76.008 soggetti di entrambi i sessi; di questi, 3.321 sono stati trattati con Vka, i rimanenti 72.777 sono stati considerati come gruppo di controllo. A un follow-up medio di 8,2 anni, si sono manifestate 421 forme maligne tra i pazienti esposti a Vka (130 casi per 1.000) e 9.741 tra i controlli (134 casi per 1.000). Dopo aggiustamento per et?, sesso e tempo trascorso fino all’evento, i pazienti del gruppo Vka hanno evidenziato un rischio significativamente ridotto del 12% per tutti i tipi di cancro rispetto ai controlli, con un rischio diminuito del 31%, in modo specifico, per il cancro della prostata. Al contrario la mortalit? globale ? risultata maggiore del 12% tra gli utilizzatori di Vka, forse per un accresciuto livello di comorbilit?, come la fibrillazione atriale. L’ipotesi degli autori ? che le terapie anticoagulanti potrebbero servire non solo a ridurre il rischio di tromboembolismo venoso ma anche a influenzare direttamente la biologia della cellula cancerosa e lo sviluppo tumorale. In ogni caso – sottolineano i ricercatori – per confermare queste evidenze occorrono altri studi prospettici su larga scala e con follow-up pi? lunghi.

Blood, 2011; 117(5):1707-9

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Clopidogrel pi? Asa: il rischio emorragico ? significativo

I pazienti sottoposti a doppia terapia antipiastrinica (Dat), basata sulla cosomministrazione di clopidogrel e acido acetilsalicilico (Asa), corrono un rischio clinicamente significativo di emorragia acuta. Lo evidenzia una ricerca condotta ai Cdc (Centers for disease control and prevention) di Atlanta (Usa) da un team guidato da Nadine Shehab, della divisione di Promozione della qualit? assistenziale. Il tasso stimato di visite in dipartimenti d’emergenza (Ed) riguardanti emorragie acute da Dat ? di 1,2 per 1.000, a cui fa fronte un valore di 2,5 per 1.000 in caso di pazienti in trattamento con warfarin. Per effettuare una stima realistica della frequenza e della natura degli eventi avversi (Ae) provocati dalla Dat, gli autori non si sono basati su quanto riportato in letteratura, ma hanno analizzato dati di farmacovigilanza rappresentativi degli Stati Uniti, mettendoli a confronto con quelli correlati al warfarin. In un campione di 58 ospedali americani sono stati identificati 384 Ae correlati a emorragia da Dat, corrispondenti a un valore stimato di 7.654 visite effettuate ogni anno negli Usa per tali problematiche; queste cifre vanno confrontate ai 2.926 casi e alle 60.575 visite connesse all’uso di warfarin. Nel 59,4% delle visite per emorragie da Dat e nel 54,3% di quelle per warfarin, i disturbi sono consistiti in epistassi o piccole emorragie cutanee, orali, da piccole ferite o ecchimosi; si tratta di lesioni che, pur non essendo gravi, sono comunque preoccupanti, essendo responsabili di precoce sospensione del trattamento con clopidogrel, a sua volta potenziale causa di trombosi dello stent e scarso outcome clinico dopo stenting coronarico. Inoltre, nel 29,4% delle visite Ed per emorragia acuta da Dat il quadro ? stato sufficientemente grave da far richiedere il ricovero, come nel 40,1% dei casi con implicazione di warfarin. ?Questi dati? concludono gli autori? ?sottolineano l’importanza che medici e pazienti siano consapevoli del rischio emorragico da antipiastrinici e lo prevengano?.?

Arch Intern Med, 2010; 170(21):1926-3

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Dispositivi cardiovascolari, dati esclusi da rapporti?all’Fda

I pazienti “di pratica” (training patients) – ossia i primi individui in cui i clinici sperimentano un dispositivo medico cardiovascolare – comprendono una quota considerevole del numero totale di pazienti che ricevono un device in fase preregistrativa: eppure i dati da loro ottenuti non vengono inclusi nelle documentazioni sottoposte alla Fda per l’approvazione dei prodotti. Se si escludono tali dati dalle analisi, gli outcome di sicurezza ed efficacia possono per? apparire migliori dei risultati effettivi. La stesura di linee guida su questa problematica potrebbe pertanto migliorare l’accuratezza dei rapporti sugli esiti conseguiti. Lo sostengono Connie E. Chen e colleghi della university of California, a San Francisco, dopo avere passato al vaglio il “Summary of Safety and Effectivenes Data”, che descrive le applicazioni premarket dei device cardiovascolari approvati dall’Fda dal 2000 al 2007. Negli otto anni presi in considerazione si sono avute 78 descrizioni di dispositivi, in 17 delle quali (22%) erano coinvolti training patients. Su 123 studi contenuti nei profili di sicurezza ed efficacia, in 20 (16%) si ? ricorso ai pazienti “di pratica”. Nella totalit? dei casi (20 studi su 20) i training patients sono stati esclusi dall’analisi di efficacia e, in 19 casi (95%), lo sono stati anche dalle analisi di sicurezza. In 16 studi (80%) non ? stato fornito alcun dato relativo agli outcome, e in 15 (75%) non si sono verificate le differenze di esito tra trattamenti effettuati su pazienti “di pratica” e pazienti non “di pratica”. Infine, in 18 studi (90%) non sono state fornite informazioni demografiche sui training patients e in 14 (70%) non sono state prespecificate le linee guida per il loro arruolamento.

Arch Intern Med, 2010 Nov 22.

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Cardiomiopatie dilatative, meno ricoveri con omega-3

27 Mar 2011 Cardiologia

Nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (Nicm) e sintomatologia contenuta in risposta a terapia medica basata sulle prove, il trattamento con acidi grassi polinsaturi n-3 (omega-3) aumenta la funzione sistolica e la capacit? funzionale del ventricolo sinistro, e pu? ridurre le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. ? quanto emerge dai risultati di uno studio condotto da Savina Nodari, del dipartimento di Medicina sperimentale e applicata dell’universit? di Brescia, e colleghi, su 133 pazienti con Nicm, randomizzati a ricevere 2 grammi di omega-3 oppure placebo. Nei partecipanti ? stata effettuata una misurazione prospettica della funzione ventricolare sinistra e della capacit? funzionale, mediante ecocardiografia e test da sforzo cardiopolmonare, al basale e 12 mesi dopo la randomizzazione. Al follow-up di 12 mesi, il gruppo omega-3 e quello placebo risultavano significativamente differenti in relazione a vari parametri: la frazione d’eiezione ventricolare sinistra, aumentata del 10,4% nel primo e diminuita del 5,0% nel secondo; il consumo di ossigeno al picco, rispettivamente cresciuto del 6,2% e ridotto del 4,5%; la durata dell’esercizio, aumentata del 7,5% e diminuita del 4,8%, nell’ordine; la classe funzionale media Nyha, infine, scesa da 1,88 a 1,61 nei soggetti randomizzati agli acidi grassi poliinsaturi e salita da 1,83 a 2,14 nei controlli. I tassi di ospedalizzazione per scompenso cardiaco, infine, si sono attestati sul 6% nel gruppo omega-3 e sul 30% in quello placebo.

J Am Coll Cardiol, 2010 Dec 29. [Epub ahead of print]

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Il sartano fa la differenza nello scompenso cardiaco

26 Mar 2011 Cardiologia

La scelta del sartano pu? influire sulla sopravvivenza del paziente con scompenso cardiaco. Lo dimostra uno studio – effettuato da Maria Eklind-Cervenka, del Karolinska institutet di Stoccolma, e collaboratori – in cui soggetti trattati con candesartan mostrano una mortalit? per tutte le cause inferiore a quella di pazienti in terapia con losartan. ? la prima volta che due diversi bloccanti del recettore dell’angiotensina II vengono posti a confronto uno contro l’altro. L’analisi ? stata effettuata basandosi sui dati del registro svedese dello scompenso cardiaco, relativo a 30.254 pazienti (et? media: 74 anni) afferiti a 62 ospedali e 60 ambulatori tra il 2000 e il 2009. Di questi soggetti, 2.639 erano stati trattati con candesartan e 2.500 con losartan. La sopravvivenza a un anno ? risultata del 90% nei primi e dell’83% nei secondi, mentre la sopravvivenza a 5 anni si ? attestata, rispettivamente, sul 61% e 44%. All’analisi multivariata comprensiva dei punteggi di propensione, l’uso di losartan ? apparso associato a un rischio di mortalit? superiore del 43% rispetto a candesartan. Questi risultati non sono cambiati anche dopo stratificazione per et?, anno di inclusione nello studio, durata e gravit? dello scompenso cardiaco. La differenza degli esiti ottenuti, secondo gli autori della ricerca, ? legata alla differente affinit? per il recettore dell’angiotensina mostrata dai due farmaci in vitro: molto alta quella di candesartan (stretto legame, emivita di dissociazione pari a 120 minuti), labile per losartan (legame debole, emivita di pochi secondi).

JAMA, 2011; 305(2):175-82

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Peptidi natriuretici, indicatori aggiuntivi di rischio

22 Mar 2011 Cardiologia

I convenzionali fattori di rischio cardiovascolare hanno una ragionevole accuratezza predittiva di scompenso cardiaco e fibrillazione atriale negli individui di mezza et? senza malattia. Tra i pi? recenti biomarcatori, invece, soltanto i peptidi natriuretici migliorano leggermente la discriminazione in entrambe le patologie rispetto agli elementi tradizionali; d’altra parte, migliorano sostanzialmente la riclassificazione del rischio nello scompenso. ? quanto ha stabilito un’?quipe internazionale di ricercatori coordinata da Jan Gustav Smith, del dipartimento di Scienze cliniche dell’universit? di Lund (Svezia), dopo aver valutato, in 5.187 individui coinvolti in uno studio di comunit? (Malm? Diet and Cancer Study), le performance dei fattori convenzionali di rischio e di altri sei biomarcatori: il frammento medioregionale del peptide natriuretico proatriale (Mr-proAnp), il frammento N-terminale del peptide natriuretico di tipo pro-B (Nt-proBnp), il frammento medioregionale della proadrenomedullina, la cistatina C, la proteina C-reattiva (Crp) e la copeptina. Durante un follow-up medio di 14 anni, ? stata posta diagnosi di scompenso cardiaco in 112 soggetti, e di fibrillazione atriale in 284 partecipanti. L’Nt-proBnp (rapporto di rischio, Hr: 1,63), la Crp (Hr: 1,57) e il Mr-proAnp (Hr: 1,26) sono stati predittivi di scompenso cardiaco incidente indipendentemente dai fattori tradizionali di rischio e dagli altri biomarcatori. Il Mr-proAnp (Hr: 1,62) e la Crp (Hr: 1,18) sono stati inoltre fattori predittivi indipendenti di fibrillazione atriale. Nel complesso, sommando la rilevazione dei biomarcatori a quella dei fattori tradizionali, si ? osservato un miglioramento netto di riclassificazione (Nri) nel 22% dei soggetti con scompenso e nel 7% di quelli con fibrillazione. L’aggiunta della Crp ai peptidi natriuretici non ha mostrato di migliorare la discriminazione o la riclassificazione.

J Am Coll Cardiol, 2010; 56(21):1712-9

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Monoterapia antiaggregante associata a meno emorragie

Nei pazienti con fibrillazione atriale (Fa), che spesso necessitano di una terapia anticoagulante e antipiastrinica, il ricorso a una monoterapia ? preferibile, in termini di sicurezza, rispetto a trattamenti basati su due o tre farmaci. Uno studio di coorte, effettuato nel dipartimento di Cardiologia dell’Ospedale dell’universit? di Copenhagen a Gentofte (Danimarca) da Morten L. Hansen e collaboratori, ha infatti dimostrato che tutte le terapie di combinazione basate su warfarin, acido acetilsalicilico (Asa) e clopidogrel sono associate a un aumentato rischio di sanguinamento, non fatale e fatale. In particolare la terapia doppia con warfarin e clopidogrel e quella tripla, ossia basata sull’impiego di tutti e tre i farmaci, determinano un rischio emorragico tre volte maggiore rispetto alla somministrazione del warfarin da solo. I ricercatori hanno utilizzato i registri nazionali per identificare tutti i pazienti danesi sopravvissuti alla prima ospedalizzazione per Fa tra il 1? gennaio 1997 e il 31 dicembre 2006 e accertare la loro terapia post-ospedaliera con warfarin, Asa, clopidogrel o associazioni di questi farmaci; erano stati quindi impiegati modelli di rischio proporzionale di Cox per il calcolo del rischio emorragico non fatale e fatale. Su 118.606 pazienti sopravvissuti all’ospedalizzazione per Fa, 82.854 (69,9%) avevano ricevuto almeno una prescrizione di warfarin, Asa o clopidogrel dopo le dimissioni. Nel corso di un follow-up medio di 3,3 anni, 13.573 soggetti (11,4%) hanno manifestato un sanguinamento non fatale o fatale. Il tasso crudo di incidenza di emorragia era maggiore per la terapia doppia con clopidogrel e warfarin (13,9% per paziente/anno) e quella tripla (15,7% per paziente/anno). Usando la monoterapia con warfarin come riferimento, le hazard ratio (Hr) per l’endpoint combinato sono risultate pari a 0,93 per l’Asa, 1,06 per clopidogrel, 1,66 per Asa/clopidogrel, 1,83 per warfarin/Asa, 3,08 per warfarin/clopidogrel e 3,70 per warfarin/Asa/clopidogrel.

Arch Intern Med, 2010; 170(16):1433-41

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