Tipo 2: frequente ipogonadismo nei giovani

L’ipogonadismo ipogonadotrofico ? presente circa in un terzo degli uomini di et? compresa fra 18 e 35 anni con diabete di tipo 2. Le potenziali implicazioni di questo dato per i soggetti in questione sono molto importanti, soprattutto in relazione alla loro funzionalit? sessuale e riproduttiva durante i primi anni della fase riproduttiva. Coerentemente con quanto riportato in precedenza, i pazienti con ipogonadismo presentano livelli di LH ed FSH troppo bassi. Sussiste inoltre una correlazione inversa fra BMI e concentrazione totale di testosterone libero, ma comunque, bench? il BMI sia uno dei principali fattori determinanti dell’ipogonadismo ipogonadotrofico, l’associazione non dipende interamente dall’obesit?. Bassi livelli di testosterone possono danneggiare la funzionalit? sessuale, ridurre la libido e portare a disfunzione erettile. Nei soggetti con diabete di tipo 2, inoltre, questo fenomeno pu? portare ad una diminuzione dei picchi di massa ossea ed al mancato sviluppo o alla perdita di massa muscolare. Questi pazienti possono inoltre sviluppare un aumento dell’adiposit?, e divenire quindi maggiormente insulinoresistenti. E’ stato infine dimostrato che i soggetti con diabete di tipo 2 ed ipogonadismo ipogonadotrofico hanno elevati livelli di PCR, e pertanto potrebbero essere a maggior rischio di malattie cardiovascolari. (Diabetes Care 2008; 31: 2013-7)

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Diabete e prevenzione primaria con aspirina

Non sono state riscontrate prove del fatto che l’aspirina o altri antiossidanti siano di qualche beneficio nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei pazienti diabetici con arteriopatie periferiche asintomatiche. Ci? indica che alcune linee guida che suggeriscono l’uso dell’aspirina in pazienti diabetici liberi da malattie cardiovascolari andrebbero revisionate. Nel tentativo di ridurre ulteriormente il rischio clinico i dati sull’aspirina sono stati estrapolati alla prevenzione primaria, ma di fatto in questo ambito le prove a favore dell’aspirina sono deboli, in particolare nella popolazione diabetica. L’aspirina stessa peraltro non ? scevra da rischi, rappresentando una delle pi? comuni cause farmacologiche di ricovero. In totale, sette studi ben controllati dimostrano l’inefficacia dell’aspirina nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari anche nei soggetti a maggior rischio. Bench? si tratti di un farmaco economico e disponibile universalmente, essa andrebbe prescritta solamente ne pazienti con malattie cardiovascolari conclamate e sintomatiche. (BMJ online 2008, pubblicato il 21/10)

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Tipo 2: frequente ipogonadismo nei giovani

L’ipogonadismo ipogonadotrofico ? presente circa in un terzo degli uomini di et? compresa fra 18 e 35 anni con diabete di tipo 2. Le potenziali implicazioni di questo dato per i soggetti in questione sono molto importanti, soprattutto in relazione alla loro funzionalit? sessuale e riproduttiva durante i primi anni della fase riproduttiva. Coerentemente con quanto riportato in precedenza, i pazienti con ipogonadismo presentano livelli di LH ed FSH troppo bassi. Sussiste inoltre una correlazione inversa fra BMI e concentrazione totale di testosterone libero, ma comunque, bench? il BMI sia uno dei principali fattori determinanti dell’ipogonadismo ipogonadotrofico, l’associazione non dipende interamente dall’obesit?. Bassi livelli di testosterone possono danneggiare la funzionalit? sessuale, ridurre la libido e portare a disfunzione erettile. Nei soggetti con diabete di tipo 2, inoltre, questo fenomeno pu? portare ad una diminuzione dei picchi di massa ossea ed al mancato sviluppo o alla perdita di massa muscolare. Questi pazienti possono inoltre sviluppare un aumento dell’adiposit?, e divenire quindi maggiormente insulinoresistenti. E’ stato infine dimostrato che i soggetti con diabete di tipo 2 ed ipogonadismo ipogonadotrofico hanno elevati livelli di PCR, e pertanto potrebbero essere a maggior rischio di malattie cardiovascolari. (Diabetes Care 2008; 31: 2013-7)

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Gotta: bere caff? riduce rischio negli uomini

Il consumo a lungo termine di caff? ? associato ad una riduzione del rischio di gotta negli uomini di et? superiore a 40 anni. Il caff? ? una delle bevande pi? comunemente consumate nel mondo, e pu? influire sul rischio di gotta tramite vari meccanismi. E’ stato dimostrato che il consumo di caff? ? associato ad una diminuzione del livello sierico di acido urico ed ad una minore frequenza di iperuricemia. Le associazioni individuate risultano indipendenti dai fattori di rischio di gotta dietetici e non, quali ad esempio BMI; et?, ipertensione, uso di diuretici, consumo di alcool ed insufficienza renale cronica. L’assunzione totale di caffeina da tutte le fonti non risulta associata al rischio di gotta. (Arthritis Rheum. 2007; 56: 2048-54)

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Un po’ d’alcol riduce il rischio di frattura

Un’assunzione di alcool pari a 0,5-1 drink al giorno ? associata alla diminuzione del rischio di frattura d’anca. L’alcolismo ? un fattore di rischio di fratture osteoporotiche e bassa BMD, ma gli effetti di un consumo moderato di alcool sull’osso erano finora ignoti. Bench? i dati finora disponibili suggeriscano un effetto favorevole del consumo di alcool sulla BMD, un range preciso per il consumo benefico di alcool non pu? essere determinato. Onde espandere le conoscenze in questo campo, sono necessari rigorosi studi prospettici per valutare con attenzione potenziali fattori interferenti. Dato che la BMD riflette l’effetto cumulativo di numerosi fattori sul metabolismo osseo su lunghi periodi di tempo, gli studi futuri dovrebbero tenere conto della BMD di base. (Am J Med. 2008; 121: 406-18)

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Il tipo 2 comincia prima di nascere

L’esposizione intrauterina a fattori materni quali diabete ed obesit? ? fortemente associata al diabete di tipo 2 nei giovani. Oltre all’obesit? infantile, potrebbe essere necessario rivolgere le risorse della prevenzione anche verso il numero sempre crescente delle gravidanze complicate dall’obesit?. E’ in aumento l’interesse nell’ipotesi secondo cui l’obesit? materna durante la gravidanza, anche in assenza di diabete conclamato, sia anche associata ad anomalie metaboliche per tutta la vita nella prole, come l’obesit? o i segni della sindrome metabolica, ma i dati in merito scarseggiano: quanto recentemente rilevato, comunque, supporta fortemente questa ipotesi. (Diabetes Care. 2008; 31: 1422-6)

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Nuove linee guida screening osteoporosi maschile

L’ACP ha editato nuove linee guida per lo screening clinico dell’osteoporosi nel sesso maschile. Queste nuove linee guida raccomandano che i medici valutino i fattori di rischio di osteoporosi negli uomini anziani, e che si effettui una DXA negli uomini a maggior rischio di osteoporosi che si ritengono candidati alla terapia farmacologica. L’osteoporosi, d’altro canto, non va considerata soltanto come una malattia femminile. Essa ? caratterizzata da una diminuzione della massa ossea e dal deterioramento strutturale del tessuto osseo, determinando fragilit? ossea ed incremento del rischio di frattura a carico di anca, rachide e polsi. La prevalenza della malattia negli uomini di razza caucasica ? attualmente del sette percento, ma si prevede che aumenti del 50 percento nei prossimi 15 anni, con tassi di frattura che raddoppieranno entro il 2040. (Ann Intern Med. 2008; 148: 680-4 e 685-701

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Frutta e verdura riducono il rischio diabetico

Il consumo di frutta e verdure a foglia larga ? stato associato ad un minor rischio di diabete di tipo 2, mentre il consumo di succhi di frutta potrebbe essere associato ad un aumento di tale rischio nelle donne. Il consumo di frutta e verdura ? stato gi? associato alla riduzione della mortalit? dovuta ad una variet? di elementi fra cui obesit?, ipertensione e malattie cardiovascolari negli studi epidemiologici, ma pochi studi prospettici hanno finora esaminato la correlazione fra apporto di frutta e verdura e rischio di diabete, ed inoltre i loro risultati non sono stati del tutto coerenti. L’associazione individuata ? indipendente dai fattori di rischio noti di diabete di tipo 2, fra cui et?, BMI, anamnesi familiare, fumo, uso di ormoni dopo la menopausa, assunzione di alcool, attivit? fisica, apporto energetico totale e consumo di granaglie integrali, noccioline, carni lavorate, caff? e patate. Va dunque osservata una certa cautela nella sostituzione di alcune bevande con succhi di frutta, onde considerare opzioni pi? sane, e la stessa cautela va prestata nell’affermare che tutti i succhi di frutta siano equivalenti ad una portata di frutta vera e propria. Se frutta e verdura venissero usate per sostituire patate e derivati raffinati del grano, entrambi associati ad un aumento del rischio di diabete, i benefici conseguenti potrebbero essere sostanziali. (Diabetes Care online 2008, pubblicato il 4/4)

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Diabete: calcio e vitamina D non riducono il rischio

L’integrazione di calcio e vitamina D3 non riduce il rischio di diabete. Studi sperimentali ed epidemiologici avevano suggerito che calcio e vitamina D potessero ridurre questo rischio, ma ? stato recentemente rilevato che nell’arco di sette anni di monitoraggio questa strategia non influisce affatto sui tassi di diabete incidente. I soggetti che ricevono l’integrazione di calcio e vitamina D, infatti, presentano tassi di sviluppo di diabete che non differiscono significativamente da quelli dei soggetti che assumono placebo. Non ? stato comunque possibile escludere del tutto un ruolo della vitamina D nella prevenzione del diabete: potrebbe darsi la necessit? di aumentare le dosi della vitamina perch? l’effetto si palesi. (Diabetes Care 2008; 31: 701-7)

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Poche differenze tra gli anti-osteporosi

Vi sono poche differenze nell’efficacia dei farmaci pi? comunemente usati nell’osteoporosi per la prevenzione delle fratture. Finora le informazioni comparative in questo campo erano scarse. Probabilmente, dunque, allo stato attuale non vi ? un farmaco chiaramente superiore agli altri per la terapia dell’osteoporosi, ma tuttavia non ? stato possibile escludere differenze potenzialmente importanti, in quanto non ? stato tenuto conto dell’aderenza alla terapia e dei possibili fattori interferenti. E’ dunque auspicabile la ricerca di un metodo eticamente accettabile per l’assegnazione prospettica dei pazienti a regimi terapeutici diversi ed apparentemente equivalenti, con susseguente valutazione di esiti, effetti collaterali, interazioni farmacologiche e costi. (Ann Intern Med 2008; 148: 637)

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