Rosuvastatina, un?opzione terapeutica efficace per raggiungere i target di colesterolo LDL fissati da NCEP ATP III

Le linee guida NCEP ATP III ( National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel III ) per i pazienti ad alto rischio di malattia coronarica hanno fissato un target per il colesterolo LDL inferiore a 100mg/dL.

Lo studio MERCURY II ( Measuring Effective Reductions in Cholesterol Using Rosuvastatin Therapy ) ha valutato l?efficacia di 3 statine, Rosuvastatina ( Crestor ), Atorvastatina ( Lipitor ) e Simvastatina ( Zocor ) nel raggiungimento dei nuovi obiettivi di colesterolo LDL secondo le linee guida NCEP ATP III.

Allo studio hanno preso parte 1993 pazienti ad alto rischio di coronaropatia, che sono stati assegnati in modo casuale a Rosuvastatina 20mg, Atorvastatina 10mg, Atorvastatina 20mg, Simvastatina 20mg e Simvastatina 40mg, per 8 settimane.

Successivamente i pazienti sono passati a dosaggi pari o pi? bassi di Rosuvastatina oppure hanno continuato il trattamento iniziale, per altre 8 settimane.

Alla 16.a settimana un numero maggiore di pazienti in trattamento con Rosuvastatina 10 mg ha raggiunto il valore target di colesterolo LDL passando rispetto ai pazienti rimasti in trattamento con Atorvastatina 10mg ( 66% versus 42%; p < 0.001 ), oppure Simvastatina 20mg ( 73% versus 32%; p < 0.001 ). Il passaggio a Rosuvastatina 20mg ha permesso a pi? pazienti di raggiungere gli obiettivi di colesterolo LDL rispetto ad Atorvastatina 20mg ( 79% versus 64%; p 0.001 ) Simvastatina 40mg ( 84% versus 56%; p < 0.001 ). Un numero maggiore di pazienti a rischio molto alto, ha raggiunto il target di colesterolo LDL inferiore a 70mg/dL quando ? passato da Atorvastatina o da Simvastatina a Rosuvastatina ( p < 0.01 per entrambi i confronti ). Pi? pazienti con ipertrigliceridemia ( livelli di trigliceridi maggiori o uguali a 200mg/dL ) che sono passati al trattamento con Rosuvastatina hanno raggiunto i target di colesterolo LDL, di colesterolo non-HDL e di apolipoproteina B. Inoltre il passaggio a Rosuvastatina ha prodotto riduzioni pi? marcate dei livelli di colesterolo LDL, di colesterolo totale, di colesterolo HDL, di apolipoproteina B e rapporti tra lipidi plasmatici. Tutti i trattamenti sono risultati ben tollerati. I dati dello studio hanno dimostrato che Rosuvastatina 10mg o 20mg ? un?opzione terapeutica efficace e sicura nei pazienti ad alto rischio per il raggiungimento dei target lipidici e dell?apolipoproteina.

Ballantyne CM, Am Heart J 2006; 151: 975.e1-e9

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Tiroide lenta, il cuore anche

Che i mali non vengano mai soli non ? solo un luogo comune n? un malaugurio, ma solo l’evidenza di una complessit? che appartiene all’organismo umano (e animale). Va da s? che se qualche ingranaggio del meccanismo vitale rallenta, si rovina o funziona male o in modo non adeguato, tutta la macchina ne risente. Non a caso esistono numerosissimi studi che testimoniano, con dati statistici o con spiegazioni fisiologiche, tali associazioni maligne. E il modello si ripete anche per chi soffre di disturbi alla tiroide. L’associazione dell’ipotiroidismo con la patologia cardiovascolare, per esempio, ? stata ampiamente dimostrata, ed ? ipotizzabile e, anzi, accettata, la conclusione che il rischio cardiovascolare aumenti con la gravit? della disfunzione ghiandolare.

Questione di sfumature
Ma non sempre il disturbo tiroideo ? palesemente manifesto, in quanto esistono forme subcliniche, caratterizzate da elevati livelli di tireotropina (TSH o ormone tiroide stimolante) e normali livelli di tiroxina (T4 o ormone tiroideo). Questa variante interessa il 10% delle donne ultrasettantenni, e quote leggermente pi? basse negli uomini, ma la sua prevalenza tende ad aumentare con l’et?. A livello clinico, si registrano, come per la forma pienamente manifesta, molti fattori di rischio cardiovascolare. Per esempio, si hanno concentrazioni maggiori del colesterolo totale e delle LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo), aumentano i livelli di proteina C reattiva (coinvolta nei processi infiammatori) e la probabilit? di sviluppare aterosclerosi. Per quanto gli studi in proposito siano contraddittori e poco chiarificatori, l’ipotesi di un collegamento tra le due condizioni patologiche non pu? essere escluso del tutto. In effetti, sono molti i lavori scientifici in cui non ? stato possibile rilevare l’associazione tra ipotiroidismo subclinico e la mortalit? per cause cardiovascolari, ma se esiste una gradualit? della gravit? dell’ipotiroidismo conclamato e l’intensit? del rischio cardiovascolare, allora potrebbe anche esistere la possibilit? di stabilire una gradualit? della forma subclinica e stratificare cos? il rischio. Da questo presupposto hanno avuto origine due studi, chiaramente con l’obiettivo di definire l’ambito di gravit? in cui era necessario intervenire con terapie idonee a normalizzare la funzionalit? tiroidea. Tradotto in termini operativi: definire il livello soglia della concentrazione di TSH oltre il quale ? ragionevole trattare il paziente.

Soglia di attenzione
I soggetti del campione in studio non sono stati selezionati in base ad alcun criterio di inclusione e dei quasi tremila di uno e dei circa duemila dell’altro sono stati misurati i livelli di TSH nel sangue. Con questo metodo ? stato possibile osservare una popolazione senza caratteristiche cliniche peculiari, che si avvicinasse il pi? possibile alla popolazione generale. Negli anni di monitoraggio, quattro in un caso, 20 nell’altro, si ? potuto verificare la prevalenza di malattie cardiovascolari, come l’insufficienza cardiaca congestizia e la malattia coronarica. Nello studio pi? breve l’et? oscillava tra i 70 e i 79 anni, e la percentuale di pazienti con ipotiroidismo subclinico era simile a quella della popolazione generale (12,4%); qui l’incidenza dell’insufficienza cardiaca era significativamente pi? elevata nei pazienti con la forma moderata e grave mentre non aumentava tra i pazienti con la forma lieve. Nel monitoraggio ventennale i pazienti erano pi? giovani, mediamente cinquantenni, la percentuale con la disfunzione subclinica era, ovviamente, pi? bassa, 5,6%, e la frequenza degli eventi cardiovascolari, in particolare la malattia coronarica, aumentava in modo significativo solo nei casi di ipotiroidismo subclinico in forma grave. La gradualit? della disfunzione tiroidea veniva scandita da intervalli di concentrazione del TSH, per cui nella forma grave era pari o superava le 10 mIU/L, in quella moderata era tra 7 e 9,9 mIU/L, in quella lieve tra 4,5 e 6,9 mIU/L. Sovrapponendo i due risultati emerge che i pazienti a rischio maggiore sono quelli con i livelli di TSH oltre i 10 mIU/L, che il trattamento potrebbe essere indicato, soprattutto nei pazienti molto anziani e, infine, che esiste una finestra di valori, tra 2 e 7 mIU/L in cui il rischio ? talmente basso che la terapia tiroidea probabilmente non servirebbe per prevenire le malattie cardiovascolari.

Simona Zazzetta

Fonte
Rodondi N et al. Subclinical hypothyroidism and the risk of heart failure, other cardiovascular events, and death. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2460-6

Walsh JP et al. Subclinical thyroid dysfunction as a risk factor for cardiovascular disease. Arch Intern Med. 2005 Nov 28;165(21):2467-72

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L?assunzione quotidiana di frutta e verdura riduce l?incidenza di ictus

Un aumentato consumo di frutta e verdura ? risultato associato ad un ridotto rischio di ictus nella maggior parte degli studi epidemiologici.

Ricercatori della St. George?s University ( UK ) e della Deakin University (Australia ) hanno valutato in modo quantitativo la relazione tra l?assunzione di frutta e verdura e l?incidenza di ictus in una meta-analisi di studi di coorte.

Otto studi, che descrivevano 9 coorti indipendenti, hanno incontrato i criteri di inclusione.
La popolazione di questi studi era costituita da 257.551 soggetti con 4.917 eventi ictali.

Il periodo di follow-up ( osservazionale ) medio ? stato di 13 anni.

Rispetto ai soggetti con meno di 3 porzioni di frutta e verdura al giorno, il rischio relativo pooled ( raggruppato ) di ictus ? stato 0.89 per coloro che hanno assunto da 3 a 5 porzioni al giorno, e 0.74 per coloro che, invece, hanno assunto pi? di 5 porzioni al giorno.

L?analisi dei sottogruppi ha mostrato che la frutta e la verdura presentano un significativo effetto protettivo riguardo all?ictus emorragico e all?ictus ischemico.

I risultati dello studio forniscono sostegno alle raccomandazioni di consumare pi? di 5 porzioni di frutta e verdura al giorno con l?obiettivo di ridurre l?incidenza di ictus.

Fonte: Lancet

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Deficit di GH non necessita terapia con altezza et? adulta

Non ? necessario trattare gli adolescenti con deficit di GH quando raggiungono l’altezza dell’et? adulta.
Il trattamento di questi soggetti rimane una sfida: ricerche estensive sugli effetti del deficit di GH e della relativa terapia sostitutiva sulla qualit? della vita nell’adolescenza e nella prima et? adulta hanno portato a risultati equivoci, specialmente per quanto riguarda i pazienti trattati per deficit di GH con insorgenza durante l’infanzia.
I pazienti con deficit di GH trattati durante l’infanzia possono presentare densit? ossea, composizione corporea, funzionalit? cardiaca, forza muscolare e metabolismo glicidico e lipidico normali, come anche una normale qualit? della vita quando raggiungono un’altezza adulta.
La prosecuzione della terapia sostitutiva per due anni non cambia questi parametri, e quindi tale terapia pu? essere sospesa in sicurezza all’atto della fusione epifiseale.
Un monitoraggio attento dovrebbe determinare quando si sviluppi la sindrome da deficit di GH in et? adulta e se debba essere istituita una terapia sostitutiva.
Se e quando il fenotipo del deficit di GH in et? adulta viene identificato, pu? essere riconsiderata l’ipotesi di una ripresa della terapia, ma l’intervallo di tempo in cui ci? accade dipende dal singolo paziente, dalla gravit? del deficit del GH, dal livello di forma fisica del paziente o anche dalle dosi di ormone assunte in precedenza.
Pertanto, il trattamento del deficit di GH nell’adolescente in transizione dovrebbe essere individualizzato.
(J Clin Endocr Metab online 2005, pubblicato il 26/4)

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Aldosteronismo primario aumenta rischio cardiovascolare

Indipendentemente dalla pressione, i pazienti con aldosteronismo primario presentano un aumento del rischio di eventi cardiovascolari rispetto a quelli con ipertensione essenziale.
Oltre all’ipertensione, l’aldosteronismo primario implica ipokaliemia e bassi livelli plasmatici di renina. Precedenti studi avevano suggerito che nell’aldosteronismo primario si possa avere il rimodellamento indipendente dalla pressione del ventricolo sinistro, ed ancora poche sono le complicazioni cardiache connesse a questa condizione.
In base al presente studio, la presenza dell’aldosteronismo primario andrebbe individuata non soltanto per determinare la causa dell’ipertensione, ma anche per prevenire complicazioni cardiovascolari.
Questi nuovi dati sono provocatori, ed indicano potenziali benefici dello screening aggressivo e della prevenzione dell’aldosteronismo nei pazienti a rischio di malattie cardiovascolari.
(J Am Coll Cardiol 2005; 45: 1243-50)

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