SSRI accelerano perdita d’osso nelle donne anziane

L’uso di antidepressivi SSRI, ma non di quelli triciclici, risulta associato ad un aumento della perdita d’osso a livello dell’anca. Sarebbe forse prematuro concludere che gli SSRI abbiano un effetto sulla salute ossea degli esseri umani, ma questa ? un’area per ulteriori ricerche. Studi su animali hanno suggerito che gli SSRI inibiscano i trasportatori della serotonina, e questo ? connesso alla riduzione della formazione ossea, mentre i triciclici agiscono in un altro modo. Nei soggetti ad alto rischio che fanno uso di SSRI, dunque, sarebbe opportuna un’ulteriore valutazione della salute ossea, ad esempio con la misurazione della BMD, per determinare l’opportunit? di un eventuale trattamento. (Arch Intern Med. 2007; 167: 1231-2 e 1240-5)

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Ipotiroidismo subclinico: utile L-tiroxina

Il trattamento di adulti con ipotiroidismo subclinico con L-tiroxina ha effetti benefici sui fattori di rischio cardiovascolari, sulla funzionalit? endoteliale e sulla qualit? della vita. Non si tratta di un rilevamento isolato, in quanto ? stato dimostrato che la L-tiroxina migliora i danni a carico della funzionalit? sessuale e la performance negli uomini con ipotiroidismo: ci? potrebbe essere dovuto agli effetti degli ormoni tiroidei sugli aspetti psicologici, come l’incremento della stanchezza. Sono necessari studi a lungo termine per determinare se gli apparenti benefici a breve termine della L-tiroxina nell’ipotiroidismo subclinico si traducano in una riduzione delle malattie cardiovascolari e della mortalit? correlata. (J Clin Endocrinol Metab 2007; 92: 1715-23)

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Aggregazione fattori di rischio nei genitori di diabetici

E’ stata riscontrata un’associazione fra nefropatia nei pazienti con diabete di tipo 1 ed una maggiore prevalenza di ipertensione, diabete, ictus e mortalit? paterna nei loro genitori. La nefropatia diabetica interviene circa in un terzo dei pazienti con diabete di tipo 1, con un picco d’incidenza dopo 15-20 anni di malattia. La nefropatia diabetica presenta un’aggregazione familiare ed in particolari gruppi etnici, il che indica una predisposizione genetica, ma i suoi fattori di rischio genetici sono ancora in larga parte sconosciuti. Il presente studio conferma che fattori familiari influenzano lo sviluppo della nefropatia nei pazienti con diabete di tipo 1, e nello specifico l’aggregazione familiare di diabete di tipo 1, ipertensione e diabete ? associata alla comparsa di nefropatia nella prole diabetica. (Diabetes Care 2007; 30: 1162-7)

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Diabete gestazionale: livelli A1c predicono rischio diabete a lungo termine

Elevati livelli di emoglobina glicosilata nelle donne con diabete gestazionale sono associati allo sviluppo futuro di diabete franco. Contrariamente ad alcuni studi precedenti, i risultati del presente studio suggeriscono anche che il diabete gestazionale sia un fattore di rischio di diabete a prescindere dall’etnia. Altri fattori di rischio di sviluppo di diabete comprendono et? avanzata al monitoraggio, BMI elevato, grave iperglicemia e necessit? di insulina durante la gravidanza. Sarebbe necessario effettuare un’ulteriore esame della valenza della misurazione dell’HbA1c nel diabete gestazionale, in quanto essa ha il potenziale di eliminare le donne a rischio minimo dai programmi di screening. (Postgrad Med J 2007; 83: 426-30)

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Ipertiroidismo: trattamento con iodio radioattivo associato ad aumento prevalenza tumori

I pazienti trattati con iodio radioattivo per ipertiroidismo presentano un aumento del rischio di tumori, soprattutto a livello di stomaco, reni e mammelle. Lo iodio radioattivo viene comunemente utilizzato come terapia di prima linea per l’ipertiroidismo, ed anche se viene usato a questo scopo sin dal 1940, rimangono preoccupazioni sul rischio susseguente di tumori maligni. L’incremento del rischio di tumore con la dose cumulativa di iodio radioattivo ed il fatto che il rischio non risulti pi? elevato dopo cinque anni di trattamento ma solo dopo 10, dopo una latenza minima per lo sviluppo da tumori indotti da radiazioni, suggeriscono che le radiazioni potrebbero spiegare l’incremento del rischio tumorale. In ogni caso, il rischio assoluto di tumore in questi pazienti rimane basso. (Cancer 2007; 109: 1972-9)

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Ipotiroidismo spesso inosservato in gravidanza

Effettuare lo screening dei difetti della funzionalit? tiroidea solo nelle donne in gravidanza ad alto rischio potrebbe significare che molti dei casi di tireopatia in gravidanza passino inosservati. Sono in aumento le prove del fatto che anche un lieve ipotiroidismo in gravidanza ? associato a diversi esiti negativi, fra cui danni a carico dello sviluppo neuropsicologico del bambino. Bench? vi sia consenso sul fatto che l’insufficienza tiroidea (lieve e conclamata) durante la gravidanza debba essere trattata prontamente ed adeguatamente per prevenire questi esiti, le attuali linee guida non raccomandano lo screening universale della funzionalit? tiroidea in tutte le donne in gravidanza, ma solo in quelle ad alto rischio. Il presente studio dimostra per? che questa strategia lascia un terzo dei casi di insufficienza tiroidea non diagnosticati. Gli strumenti per la diagnosi e l’intervento, d’altro canto, sono facilmente accessibili, e pertanto un tasso tanto elevato di mancate diagnosi non ? accettabile. (J Clin Endocrinol Metab 2007; 92: 203-7)

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Ipertiroidismo: effetti cardiovascolari persistono dopo la terapia

Nonostante una terapia antitiroidea efficace, alcuni pazienti precedentemente ipertiroidei continuano ad avere problemi cardiovascolari. Molti pazienti presentano sintomi cardiovascolari o problemi aritmici associati all’ipertiroidismo, ma bench? molti di essi migliorino con il trattamento della patologia tiroidea, alcuni problemi tendono a persistere, e soprattutto quelli aritmici. I fattori predittivi di ripristino efficace del ritmo sinusale nei pazienti con fibrillazione atriale comprendono minori livelli pressori di base ed uno stato iniziale di ipotiroidismo indotto dalla terapia antitiroidea. Il presente studio, comunque, sottolinea il fatto che l’ipertiroidismo possa avere significativi e persistenti effetti negativi sul cuore. (J Am Coll Cardiol 2007; 49: 71-81)

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Vasi al riparo dal diabete

Causare una riduzione dell?aspettativa di vita di 5-10 anni, soprattutto per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Essere il principale fattore di cecit? sotto i 65 anni, il primo di amputazione non dovute a traumi, il pi? frequente di dialisi. Sono ragioni evidenti dell?importanza di prevenire, diagnosticare e gestire precocemente le complicanze sul lungo periodo del diabete, un obiettivo reso pi? difficile dal fatto che la patologia stessa in molti casi ? riconosciuta tardivamente, mentre continua la sua avanzata mondiale. A causa delle alterazioni prodotte nell?organismo questa malattia del metabolismo favorisce, infatti, nel tempo l?insorgenza di complicanze sia microvascolari, come retinopatie, nefropatie e neuropatie, sia macrovascolari, quali patologie cardiovascolari, cerebrovascolari e arteriopatie periferica, presenti anche contemporaneamente, che hanno un forte impatto tanto sulla qualit? di vita del singolo quanto a livello socio-economico. In un?analisi di otto studi europei su malati di diabete di tipo 2, per esempio, il 72% presentava almeno una complicanza e il 24% una microvascolare pi? una macrovascolare; nell?arco di sei mesi il 13% aveva avuto un ricovero e il costo medio annuale per paziente ? stato calcolato in 2.834 euro, dovuto per met? all?ospedalizzazione e solo per il 7% al costo dei farmaci ipoglicemizzanti.

In gioco fattori modificabili e non

Nello sviluppo delle complicanze interagiscono vari fattori, alcuni non modificabili come quelli genetici, etnici o la durata della malattia, altri modificabili quali fumo, ipertensione, dislipidemia, obesit?, sui quali si pu? evidentemente intervenire. Quanto alla frequenza, il rischio di infarto miocardico (IMA) o ictus ? 2-4 volte maggiore nel diabete di tipo 2 che nella popolazione generale, dal 20 al 50% dei malati va incontro ad alterazioni della vista che richiedono trattamenti, circa un terzo sviluppa una proteinuria – cio? la perdita di proteine nelle urine per il danno vascolare renale – che progredir? verso la nefropatia e in molti casi la dialisi, nel 30-50% possono insorgere neuropatie periferiche che contribuiscono alle ulcerazioni del piede e possibili amputazioni, infine met? dei malati over50 ha una disfunzione erettile. Sono rischi che possono essere fortemente ridotti prima di tutto mantenendo sotto stretto controllo la glicemia e la pressione arteriosa, e con una gestione aggressiva dei fattori di rischio cardiovascolari. La correzione glicemica diminuisce la probabilit? di complicanze microvascolari ma anche macrovascolari, riducendo il rischio d?infarto miocardico del 14% per ogni calo dell?1% dell?emoglobina glicata, secondo uno studio prospettico inglese; per la pressione arteriosa ogni abbassamento di 10 mmHg era associato a una diminuzione del 13% di eventi microvascolari e dell?11% di IMA. Il rischio cardiovascolare nel diabete 2 risulta ridotto anche con l?utilizzo di farmaci ipolipemizzanti, soprattutto della classe delle statine; essenziale ? poi l?interruzione del fumo, protettiva pure rispetto alle conseguenze microvascolari.

Diagnosi e interventi precoci

Se la prevenzione, attraverso abitudini corrette, controlli e terapie adeguate da seguire scrupolosamente ? la via maestra contro le complicanze del diabete, oltre che del diabete stesso, l?altra strategia ? quella d?individuare in fase iniziale i danni gi? presenti e gestirli in modo da bloccarne o rallentarne l?evoluzione, per scongiurare sviluppi molto pesanti come la cecit?, l?amputazione del piede, la necessit? di dialisi. Si tratta per esempio di monitorare sintomi di malattia macrovascolare come l?angina o la claudicatio, alterazioni dell?acuit? visiva e retiniche, concentrazioni di albumina urinaria e di creatinina sierica quali spie di danno renale, segni di patologia del piede (deformit?, neuropatia, ischemia e infezioni) e presenza di disfunzione erettile ricollegabili a patologia nervosa e arteriosa periferica. Al monitoraggio attento seguono trattamenti specifici per le varie alterazioni trovate, con un approccio multifattoriale, sempre insieme dalle raccomandazioni da seguire sullo stile di vita pi? salutare: un obiettivo che per molte persone appare difficile, ma che ? decisivo per il diabete come per tutte le malattie oggi di maggior impatto.

Elettra Vecchia

Fonte

Marshall SM et al. Prevention and early detection of vascular complications of diabetes. BMJ 2006;333:475-480.

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l tessuto adiposo svolge funzioni endocrine

Il tessuto adiposo secerne peptidi bioattivi, chiamati adipochine, che agiscono localmente e distalmente mediante effetti autocrini, paracrini ed endocrini.

Nell?obesit?, l?incremento della produzione della maggior parte delle adipochine ha un impatto su molteplici funzioni tutte associate alla malattia cardiovascolare, come il controllo dell?appetito ed il bilancio energetico, l?immunit?, la sensibilit? all?insulina, l?angiogenesi, la pressione sanguigna, il metabolismo lipidico e l?emostasi.

Il potenziamento dell?attivit? del fattore di necrosi tumorale ( TNF ) e dell?interleuchina 6 ( IL-6 ) ? elemento importante nello sviluppo della resistenza all?insulina correlata all?obesit?.

L?angiotensinogeno ? coinvolto nell?ipertensione e l?inibitore dell?attivatore del plasminogeno ( PAI-1 ) nell?alterata fibrinolisi.

Altre adipochine come l?adiponectina e la leptina, per lo meno a concentrazioni fisiologiche, sono risparmiatrici di insulina, poich? stimolano la beta-ossidazione degli acidi grassi nel muscolo scheletrico.

Il ruolo della resistina ? meno conosciuto.
E? implicata nella resistenza all?insulina in modelli murini, ma probabilmente non nell?uomo.

La riduzione della massa del tessuto adiposo, mediante perdita di peso associata ad esercizio fisico, pu? abbassare i livelli di TNF-alfa e di IL-6 ed aumentare le concentrazioni di adiponectina, mentre i farmaci come i tiazolidinedioni incrementano la produzione endogena di adiponectina. ( Xagena_2006 )

Ronti T, et al, Clin Endocrinol 2006 ; 64 : 355-365

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