Incremento di lipidi durante transizione menopausale

11 Dic 2009 Cardiologia

In coincidenza del termine dei cicli mestruali, le donne andrebbero incontro a un sostanziale aumento dei livelli plasmatici di alcuni lipidi. Lo sottolineano gli autori di Swan (Study of Women’s Health Across the Nation), un’indagine prospettica apparsa su American College of Cardiology, riguardante oltre 3,300 donne di differente etnicit?, che ha consentito di evidenziare, per la prima volta, l’associazione tra incremento di fattori di rischio cardiovascolare e transizione menopausale. In particolare, ricercatori del Department of Epidemiology, University of Pittsburgh in Pennsylvania, hanno utilizzato due differenti approcci: un modello lineare basato sull’invecchiamento anagrafico oppure una combinazione di modelli lineari basata sul deterioramento dell’ovaio. In sintesi, i livelli di colesterolo totale, Ldl e apolipoproteina B sono aumentati, in maniera sostanziale e senza differenze tra i gruppi etnici, nell’intervallo di un anno comprendente il periodo precedente e successivo alla fine dei cicli mestruali, consistentemente con i cambiamenti indotti dalla menopausa. Altri fattori di rischio sono invece apparsi correlati all’invecchiamento anagrafico. (L.A.)

J Am Coll Cardiol, 2009; 54:2366-2373

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Infarto complicato: anemia peggiora esiti

28 Set 2009 Cardiologia

L’anemia nei pazienti con un recente infarto miocardico acuto complicato da insufficienza cardiaca ? associata ad un aumento del rischio di ricovero e mortalit?. Questo evento dunque ? foriero di una prognosi infausta, ed in sua presenza il paziente deve essere monitorato e trattato con cura. Dato questo ruolo predittivo negativo dell’anemia in questi pazienti, si potrebbe presumere che la sua correzione tramite proteine stimolatrici dell’eritropoiesi possa risultare utile, e l’eritropoietina sta gi? dimostrando risultati promettenti in questa applicazione, con effetti peraltro anche indipendenti dall’anemia stessa: essa infatti induce rivascolarizzazione cardiaca e diminuisce l’apoptosi miocardica in dosi che non influenzano l’ematocrito. (Eur Heart J 2009; 30: 1331-9)

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Defibrillatori impiantabili davvero utili nell’anziano?

10 Ago 2009 Cardiologia

Nonostante la loro comprovata utilit? in quasi ogni soggetto con insufficienza cardiaca e scarsa funzionalit? sistolica ventricolare, i defibrillatori impiantabili (ICD) non sono in grado di prolungare di molto la sopravvivenza in molti pazienti che ci? nonostante rispondono a tutti gli attuali criteri di indicazione. E’ necessario un approccio cauto e selettivo all’uso degli apparecchi per la prevenzione primaria nei pazienti anziani con comorbidit? multiple: tali pazienti, soprattutto in caso di ricoveri multipli per insufficienza cardiaca, hanno meno probabilit? di morire di una morte improvvisa prevenibile tramite ICD che da altre cause, e quindi non trarrebbero molto beneficio dal riceverne uno. Di contro, i pazienti al di sotto dei 65 anni e quelli pi? anziani senza nefropatie, demenza o tumori ne trarrebbero maggiore beneficio. Gli studi clinici su cui si basano le attuali linee guida per l’uso degli ICD sono stati condotti in larga parte su pazienti intorno ai 60 anni con poche comorbidit?, mentre invece nella pratica clinica ? molto pi? probabile avere a che fare con pazienti intorno ai 70 anni con patologie croniche spesso non cardiache. Da un punto di vista sociale, sarebbe un vantaggio ridurre l’uso di terapie costose nei pazienti che probabilmente non ne hanno bisogno: non ? ancora possibile sconsigliare l’uso degli ICD in alcune categorie di pazienti, ma i medici potrebbero fare uso di queste informazioni per comunicare con il paziente ed aiutarlo a prendere decisioni informate. I pazienti al di sopra dei 90 comunque hanno una prognosi infausta a prescindere dalla presenza di comorbidit?. (CMAJ 2009; 180: 599-600 e 611-6)

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La pressione in corso di terapia antidepressiva

21 Lug 2009 Cardiologia

Contrariamente alla corrente di pensiero prevalente, non ? la depressione ad aumentare la pressione, ma piuttosto i farmaci utilizzati per trattarla: ci? suggerisce che i pazienti che assumono antidepressivi dovrebbero essere monitorati pi? strettamente. La depressione di per s? ? associata invece all’ipotensione, ma il rischio ipertensivo ? legato a diversi farmaci di uso comune, ed in particolare agli antidepressivi triciclici. La sorveglianza medica dovrebbe riguardare soprattutto i soggetti gi? ipertesi, quelli con malattie cardiovascolari o i portatori di altri fattori di rischio per l’ipertensione: in questi casi, l’alternativa allo stretto monitoraggio sarebbe la variazione della terapia con l’introduzione di altri medicinali. (Hypertension online 2009, pubblicato il 23/2)

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Insufficienza cardiaca: possibile nuova patogenesi

20 Lug 2009 Cardiologia

E’ stata suggerita una nuova possibile via nello sviluppo dell’insufficienza cardiaca, osservando che nei soggetti che la sviluppano sono presenti elevati livelli della proteina nota come resistina. Tale proteina, prodotta dal tessuto adiposo, risulta fortemente associata alla comparsa di nuovi casi di insufficienza cardiaca, tramite un meccanismo ancora tutto da esplorare. Essa dunque pu? essere considerata un nuovo marcatore di rischio di insufficienza cardiaca, anche se non ? stato ancora possibile stabilire se il suo ruolo sia causale o meno. Obesit? ed insulinoresistenza sono connesse a maggiori tassi di insufficienza cardiaca, tramite meccanismi non ancora ben compresi. Nei soggetti obesi, inoltre, il tessuto adiposo ? infiltrato di macrofagi infiammatori in misura molto maggiore rispetto a quelli di peso normale, e questi macrofagi secernono resistina. Il ruolo predittivo di questa proteina rimane indipendente anche tenendo conto dei livelli di CRP, il che ? rilevante in quanto si tratta di due marcatori di infiammazione: ci? suggerisce che la resistina possa avere sul cuore effetti indipendenti dall’infiammazione. Probabilmente ? presto per pensare a farmaci anti-resistina, ma se il suo ruolo verr? confermato, la ricerca in questo senso potrebbe portare anche allo sviluppo di nuove strategie preventive per l’insufficienza cardiaca. Vi ? ancora molto da imparare sulla complessa interrelazione fra disglicemia, obesit? ed insulinoresistenza, ma il loro impatto sul sistema cardiovascolare sta divenendo sempre pi? chiaro, e l’infiammazione sta emergendo come possibile meccanismo unificante. Le ricerche interdisciplinari in corso auspicabilmente porteranno ad una migliore comprensione di questi fattori di rischio emergenti e dei potenziali target terapeutici che consentiranno di osservare il quadro completo in luogo di frammenti separati. (J Am Coll Cardiol 2009; 53: 754-62 e 763-4 )

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Acidi grassi liberi aumentano pressione

L’infusione endovenosa di un’emulsione di acidi grassi provoca un significativo aumento di pressione ed altri effetti collaterali negli afroamericani obesi con diabete di tipo 2. L’incremento degli acidi grassi liberi ? stato indicato come importante meccanismo nella patogenesi di ipertensione, insulinoresistenza ed intolleranza ai carboidrati: quanto rilevato conferma questa ipotesi, e dimostra che il livello di acidi grassi liberi ? associato a pressione, risposta infiammatoria e disfunzioni endoteliali. E’ attualmente in studio l’effetto dell’infusione di emulsioni di acidi grassi poliinsaturi e monoinsaturi in soggetti sani ed in pazienti sotto nutrizione parenterale. (J Clin Endocrinol Metab 2009; 94: 609-14)

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Infarto: beta-bloccanti ostacolano statine

22 Giu 2009 Cardiologia

I livelli di CRP risultano molto pi? ampiamente ridotti con la sola somministrazione di statine che con l’aggiunta di beta-bloccanti dopo un infarto acuto., il che indica che questi ultimi farmaci attenuino l’effetto antiinfiammatorio delle statine. E’ stato confermato che vari tipi di statine sono in grado di attenuate l’intenso incremento dell’attivit? infiammatoria a livello sistemico che si osserva durante la fase acuta dell’infarto miocardico, ma non era finora noto che questo effetto terapeutico delle statine potesse essere ostacolato dalla concomitante somministrazione di altri farmaci, come i beta-bloccanti. La significativit? del dato rilevato permane anche tenendo conto di elementi come et? o sesso del paziente e livelli base di CRP. (Am J Cardiol 2009; 103: 461-3)

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Chiusura forame ovale ed emicrania

29 Mar 2009 Cardiologia

A seguito della chiusura transcateterale di un forame ovale beante (PFO), si pu? avere la scomparsa dell’emicrania nonostante la presenza di uno shunt destro-sinistro residuale. I pazienti con emicrania con aura inoltre hanno maggiori probabilit? di andare incontro ad una riduzione degli episodi a seguito della procedura rispetto agli altri. Il meccanismo alla base dell’associazione fra emicrania e PFO implica verosimilmente l’ipersensibilit? corticale associata alle emicranie: un ampio shunt destro-sinistro consente il transito di un maggior volume di elementi chimici vasoattivi e mocroaggregati, come le piastrine attivate, attraverso il forame beante e quindi la comparsa dell’emicrania. Probabilmente non vi sono ancora prove sufficienti a supportare la chiusura del PFO in tutti i pazienti con emicrania, ma vi pu? essere una sottopopolazione di pazienti con emicrania in cui sussiste un qualche meccanismo causale fra PFO ed emicrania, e che quindi potrebbe trarre beneficio dalla procedura, ma il meccanismo di base non ? stato ancora determinato. I soggetti con emicrania, d’altro canto, presentano un aumento dell’incidenza delle tromboembolie venose, il che suggerisce un’iperattivazione piastrinica: va accertato l’effetto dell’aspirina in questi pazienti, ed il possibile ruolo di questo farmaco nella prevenzione dell’emicrania. (Am J Cardiol 2008; 102: 916-20)

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Chiusura forame ovale ed emicrania

17 Feb 2009 Cardiologia

A seguito della chiusura transcateterale di un forame ovale beante (PFO), si pu? avere la scomparsa dell’emicrania nonostante la presenza di uno shunt destro-sinistro residuale. I pazienti con emicrania con aura inoltre hanno maggiori probabilit? di andare incontro ad una riduzione degli episodi a seguito della procedura rispetto agli altri. Il meccanismo alla base dell’associazione fra emicrania e PFO implica verosimilmente l’ipersensibilit? corticale associata alle emicranie: un ampio shunt destro-sinistro consente il transito di un maggior volume di elementi chimici vasoattivi e mocroaggregati, come le piastrine attivate, attraverso il forame beante e quindi la comparsa dell’emicrania. Probabilmente non vi sono ancora prove sufficienti a supportare la chiusura del PFO in tutti i pazienti con emicrania, ma vi pu? essere una sottopopolazione di pazienti con emicrania in cui sussiste un qualche meccanismo causale fra PFO ed emicrania, e che quindi potrebbe trarre beneficio dalla procedura, ma il meccanismo di base non ? stato ancora determinato. I soggetti con emicrania, d’altro canto, presentano un aumento dell’incidenza delle tromboembolie venose, il che suggerisce un’iperattivazione piastrinica: va accertato l’effetto dell’aspirina in questi pazienti, ed il possibile ruolo di questo farmaco nella prevenzione dell’emicrania. (Am J Cardiol 2008; 102: 916-20)

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Il rischioso rebound delle statine

31 Gen 2009 Cardiologia

I pazienti che sospendono la terapia statinica dopo un infarto miocardico acuto risultano esposti ad un rischio di mortalit? raddoppiato durante l’anno successivo rispetto a quelli che non hanno mai fatto uso di statine. Al contrario, nessuna delle altre strategie di prescrizione riguardanti altri farmaci cardiovascolari ha alcun effetto deleterio statisticamente significativo sulla sopravvivenza. La spiegazione pi? probabile per il fenomeno consiste in un effetto rebound biologico dopo la sospensione delle statine, bench? non sia possibile escludere che esso sia in realt? un dato non veritiero che rispecchia semplicemente la sospensione della terapia in pazienti molto gravi. I pazienti infartuati comunque sono fortemente a rischio di altri eventi, ed in assenza di chiare controindicazioni devono essere trattati aggressivamente, sottolineando anche l’importanza di aderire alle prescrizioni. Questi dati confermano quelli di studi precedenti, e quindi la prosecuzione della terapia statinica a seguito dell’insorgenza di sindromi coronariche acuta ? cruciale e probabilmente importante in sommo grado per i pazienti ad elevato rischio cardiovascolare. (Eur Heart J 2008; 29: 2061-3 e 2083-91)

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