Diabete, rischio in aumento con l’acido urico

I livelli sierici di acido urico rappresentano un forte ed indipendente fattore di rischio di diabete. L’acido urico sierico ? associato positivamente alla glicemia nei soggetti sani, ma questa associazione non si mantiene anche nei soggetti diabetici, in quanto nello stato iperglicemico ? riportato un basso livello di acido urico nel siero. Dato che la maggior parte dei soggetti va incontro ad una fase di ridotta tolleranza al glucosio prima della progressione verso il diabete, non ? chiaro se l’aumento dell’acido urico nel siero predica il rischio di diabete di tipo 2. I dati del presente studio, insieme a quelli della letteratura precedente, indicano che la diminuzione dell’acido urico potrebbe costituire una nuova strategia terapeutica per la prevenzione del diabete, e giustificano uno studio clinico prospettico sui possibili benefici della misurazione e della riduzione dell’acido urico sierico in molteplici malattie croniche. (Diabetes Care 2008; 31: 361-2)

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Iperglicemia e coronaropatie acute

Sono necessari studi per accertare gli effetti dell’iperglicemia nei soggetti con coronaropatie acute, dato che in questo campo sono presenti grandi lacune e che l’iperglicemia e riconosciuta e/o trattata con poca costanza in questi pazienti. Nei molti pazienti che soffrono di coronaropatie acute infatti ci si concentra solo sulla ricanalizzazione delle coronarie, ma si ignorano gli altri fattori prognostici. Vi sono molte prove del fatto che l’iperglicemia sia un problema frequente nei pazienti con coronaropatie acute all’atto del ricovero in ospedale (25-50 percento dei casi), ma bench? essa sia legata ad un aumento della mortalit?, viene comunque frequentemente ignorata. (Circulation online 2008, pubblicato il 26/2)

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Studi sulle fratture in osteoporosi

Allo stesso modo delle fratture da traumi di basso grado, le fratture non spinali da trauma di grado elevato sono associate ad una bassa BMD ed ad un aumento del rischio di fratture susseguenti negli anziani, il che suggerisce che esse dovrebbero essere incluse negli esiti considerati negli studi sull’osteoporosi ed in quelli osservazionali. Comunemente si crede che queste fratture siano di natura non osteoporotica, ma questo assurto non era mai stato studiato prospetticamente prima. I risultati del presente studio, nonostante le importanti limitazioni, sono di rilevanza clinica. L’attuale definizione di frattura da trauma di grado elevato non ? particolarmente utile finch? non ne verranno sviluppate di migliori, i pazienti anziani che subiscono una frattura anche da traumi importanti non possono essere ignorati in termini di status scheletrico, e necessitano di verifiche per la presenza di una possibile osteoporosi. (JAMA. 2007; 298: 2381-8 e 2418-9)

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Glicemia a digiuno?indica il?rischio ischemico

Elevati livelli glicemici a digiuno nei pazienti diabetici sono fortemente associati ad un aumento del rischio di ictus ischemico incidente ed eventi vascolari. I dati degli studi randomizzati non sono sufficienti per raccomandare uno stretto controllo della glicemia a digiuno nei diabetici per la prevenzione primaria dell’ictus, ma il presente studio potrebbe sopperire a questa mancanza. Il presente studio prospettico, insieme ad altri, prova che livelli glicemici a digiuno controllati e mirati nel diabetico sono associati ad una riduzione del rischio macrovascolare, che comprende sia l’ictus ischemico che altri eventi vascolari. (Diabetes Care online 2008, pubblicato il 13/3)

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Curare il tipo 2 salvando cuore e ossa

Un recente studio supporta la teoria secondo cui il trattamento con tiazolidinedioni (TZD) sia associato a una diminuzione dell’osteoprotegerina circolante e a una minore prevalenza di ischemia miocardica silente nei pazienti con diabete di tipo 2. Si pensa che i TZD riducano la formazione ossea e contribuiscano alla perdita d’osso. L’osteoprotegerina inibisce la genesi degli osteoclasti funzionando da recettore per il ligando RANK, un fattore che svolge un ruolo nel rimodellamento osseo. I TZD potrebbero prevenire la differenziazione degli osteoblasti indotta dal diabete nelle pareti arteriose e la calcificazione mediale, probabilmente tramite la riduzione dei livelli plasmatici di osteoprotegerina. Il miglioramento della funzionalit? endoteliale attribuito ai TZD potrebbe spiegare la minore prevalenza di anomalie della perfusione miocardica nei pazienti trattati con questi farmaci: la funzionalit? endoteliale risulta spesso danneggiata nei diabetici, e pu? causare anomalie perfusionali anche in assenza di stenosi coronariche significative. (Diabetes Care 2008; 31: 593-5)

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Varianti geniche connesse a osteoporosi

Comuni varianti del gene LRP5 influenzano la BMD ed il rischio di osteoporosi, ma comunque l’impatto di queste varianti sul rischio complessivo ? modesto. Precedenti ricerche avevano identificato lesioni LRP5 che causano rare malattie associate a variazioni della BMD, ma non era chiaro se mutazioni comuni nei geni LRP5 o LRP6 potessero influenzare il rischio di osteoporosi a livello della popolazione. I dati del presente studio suggeriscono un ruolo del gene LRP5 nel determinare BMD e rischio di frattura per tutta la vita nella popolazione generale. Bench? ogni singolo marcatore spieghi solamente una piccola parte del rischio fenotipico, l’identificazione di diverse variabili di rischio per l’osteoporosi come queste potrebbe aiutare a migliorarne la previsione clinica. (JAMA 2008; 299: 1277-90)

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TSH previene perdita d’osso?

I risultati di uno studio su animali suggeriscono che iniezioni intermittenti di TSH ricombinante possano aiutare a ridurre la perdita d’osso che accompagna la menopausa. In uno studio precedente era stato dimostrato che la perdita d’osso osservata con l’ipertiroidismo non ? dovuta solo ad un aumento di ormone tiroideo, ma ? anche associata ad una caduta dei livelli di TSH, e studi recenti su ratti e sull’uomo hanno confermato che ormone tiroideo e TSH hanno effetto opposto sull’osso. E’ probabile che studi futuri su efficacia e sicurezza dei preparati standard di TSH ricombinante aprano la strada all’uso del TSH per combattere forme specifiche di osteoporosi. (Proc Natl Acad Sci USA online 2008, pubblicato il 10/3)

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Insulinoresistenza epatica mima sindrome metabolica

L’insulinoresistenza epatica di per s? pu? essere ritenuta responsabile per la dislipidemia e l’incremento del rischio di arteriosclerosi associati alla sindrome metabolica. Nella sindrome metabolica, dunque, un singolo evento fisiopatologico pu? produrre tutti i sintomi ed incrementare il rischio di malattie cardiovascolari. E’ necessario ora identificare il modo in cui l’insulina altera la sintesi e la clearance dell’HDL ed individuare i target precisi che portano alla sua diminuzione: gli autori intendono attraversare sistematicamente i punti nodali dell’azione dell’insulina per accertare quale sia a controllare colesterolo e glucosio. Identificando ed invertendo le cause, sarebbe disponibile un vero e proprio trattamento per la sindrome metabolica. Il punto di svolta ? rappresentato dal fatti che l’insulina ? pi? importante del semplice controllo glicemico. (Cell Metabolism 2008; 7: 1-10)

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Anziani, testosterone limita grasso viscerale

La terapia con testosterone diminuisce l’incremento del tessuto adiposo viscerale e la perdita di muscolo scheletrico negli uomini anziani non obesi. L’obesit? ? un importante fattore interferente nella presentazione dei deficit di androgeni, e per questo si ? preferito studiare gli uomini anziani non obesi con sintomi di deficit di androgeni e livelli sierici di testosterone ai limiti inferiori della normalit?. Data la stretta associazione fra grasso viscerale, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari, questi dati suggeriscono che il testosterone potrebbe essere usato per modificare l’incremento dell’adipe viscerale correlato all’et?, e possibilmente anche gli eventi metabolici negativi conseguenti. Essi garantiscono una base per le indagini sugli effetti del testosterone sui marcatori di malattie cardiovascolari ed il rischio di diabete negli uomini obesi. (J Clin Endocrinol Metab 2008; 93: 139-46)

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Come vivere con il tipo 2

Semplici consigli da parte del medico durante le visite di routine sono efficaci nell’incoraggiare i pazienti sedentari in sovrappeso o obesi con diabete di tipo 2 ad intraprendere uno stile di vita pi? sano. I medici sono ben consapevoli del loro potenziale positivo in questo senso, ma i molti punti di interesse clinico e le priorit? del paziente durante le visite abituali spesso rendono difficile indirizzare adeguatamente le modifiche dello stile di vita in ciascun paziente. Problemi di tempo e mancanza di insegnamento su come consigliare meglio il paziente su nutrizione, esercizio e gestione del peso sono barriere che il medico deve superare. I risultati del presente studio sottolineano i benefici di brevi consulenze dirette dal medico sugli stili di vita sani, pur rivelandone le limitazioni: senza un miglioramento nell’educazione del medico, sistemi sanitari pi? sofisticati e di sostegno ed un maggior riferimento alla sanit? pubblica, le consulenze comportamentali sulla salute non realizzeranno probabilmente il loro pieno potenziale. (Arch Intern Med. 2008; 168: 129-30 e 141-6)

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