Ipotiroidismo, trattamento prenatale non migliora il QI dei figli

Si era in precedenza riportato che i bambini nati da madri ipotiroidee mostrano ridotte funzioni cognitive. Tuttavia, uno screening prenatale a cui è seguito un trattamento materno dell’ipotiroidismo non ha prodotto miglioramenti nelle funzioni cognitive dei bambini all’età di tre anni. Lo studio randomizzato ha visto la partecipazione di ricercatori inglesi, gallesi e italiani, dell’ospedale infantile Regina Margherita-Sant’Anna di Torino, che hanno analizzato campioni di sangue di 21.846 donne nelle prime sedici settimane di gravidanza. Suddivise in due gruppi, ad alcune sono stati misurati immediatamente i livelli di tireotropina e tiroxina libera (Ft4) mentre nelle altre il siero è stato conservato e le analisi effettuate subito dopo il parto. Le partecipanti con valori di tireotropina superiori al 97,5° percentile oppure di Ft4 al di sotto del 2,5° percentile sono state considerate positive allo screening: in totale 404 nel gruppo di controllo e 390 nel gruppo di intervento, a cui sono stati somministrati 150 ug di levotiroxina al giorno. Quando i bambini hanno raggiunto l’età di tre anni, sono stati sottoposti a una valutazione delle funzionalità cognitive. Nei figli delle donne ipotiroidee trattate con il farmaco, il quoziente intellettivo medio è stato di 99,2 contro il 100,0 nei bimbi delle donne positive ma non trattate. Le percentuali di bambini con QI inferiore a 85 è stato rispettivamente del 12,1% e del 14,1%, mostrando così l’inefficacia della terapia.

N Engl J Med, 2012; 366(6):493-501

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Controllo glicemico con metformina nei giovani con diabete 2

La monoterapia con metformina si associa a un controllo glicemico duraturo in circa la metà dei bambini e adolescenti con diabete di tipo 2. L’aggiunta di rosiglitazone, ma non un intervento intensivo sullo stile di vita, si rivela superiore alla sola metformina. Lo studio “Today” ha preso in considerazione pazienti di età compresa tra 10 e 17 anni trattati con metformina (1.000 mg due volte al giorno) per ottenere un livello di emoglobina glicata inferiore all’8%: questo gruppo è stato randomizzato a ricevere solo metformina o metformina combinata con rosiglitazone (4 mg due volte al giorno) oppure a seguire un programma di interventi sullo stile di vita focalizzati sulla perdita di peso. Dei 699 pazienti randomizzati, 319 (45,6%) hanno soddisfatto i requisiti dell’outcome primario (perdita del controllo glicemico: livello di emoglobina glicata di almeno l’8% per 6 mesi o scompenso metabolico che richiedeva insulina) in un follow-up medio di 3,86 anni. I tassi di fallimento si sono attestati su 51,7%, 38,6% e 46,6% rispettivamente per solo metformina, metformina più rosiglitazone e metformina con intervento sullo stile di vita. Metformina più rosiglitazone è risultato superiore alla sola metformina. Metformina insieme all’intervento sullo stile di vita si è collocato in una posizione intermedia, non diverso in modo significativo rispetto alla sola metformina o metformina più rosiglitazone. L’analisi prespecificata in base al sesso e al gruppo etnico ha evidenziato differenze in termini di efficacia sostenuta: la metformina da sola è risultata meno efficace nelle persone di colore non ispaniche e metformina associata a rosiglitazone più efficace nelle ragazze. Eventi avversi gravi sono stati riportati nel 19,2% dei pazienti.

N Engl J Med, 2012 Apr 29. [Epub ahead of print]

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Gli esperti: ipotiroidismo, malattia misconosciuta

«Se c’è un organo che manca, ma che può essere sostituito bene questo è la tiroide» forse per questo secondo Aldo Pinchera, professore emerito di endocrinologia all’Università di Pisa, la percezione delle malattie della tiroide da parte della popolazione generale è piuttosto bassa, per quanto siano circa 2 milioni e mezzo gli italiani che ne soffrono. È questo il principale risultato di un’indagine Doxa, presentata la scorsa settimana a Milano, secondo la quale le malattie della tiroide sono note soltanto a un italiano su cinque, e se la maggior parte conosce o fa riferimento ai sintomi dell’ipertiroidismo, davvero pochi, il 7%, conoscono o considerano tra queste l’ipotiroidismo. «L’ipotiroidismo» secondo Alfredo Pontecorvi, professore ordinario di endocrinologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma «è una malattia prevalentemente al femminile, colpisce il 7-8% delle donne in pre-menopausa e arriva al 10-15% nel periodo post-menopausale, andando ad aggravare e a confondersi con alcuni disturbi tipici di questo periodo quali, irritabilità, aumento del peso, perdita della memoria, difficoltà di concentrazione, insonnia, dolori muscolari». Patologia per altro, con una terapia consolidata che si basa sull’assunzione di levotiroxina, disponibile in compresse o soluzione orale (da poco anche in flaconcini monodose) per facilitarne l’assunzione in caso di malassorbimento. Sarà, infatti, tutta al femminile la Settimana mondiale della tiroide, che si svolgerà dal 18 al 25 maggio con il titolo “La tiroide è donna – La tiroide e la gravidanza” con iniziative dedicate alle donne per informarle sull’importanza di eseguire le prove di funzionalità tiroidea con una semplice analisi del sangue nei soggetti a rischio, quando c’è familiarità, e in età neonatale o in gravidanza. «Trattare bene l’ipotiroidismo e in genere tutte le malattie della tiroide è cruciale in gravidanza» è la conclusione di Pinchera «Va anche sottolineata l’estrema importanza della prevenzione e, in particolare, la corretta nutrizione in termini di iodio, soprattutto, e non solo, nella donna gravida».

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Diabete 2 nei grandi obesi: gastrectomia superiore ai farmaci

La gastrectomia laparoscopica a manicotto o verticale (sleeve gastrectomy) è più efficace di una terapia medica intensiva nel trattamento del diabete di tipo 2 inpazienti fortemente obesi.
È quanto dimostrano i risultati di uno studio prospettico svolto da un’èquipe del Policlinico Umberto I – Università La Sapienza di Roma guidata da Frida Leonetti su 60 pazienti fortemente obesi con diabete di tipo 2, dei quali 30 sottoposti a resezione a manicotto dello stomaco, e gli altri 30 avviati a terapia convenzionale. Tutti i pazienti sono stati poi seguiti e valutati per la loro condizione diabetica ogni 3 mesi per 18 mesi.
Nel gruppo dei pazienti sottoposti a gastrectomia verticale, l’indice di massa corporea (Bmi) medio preoperatorio era pari a 41,3; a 18 mesi il Bmi era sceso a 28,3. Riduzioni si sono registrate anche per i livelli di glicemia a digiuno ed emoglobina glicata, la prima passata da 166,6 a 96,2 mg/dL e la seconda da 7,9% a 6%. Nell’80% dei casi il diabete si è risolto. Sono state indagate altre comorbilità: la sindrome delle apnee ostruttive notturne è precipitata dal 50% al 10%, e i pazienti hanno ridotto in modo significativo anche l’impiego di farmaci antipertensivi a antidislipidemici. Tra i soggetti avviati a terapia medica, i valori preoperatori di Bmi, glicemia a digiuno ed emoglobina glicata erano attestati rispettivamente a 39, 183,7 mg/dL e 8,1%; a 18 mesi, i corrispondenti valori sono stati 39,8, 150 mg/dL e 7,1%. Tutti i pazienti sono rimasti diabetici e hanno mantenuto o aumentato il livello di terapia ipoglicemizzante. Inoltre, si è osservato un incremento di impiego di farmaci antipertensivi e antidislipidemici, e la prevalenza della sindrome delle apnee ostruttive notturne non è cambiata.

Arch Surg, 2012 Apr 16. [Epub ahead of print]

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Il diabete mellito influisce sull’outcome oncologico

Il diabete, per quanto trattato, influisce sugli outcome dei pazienti affetti da cancro. Tale influsso, però, appare più evidente “a valle”, cioè sul rischio di morte nelle persone già affette da una neoplasia, piuttosto che “a monte”, sul rischio di comparsa di un tumore. È quanto si evince dai risultati di uno studio prospettico di coorte condotto su 599 pazienti diabetici e 17.681 soggetti non diabetici da Hsin-Chieh Yeh, della Johns Hopkins university di Baltimora (Usa), e collaboratori. Tra il 1989 e il 2006, hanno sviluppato un cancro 116 pazienti diabetici e 2.365 soggetti non diabetici, corrispondenti rispettivamente a un’incidenza (aggiustata per l’età) di 13,25 e 10,58 per 1.000 anni-persona. Dopo aver apportato correzioni per età, genere, grado di istruzione, indice di massa corporea (Bmi) e terapie in corso di tipo antipertensivo o ipocolesterolemizzante, utilizzando il modello di regressione proporzionale di Cox il diabete è risultato associato a un aumento di 1,22 volte del rischio di cancro incidente e di 1,36 volte di mortalità per cancro. Negli individui che avevano sviluppato una patologia oncologica, gli adulti affetti da diabete mostravano un rischio aumentato di 1,34 volte di morte per cancro e di 1,61 di mortalità generale. Per il cancro colorettale, mammario e prostatico, le componenti di rischio attribuibili al diabete riguardavano soprattutto la mortalità per cancro e quella generale piuttosto che l’incidenza di cancro.

Diabetes Care, 2011 Nov 18.

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Diabete, controllo pressione non condiziona qualità di vita

Nei pazienti con diabete di tipo 2 un controllo intensivo della pressione arteriosa (<120 mmHg) – rispetto a un approccio standard (130-139 mmHg) – non produce un impatto clinicamente significativo, né in senso positivo né in senso negativo, sulla depressione o sulla qualità della vita relativa alla salute (Hrql) riferita dai soggetti. Sembra dunque smentita l’ipotesi che il perseguimento di un target più ambizioso di valori pressori nei soggetti diabetici di tipo 2 implichi una condizione di maggiore benessere. Quanto meno a giudicare dai risultati di una sperimentazione statunitense effettuata su 1.028 soggetti partecipanti al sottostudio Hrql del trial Accord (Action to control cardiovascular risk in diabetes) Bp, i quali avevano completato la visita iniziale e una o più delle valutazioni di Hrql a 12, 36, o 48 mesi. A più di 4 anni di follow-up non si sono notate differenze significative in 5 misure di Hrql su 6. I pazienti assegnati al controllo pressorio intensivo, rispetto al gruppo standard, hanno fatto registrare un peggioramento significativo dei punteggi al questionario sullo stato di salute “Medical outcomes Study 36-item short-form health survey”. Tali cambiamenti però non sono apparsi clinicamente significativi e i reperti si sono mantenuti lungo tutti i sottogruppi prespecificati.

Diabetes Care, 2012 May 14. [Epub ahead of print]

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Helicobacter pylori correlato all’HbA1c, se Bmi elevato

La presenza di H. pylori può giocare un ruolo nello sviluppo del diabete, infatti si associa a elevati livelli di HbA1c, soprattutto negli individui obesi.È quanto hanno rilevato Yu Chen e Martin J. Blaser, della New York university School of medicine, i quali hanno effettuato un’analisi trasversale di dati appartenenti a 7.417 partecipanti al terzo National health & nutrition examination survey (Nhanes III) e a 6.702 soggetti compresi nel Nhanes 1999-2000. Non si sono riscontrate associazioni tra H. pylori e storia autoriferita di diabete, ma la sieropositività all’H. Pylori, soprattutto se positivo al gene cagA, è apparsa associata positivamente con i livelli di HbA1c, dopo aver escluso gli individui con storia di diabete e controllato per fattori confondenti.Si è anche notata un’interazione sinergica tra H. pylori ed elevato body mass index (Bmi), tale per cui livelli aumentati di HbA1c associati a presenza di H. pylori ed elevato Bmi portavano a un effetto superiore rispetto a quello determinato dalla somma degli effetti dei singoli fattori. I due autori ritengono che il batterio possa influire sui livelli degli ormoni gastrici che aiutano a regolare la glicemia; inoltre ipotizzano che l’eradicazione del microrganismo mediante antibiotici in alcuni soggetti obesi più anziani possa essere benefica.

J Infect Dis. 2012 Apr;205(8):1195-202

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Diabete 2: deficit cognitivi alzano rischio di grave ipoglicemia

Uno scarso funzionamento cognitivo aumenta il rischio di grave ipoglicemia nei soggetti con diabete di tipo 2. Occorre sempre valutare i pazienti circa la capacità di autogestire la patologia indipendentemente dai target glicemici. È la conclusione di un’analisi epidemiologica post-hoc su dati del trial Accord – condotta da Zubin Punthakee, della McMaster University di Hamilton (Canada) – corrispondenti a 2.956 adulti di età =/>55 anni, con diabete di tipo 2 e fattori aggiuntivi di rischio cardiovascolare. I partecipanti sono stati sottoposti a test cognitivi – Digit symbol substitution test (Dsst), Rey auditory verbal learning test, Stroop test, Mini mental status examination – al basale e a 20 mesi di distanza. Come outcome principali sono stati fissati una ipoglicemia grave, tale da richiedere assistenza medica (Hma), e un’ipoglicemia di qualunque grado, tale comunque da richiedere assistenza (Haa). Dopo un follow-up medio di 3,25 anni, un punteggio al Dsst inferiore di 5 è risultato predittivo di un primo episodio di Hma. L’analisi degli altri test cognitivi e delle Haa sono apparsi coerenti con i risultati del Dsst. Il declino cognitivo dopo i 20 mesi ha innalzato il rischio successivo di ipoglicemia a un livello superiore rispetto a quello correlato a un più basso livello cognitivo al basale. La randomizzazione verso una strategia intensiva o standard per il controllo glicemico non ha avuto impatto sul rapporto tra funzione cognitiva e il rischio di grave ipoglicemia. 

Diabetes Care, 2012 Feb 28.

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Livelli urinari di N-telopeptide ed efficacia di alendronato

Nelle donne con osteoporosi postmenopausale, il trattamento con alendronato, Aln (70 mg/settimana) determina la riduzione dell’escrezione urinaria di N-telopeptide (Ntx), biomarker di turnover osseo e di efficacia della terapia antiosteoporotica. La probabilità di conseguire una riduzione clinicamente significativa è maggiore nelle donne che presentano i più alti livelli basali di Ntx e che hanno la più elevata compliance al trattamento. Sono le conclusioni di uno studio osservazionale prospettico multicentrico spagnolo, coordinato da Santiago Palacios, dell’Instituto Palacios di Madrid, nel quale sono state ammesse donne in postmenopausa osteoporotiche (in base a criteri densitometrici), che avevano iniziato un trattamento con Aln senza pregresse terapie agenti riassorbitivi (da 12 mesi) o calcitonina (da 6 mesi). La valutazione di Ntx nelle urine è stata fatta al basale e dopo un follow-up di 6 mesi. Una variabile dicotomica misurata è stata l'”ottenimento di una riduzione di Ntx urinario di almeno il 30%”, parametro considerato “minimo cambio clinicamente significativo” (Mccs). Tra le altre variabili considerate, la compliance al trattamento è stata valutata come percentuale di giorni di farmaco prescritto in funzione del tempo tra l’inizio e la fine del trattamento (una buona compliance veniva considerata se compresa tra 80% e 120%). Alla fine, le variabili che hanno raggiunto una significatività statistica sono state i valori urinari basali di Ntx (Or: 1,052) e la compliance (Or: 3,9). Pertanto le donne con buona compliance al trattamento avevano probabilità almeno 4 volte maggiori di conseguire il Mcsc a livello ntx; inoltre, si è visto che l’aumento di 1 unità di Ntx urinario basale aumentava del 5% la probabilità di raggiungere il Mcsc.

Menopause, 2012; 19(1):67-74

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Anemia e bassa funzione tiroidea: un rapporto molto stretto

Fra le cause di una anemia di incerta etiologia difficilmente si pensa ad una ridotta funzione tiroidea. Un recentissimo articolo uscito sull’ultimo numero del 2011 di Endocrine Journal – nel puntualizzare gli stretti rapporti fisiopatologici fra ormoni tiroidei ed ematopoiesi mediati dall’eritropietina – evidenzia come nei soggetti con ridotta funzione tiroidea (sia subclinica che manifesta) la frequenza di una anemia sia significativamente superiore (43% e 39% rispettivamente negli ipotiroidei conclamati ed in quelli subclinici) rispetto a quella (26%) osservata nei controlli (Fig. 1). Riguardo alla individuazione delle cause dell’anemia, gli AA dell’articolo riferiscono di non aver evidenziato una correlazione fra deficit funzionale tiroideo e carenza di ferro o di vitamina B12, ma hanno osservato che la maggior parte delle anemie, tanto nei controlli quanto nei pazienti ipotiroidei, rientrano fra quelle etichettabili come “da disordine cronico”. Ne deriva pertanto che i test funzionali tiroidei dovrebbero entrare nell’algoritmo diagnostico di una anemia di incerta etiologia (ndr).

Mehmet E et al  Characteristics of anemia in subclinical and overt hypothyroid patients. Endocr J. 2011 Dec 27

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