Che i mali non vengano mai soli non ? solo un luogo comune n? un malaugurio, ma solo l’evidenza di una complessit? che appartiene all’organismo umano (e animale). Va da s? che se qualche ingranaggio del meccanismo vitale rallenta, si rovina o funziona male o in modo non adeguato, tutta la macchina ne risente. Non a caso esistono numerosissimi studi che testimoniano, con dati statistici o con spiegazioni fisiologiche, tali associazioni maligne. E il modello si ripete anche per chi soffre di disturbi alla tiroide. L’associazione dell’ipotiroidismo con la patologia cardiovascolare, per esempio, ? stata ampiamente dimostrata, ed ? ipotizzabile e, anzi, accettata, la conclusione che il rischio cardiovascolare aumenti con la gravit? della disfunzione ghiandolare.
Questione di sfumature
Ma non sempre il disturbo tiroideo ? palesemente manifesto, in quanto esistono forme subcliniche, caratterizzate da elevati livelli di tireotropina (TSH o ormone tiroide stimolante) e normali livelli di tiroxina (T4 o ormone tiroideo). Questa variante interessa il 10% delle donne ultrasettantenni, e quote leggermente pi? basse negli uomini, ma la sua prevalenza tende ad aumentare con l’et?. A livello clinico, si registrano, come per la forma pienamente manifesta, molti fattori di rischio cardiovascolare. Per esempio, si hanno concentrazioni maggiori del colesterolo totale e delle LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo), aumentano i livelli di proteina C reattiva (coinvolta nei processi infiammatori) e la probabilit? di sviluppare aterosclerosi. Per quanto gli studi in proposito siano contraddittori e poco chiarificatori, l’ipotesi di un collegamento tra le due condizioni patologiche non pu? essere escluso del tutto. In effetti, sono molti i lavori scientifici in cui non ? stato possibile rilevare l’associazione tra ipotiroidismo subclinico e la mortalit? per cause cardiovascolari, ma se esiste una gradualit? della gravit? dell’ipotiroidismo conclamato e l’intensit? del rischio cardiovascolare, allora potrebbe anche esistere la possibilit? di stabilire una gradualit? della forma subclinica e stratificare cos? il rischio. Da questo presupposto hanno avuto origine due studi, chiaramente con l’obiettivo di definire l’ambito di gravit? in cui era necessario intervenire con terapie idonee a normalizzare la funzionalit? tiroidea. Tradotto in termini operativi: definire il livello soglia della concentrazione di TSH oltre il quale ? ragionevole trattare il paziente.
Soglia di attenzione
I soggetti del campione in studio non sono stati selezionati in base ad alcun criterio di inclusione e dei quasi tremila di uno e dei circa duemila dell’altro sono stati misurati i livelli di TSH nel sangue. Con questo metodo ? stato possibile osservare una popolazione senza caratteristiche cliniche peculiari, che si avvicinasse il pi? possibile alla popolazione generale. Negli anni di monitoraggio, quattro in un caso, 20 nell’altro, si ? potuto verificare la prevalenza di malattie cardiovascolari, come l’insufficienza cardiaca congestizia e la malattia coronarica. Nello studio pi? breve l’et? oscillava tra i 70 e i 79 anni, e la percentuale di pazienti con ipotiroidismo subclinico era simile a quella della popolazione generale (12,4%); qui l’incidenza dell’insufficienza cardiaca era significativamente pi? elevata nei pazienti con la forma moderata e grave mentre non aumentava tra i pazienti con la forma lieve. Nel monitoraggio ventennale i pazienti erano pi? giovani, mediamente cinquantenni, la percentuale con la disfunzione subclinica era, ovviamente, pi? bassa, 5,6%, e la frequenza degli eventi cardiovascolari, in particolare la malattia coronarica, aumentava in modo significativo solo nei casi di ipotiroidismo subclinico in forma grave. La gradualit? della disfunzione tiroidea veniva scandita da intervalli di concentrazione del TSH, per cui nella forma grave era pari o superava le 10 mIU/L, in quella moderata era tra 7 e 9,9 mIU/L, in quella lieve tra 4,5 e 6,9 mIU/L. Sovrapponendo i due risultati emerge che i pazienti a rischio maggiore sono quelli con i livelli di TSH oltre i 10 mIU/L, che il trattamento potrebbe essere indicato, soprattutto nei pazienti molto anziani e, infine, che esiste una finestra di valori, tra 2 e 7 mIU/L in cui il rischio ? talmente basso che la terapia tiroidea probabilmente non servirebbe per prevenire le malattie cardiovascolari.
Simona Zazzetta
Fonte
Rodondi N et al. Subclinical hypothyroidism and the risk of heart failure, other cardiovascular events, and death. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2460-6
Walsh JP et al. Subclinical thyroid dysfunction as a risk factor for cardiovascular disease. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2467-72