Crohn e colite ulcerosa: la scelta dei farmaci biologici

La terapia biologica ha rivoluzionato il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali, ma non tutti i pazienti la richiedono. Ci sono alcuni aspetti che vanno considerati con attenzione: quando iniziarla, quando sospenderla, quale farmaco preferire e come predire la risposta. La selezione dei candidati dipende dalle caratteristiche cliniche, dalle precedenti risposte ad altre terapie mediche e dalle comorbilit?. Al riguardo, durante il recente congresso mondiale di gastroenterologia, sono state fornite risposte dal London position statement, sotto la guida di Geert R. D’Haens, del dipartimento di Gastroenterologia del Centro medico accademico di Amsterdam. Il farmaco che conta il maggior numero di dati clinici ? infliximab, ma anche altre molecole (adalimumab, certolizumab pegol e natalizumab) sembrano in grado di garantire benefici sovrapponibili. Un morbo di Crohn refrattario agli steroidi, steroide-dipendente o con fistole complicate sono indicazioni per iniziare la terapia biologica dopo il drenaggio chirurgico di ogni tipo di sepsi. Per il morbo di Cronh con fistole, l’efficacia di infliximab nell’indurne la chiusura ? quella meglio documentata. I pazienti che rispondono alla terapia di induzione traggono i maggiori benefici da un nuovo trattamento sistematico. La combinazione di infliximab e azatioprina ? pi? efficace della monoterapia per indurre remissione e guarigione mucosale fino a un anno in pazienti na?ve nei confronti di entrambi i farmaci. Infliximab ? efficace anche nella colite ulcerosa refrattaria al trattamento, moderata o grave. In pazienti che vanno incontro alla diminuzione o alla perdita di risposta alla terapia con i farmaci anti-Tnf (fattore di necrosi tumorale) si pu? modificare il dosaggio del medesimo farmaco oppure passare a un’altra molecola. I dati a disposizione, infine, non sono sufficienti per dare raccomandazioni su quando ? meglio interrompere la terapia anti-Tnf.

Am J Gastroenterol, 2010 Nov 2. [Epub ahead of print]

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I benefici della colonscopia sono sito-specifici

Nella provincia canadese di Manitoba, le colonscopie riducono la mortalit? per cancro colorettale (Crc) in modo statisticamente significativo ma il beneficio dell’esame non ? uniforme e dipende molto dalla localizzazione del tumore. La pubblicazione su Gastroenterology, a opera di Harminder Singh e collaboratori della university of Manitoba Ibd clinical and research centre di Winnipeg, riguarda uno studio effettuato su pi? di 50mila uomini e donne che si sono sottoposti a endoscopia gastrointestinale nel corso di un periodo di 20 anni. La mortalit? per Crc dopo l’effettuazione della colonscopia indice ? stata confrontata con quella della popolazione generale attraverso i rapporti standardizzati di mortalit?. Il lavoro canadese ha evidenziato che la colonscopia determina una riduzione del 29% nella mortalit? globale per Crc, del 47% nella mortalit? per Crc distale e nessuna riduzione di mortalit? per Crc del tratto prossimale del colon. Un ulteriore dato ? che il beneficio in termini di riduzione della mortalit? nei casi di Crc distale permane significativo nel corso di un follow-up di 10 anni.

Gastroenterology, 2010; 139(4):1128-37

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Steatosi non alcoliche: esiste un legame tra fegato e pancreas

La steatosi epatica non alcolica (Nafld) ? correlata alla steatosi pancreatica non alcolica (Ps). Questa relazione sembra essere mediata dall’obesit?. Inoltre il grasso intralobulare pancreatico ? associato alla steatoepatite non alcolica (Nash). Sono le conclusioni di Erwin-Jan M. Geenen, del dipartimento di Gastroenterologia ed epatologia del Centro medico universitario di Amsterdam, e collaboratori, autori di uno studio condotto su materiali raccolti post-mortem di 80 pazienti, i cui dati clinici e istologici sono stati ricercati e riesaminati. Non sono stati inclusi nell’analisi soggetti con malattia epatica o pancreatica ma con storia di potus. Per attribuire un grado istologico di malattia al fegato si ? usato il Fatty liver disease activity score, mentre la valutazione della gravit? della Ps ? stata effettuata mediante Pancreatic lipomatosis score. Per analizzare le correlazioni si ? ricorso alla regressione logistica ordinale. Il grasso pancreatico, sia interlobulare sia totale, ? apparso correlato al punteggio di attivit? Nafld nei pazienti non in trattamento con farmaci steatogeni; quando veniva applicata una correzione per l’indice di massa corporea, per?, non si poteva riscontrare alcuna correlazione. Il grasso pancreatico totale si ? dimostrato un fattore predittivo significativo per la presenza di Nafld, mentre il grasso pancreatico intralobulare, ma non quello totale, ? risultato correlato alla Nash.

Pancreas, 2010 Sep 23. [Epub ahead of print]

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Dolore colonscopia utile a diagnosi intestino irritabile

La percezione del dolore durante una colonscopia pu? essere utile ai fini della diagnosi differenziale tra la sindrome dell’intestino irritabile (Ibs) e altre patologie gastroenteriche. Il grado di percezione algica nel corso dell’esame, infatti, risulta pi? alto nei pazienti Ibs rispetto ai soggetti affetti da malattie non-Ibs; un ulteriore beneficio dell’indagine consiste nella possibilit? di poter contestualmente escludere patologie organiche a carico del tratto gastrointestinale inferiore. Lo segnala uno studio condotto da Eun Soo Kim e collaboratori della Scuola universitaria di medicina Keimyung di Daegu (Corea) su 217 soggetti suddivisi in un primo gruppo affetto da Ibs, un secondo interessato da altri disordini gastroenterici funzionali (Fgid) come gonfiore, diarrea e costipazione, e un terzo composto da controlli sani. Tutti i pazienti hanno completato i questionari previsti dai criteri di Roma III e riportato l’intensit? del dolore dopo colonscopia attraverso il punteggio 0-100 mm delle scale analogiche visuali. I punteggi del dolore dei pazienti Ibs (in mediana 52) sono risultati maggiori rispetto ai controlli sani (22) o ai pazienti Fgid (18). I sintomi del tratto gastrointestinale superiore sono stati osservati pi? spesso nel gruppo Ibs rispetto ai pazienti non-Ibs (83,2% vs 34,5%). A fronte di un punteggio pari a 31 dello score del dolore, la sensibilit?, la specificit?, il valore predittivo positivo e quello negativo si sono attestati, rispettivamente, sull’86,1%, 75,9%, 75,7% e 86,3%.

J Gastroenterol Hepatol, 2010; 25(7):1232-8

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Calprotectina fecale utile per screening Ibd

Il test per la calprotectina fecale rappresenta un utile mezzo per lo screening dei pazienti che, con maggiore probabilit?, avranno bisogno di un’endoscopia per una sospetta malattia infiammatoria intestinale (Ibd). Il potere discriminante del test nell’escludere in modo sicuro l’infiammazione ? per? significativamente migliore negli adulti che nei bambini. ? l’esito di una metanalisi condotta da Patrick F. van Rheenen, Els Van der Vijver e Vaclav Fidler del Centro medico universitario di Groningen (Olanda) con lo scopo di verificare se l’impiego di un marker sensibile di flogosi intestinale potesse ridurre il numero di endoscopie non necessarie. Sono stati selezionati da Medline ed Embase 13 studi, dei quali sei svolti su adulti (n=670) e sette in bambini e teenager (n=371). L’Ibd ? stata confermata endoscopicamente nel 32% (n=215) degli adulti e nel 61% (n=226) dei pi? giovani. Negli studi condotti sugli adulti, la sensibilit? e la specificit? congiunte della calprotectina sono risultate pari a 0,93 e 0,96, mentre in quelli effettuati sui bambini si sono attestate a 0,92 e 0,76. Il valore inferiore di specificit? riscontrato nei pi? giovani ? apparso significativamente differente rispetto a quello rilevato negli adulti (P=0,048). Secondo glii autori, lo screening mediante misura dei livelli fecali di calprotectina determinerebbe una riduzione del 67% nel numero di persone adulte che necessiterebbero di un’endoscopia. Il rovescio della medaglia di questa strategia potrebbe essere una ritardata diagnosi nel 6% degli adulti a causa di un falso negativo del test. Nella popolazione dei ragazzi, invece, su 100 candidati all’endoscopia solo 65 dovrebbero eseguirla. Nove di essi non dovrebbero avere Ibd e la diagnosi potrebbe risultare ritardata nell’8% dei bambini malati.

BMJ, 2010; 341:c3369

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Ulcera peptica, con i Ppi non ? questione di dosi

Dopo trattamento endoscopico, nei pazienti con ulcera peptica sanguinante l’impiego degli inibitori di pompa protonica (Ppi) ad alto dosaggio, rispetto alle dosi non elevate, non riduce ulteriormente i tassi di risanguinamento, ricorso alla chirurgia o mortalit? dopo trattamento endoscopico. L’osservazione, pubblicata da Chih-Hung Wang e collaboratori dell’Ospedale nazionale universitario e del Collegio nazionale universitario medico di Taiwan, a Taipei, che hanno effettuato una revisione sistematica con metanalisi dei dati di 1.157 pazienti con ulcera peptica sanguinante arruolati in 7 studi clinici randomizzati di alta qualit? che hanno confrontato l’impiego di dosi elevate o non elevate di Ppi: per dosi elevate si intende un bolo di 80 mg seguito dall’infusione continua di 8 mg/ora per 72 ore. La meta-analisi ha chiarito in primo luogo che gli effetti sui tassi di risanguinamento non differiscono in base alla quantit? delle dosi utilizzate, definite come elevate e non elevate (Or 1,30); non sono emerse differenze anche per quanto concerne il ricorso alla chirurgia (Or 1,49) o la mortalit? (Or 0,89). Una successiva analisi ad hoc per sottogruppo ha infine mostrato che le misure degli outcome non erano influenzate dalla gravit? dei segni di un’emorragia recente all’esame endoscopico iniziale, dalla via di somministrazione o dalla dose di Ppi.

Arch Intern Med, 2010; 170(9):751-8

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Lattosio, revisione delle dosi massime

La maggior parte delle persone con presunto malassorbimento o intolleranza al lattosio pu? tollerare l’assunzione di 12-15 grammi di zucchero. Allo stato attuale, per?, sono necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia del trattamento per i casi reali di intolleranza al lattosio. Queste le conclusioni cui sono giunti Aasna Shaukat, dell’university of Minnesota school of public health di Minneapolis, e collaboratori, dopo aver effettuato una revisione sistematica degli studi randomizzati controllati in lingua inglese che hanno coinvolto pazienti con malassorbimento o intolleranza al lattosio, pubblicati nel periodo compreso tra il 1967 e il 2009. La revisione, l’estrazione dei dati e la valutazione della qualit? degli studi si sono basate sul lavoro indipendente di tre ricercatori. In totale 36 studi randomizzati hanno soddisfatto i criteri di inclusione della review: di questi 26 studi riguardavano integratori di lattasi, latte idrolizzato, prodotti con lattosio rimosso per ultrafiltrazione e soluzioni private di lattosio, sette i probiotici, due la somministrazione di lattosio a dosi incrementali per favorire l’adattamento del colon, e uno l’impiego dell’antibiotico rifaximina. Il primo dato emerso dall’analisi ? che dosi di 12-15 grammi di lattosio, equivalenti a un bicchiere di latte, sono ben tollerate dalla maggior parte dei soggetti adulti esaminati. L’evidenza a supporto dell’efficacia nella riduzione dei sintomi del latte o delle soluzioni a ridotto contenuto di lattosio (0-2 grammi), ? stata giudicata insufficiente una volta confrontata con dosi di lattosio superiori a 12 grammi. Le evidenze di efficacia sono insufficienti anche per probiotici, adattamento del colon e altri agenti. Lo studio riconosce alcuni limiti, tra cui il fatto che la maggior parte degli studi ha arruolato pazienti con malassorbimento piuttosto che intolleranza al lattosio. L’articolo ? liberamente consultabile in full-text sul sito di Annals of internal medicine.

Ann Intern Med, 2010 Apr 19. [Epub ahead of print]

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Prognosi della colite ischemica non post-operatoria

I pazienti affetti da colite ischemica (Ic) non post-operatoria con disfunzione renale sono caratterizzati da differenti profili clinici, ma il sesso maschile e la presenza di disfunzione renale aumentano il rischio di esiti avversi; sebbene la malattia sia spesso autolimitante, ? opportuno in questi casi prestare una particolare attenzione al paziente e adottare una terapia aggressiva. Queste informazioni sui fattori predittivi degli outcome sfavorevoli di Ic? non post-operatoria scaturiscono da un’analisi retrospettiva condotta da Tsung-Chun Lee, dell’Universit? nazionale di Taiwan a Taipei, e collaboratori, su 28 uomini e 52 donne (et? media: 66 anni) con diagnosi di Ic comprovata mediante biopsia, in assenza di pregressa chirurgia. Nove pazienti con valori di velocit? di filtrazione glomerulare inferiore a 30 mL al minuto per 1,73 m2, di cui sette in dialisi, sono stati classificati come affetti da disfunzione renale (gruppo disfunzione renale). Come outcome avversi sono stati considerati la necessit? di fare ricorso alla chirurgia e il decesso. In primo luogo sono emerse alcune differenze tra i pazienti con e senza disfunzione renale. Nei soggetti con deterioramento della funzione renale si sono infatti riscontrati pi? spesso diabete mellito (56% vs 16%) e prolungamento dei sintomi (6,8 vs 3,5 giorni), mentre i livelli di emoglobina sono risultati pi? bassi (11,1 vs 13,4 g/dL) e si ? notato un pi? frequente coinvolgimento del colon destro (56% vs 19%). In questi pazienti, inoltre, il ricovero in ospedale ? apparso in mediana pi? lungo rispetto ai casi senza disfunzione renale (15 vs 4 giorni). Tra i due gruppi, per?, non ? stata evidenziata una differenza significativa degli outcome avversi. Tuttavia, l’analisi univariata ha segnalato alcuni fattori predittivi di esito negativo, tra cui la disfunzione renale e il sesso. L’analisi multivariata ha infine confermato che il sesso maschile e la disfunzione renale comportano un rischio rispettivamente 9,5 volte e 8,5 volte maggiore di sviluppare esiti sfavorevoli.

Journal of Clinical Gastroenterology, 2010; 44:e96-e100

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Sintomi addominali, due test migliori per la celiachia

Tra i pazienti che afferiscono alla medicina generale con sintomi addominali, e che nella maggior parte dei casi non risulteranno affetti da celiachia, occorre evitare esami diagnostici inutili: in tal senso occorre ribadire che i test per la ricerca degli anticorpi IgA anti-transglutaminasi tissutale e anti-endomisio sono dotati di elevate specificit? e sensibilit?. ? quanto risulta da una revisione sistematica della letteratura disponibile fino al dicembre 2009 su Medline ed Embase a partire rispettivamente dal gennaio 1966 e dallo stesso mese del 1947, effettuata da Danielle van der Windt e collaboratori dell’Arthritis research Uk National primary care centre dell’universit? di Keele, nello Staffordshire (Regno Unito). Gli studi selezionati, nei quali emergeva una prevalenza di morbo celiaco non superiore al 15%, si riferivano esclusivamente a pazienti adulti con sintomi addominali non acuti. In totale l’analisi si ? basata su 16 studi, per un totale di 6.085 pazienti. Gli otto studi che hanno preso in considerazione i test per gli anticorpi IgA anti-endomisio hanno evidenziato nel complesso una sensibilit? pari a 0,90 e una specificit? di 0,99. Per quanto riguarda invece sensibilit? e specificit? dei test per gli anticorpi IgA anti-transglutaminasi tissutale, valutate in sette studi, i valori si sono attestati rispettivamente su 0,89 e 0,98. I test degli anticorpi IgA e IgG anti-gliadina hanno ottenuto risultati molto variabili, specialmente sotto il profilo della sensibilit?, il cui valore spazia in un range compreso tra 0,46-0,87 e 0,25-0,93, rispettivamente. Gli autori segnalano infine che, in un recente studio, i peptidi deamidati della gliadina hanno mostrato una buona specificit? (≥0,94) anche se l’evidenza nella popolazione target considerata dalla review ? ancora limitata.

JAMA, 2010; 303:1738-46

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Nel Ca gastrico meglio la linfoadenectomia estesa

Meglio la linfoadenectomia estesa (D2) dell’approccio standardizzato limitato (D1): a distanza di anni dall’intervento di resezione del cancro gastrico, la prima tecnica risulta superiore in termini di recidive locoregionali e morti associate al tumore. Lo studio D1D2 che ha accertato la superiorit? di D2 ? stato eseguito da Ilfet Songun del Leiden University Medical Centre (Olanda) e collaboratori su una casistica di 1.078 pazienti, di cui 996 eleggibili, con adenocarcinoma confermato istologicamente in assenza di metastasi e in condizioni tali da poter essere sottoposti a D1 o D2. Il trattamento curativo D1 o D2 ? stato assegnato a 711 pazienti e 285 hanno avuto una terapia palliativa. I dati sono stati raccolti retrospettivamente e riguardano un periodo di follow-up mediano di 15,2 anni. Al termine dei 15 anni, il 25% dei pazienti dei gruppi sottoposti a D1 o D2 era ancora vivo. La D2 ? risultata superiore a D1 in termini di sopravvivenza (29% vs 21%) mentre la morte correlata al cancro ? apparsa maggiore in D1 (48% vs 37%). Pi? numerose le recidive locali in D1 (22%) rispetto a D2 (12%). La tecnica estesa ? per? gravata da una maggiore mortalit? post-operatoria, e da un tasso pi? elevato di complicazioni e di re-intervento. Secondo gli autori, per?, la recente disponibilit? di tecniche di linfoadenectomie pi? sicure e meglio tollerate dal paziente deve orientare verso l’impiego di D2 nel cancro gastrico resecabile.
The Lancet, Early Online Publication, 20 aprile 2010

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