Esofagite da reflusso: comune fermentazione tratto digerente

La fermentazione all’interno del tratto digerente pu? essere un fattore di rischio per lo sviluppo dell’esofagite da reflusso. I carboidrati vengono fermentati da batteri saccarolitici che producono acidi grassi a catena corta (SFCA), idrogeno e CO2: vi sono prove che ci? possa svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione di alcune malattie. L’elevata concentrazione di idrogeno e metano nel tratto digerente suggerisce che la fermentazione sul posto continua per molto tempo, e che durante il periodo notturno potrebbe probabilmente intervenire il rilassamento dello sfintere esofageo inferiore. L’esofagite da reflusso potrebbe dunque trarre beneficio da probiotici che possano alterare la composizione della microflora colonica, antibiotici che ne riducano le dimensioni ed infine dall’evitare di assumere fibre insolubili in tarda notte.

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Esofagite da reflusso: comune fermentazione tratto digerente

La fermentazione all’interno del tratto digerente pu? essere un fattore di rischio per lo sviluppo dell’esofagite da reflusso. I carboidrati vengono fermentati da batteri saccarolitici che producono acidi grassi a catena corta (SFCA), idrogeno e CO2: vi sono prove che ci? possa svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione di alcune malattie. L’elevata concentrazione di idrogeno e metano nel tratto digerente suggerisce che la fermentazione sul posto continua per molto tempo, e che durante il periodo notturno potrebbe probabilmente intervenire il rilassamento dello sfintere esofageo inferiore. L’esofagite da reflusso potrebbe dunque trarre beneficio da probiotici che possano alterare la composizione della microflora colonica, antibiotici che ne riducano le dimensioni ed infine dall’evitare di assumere fibre insolubili in tarda notte.

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Esofagite da reflusso: comune fermentazione tratto digerente

La fermentazione all’interno del tratto digerente pu? essere un fattore di rischio per lo sviluppo dell’esofagite da reflusso. I carboidrati vengono fermentati da batteri saccarolitici che producono acidi grassi a catena corta (SFCA), idrogeno e CO2: vi sono prove che ci? possa svolgere un ruolo chiave nella prevenzione e nella gestione di alcune malattie. L’elevata concentrazione di idrogeno e metano nel tratto digerente suggerisce che la fermentazione sul posto continua per molto tempo, e che durante il periodo notturno potrebbe probabilmente intervenire il rilassamento dello sfintere esofageo inferiore. L’esofagite da reflusso potrebbe dunque trarre beneficio da probiotici che possano alterare la composizione della microflora colonica, antibiotici che ne riducano le dimensioni ed infine dall’evitare di assumere fibre insolubili in tarda notte.

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Malattie infiammatorie intestinali: incrementati recettori mu per gli oppioidi

L’espressione del recettore mu per gli oppioidi risulta aumentata nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali attive, ed il trattamento con oppioidi sembra in grado di ridurre l’infiammazione. Dati di studi su animali avevano suggerito per primi un ruolo per il recettore mu nell’infiammazione del colon. I risultati di questo e dei precedenti studi suggeriscono che questa espansione recettoriale abbia un effetto benefico sull’accelerazione del transito intestinale e su gravit? e durata del processo infiammatorio. Tali risultati sollevano la possibilit? di nuove opzioni terapeutiche, ma anche nuove domande sulla correlazione fra uso di narcotici e storia naturale delle malattie infiammatorie intestinali.

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I beta-bloccanti non prevengono le varici gastroesofagee nei pazienti con cirros

I beta-bloccanti non-selettivi riducono la pressione portale e prevengono l?emorragia da varici.

L?obiettivo dello studio condotto da Ricercatori del Portal Hypertension Collaborative Group ? stato quello di verificare l?efficacia dei beta-bloccanti nel prevenire le varici.

Un totale di 213 pazienti con cirrosi ed ipertensione portale ( gradiente di pressione venosa epatica minima di 6 mmHg ) ? stato assegnato in modo random a ricevere Timololo ( Blocadren ) ( n = 108 ), un beta-bloccante non-selettivo, oppure placebo ( n = 105 ) .

L?end point primario era rappresentato dallo sviluppo di varici gastroesofagee o emorragie da varici.

Nel corso del periodo osservazionale di 54.9 mesi non ? stata osservata alcuna differenza significativa nell?end point primario tra i pazienti trattati con Timololo e quelli del gruppo placebo ( 39% versus 40%, rispettivamente; p = 0.89 ) e neppure riguardo all?incidenza di ascite, encefalopatia, trapianto di fegato o morte.

Gravi reazioni avverse sono risultate pi? comuni tra i pazienti del gruppo Timololo rispetto a quelli trattati con placebo ( 18% versus 6%; p = 0.006 ).

Le varici si sono sviluppate meno frequentemente tra i pazienti con un gradiente di pressione venosa epatica inferiore a 10mmHg ed in coloro il cui gradiente ? diminuito pi? del 10% ad 1 anno.
Lo sviluppo di varici ? stato invece pi? frequente tra coloro il cui gradiente ? aumentato pi? del 10% ad 1 anno.

Questo studio ha dimostrato che i beta-bloccanti non-selettivi sono inefficaci nel prevenire le varici nei pazienti, non selezionati, con cirrosi ed ipertensione portale.

Groszmann RJ et al, N Engl J Med 2005; 353: 2254-2261

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Promettenti risultati per il Natalizumab nel trattamento della malattia di Crohn

Due studi clinici hanno mostrato che Natalizumab ( Tysabri ), un anticorpo monoclonale anti-integrina-alfa4, pu? avere una certa efficacia nei pazienti con malattia di Crohn.

Il Tysabri ? un farmaco che ? stato sviluppato per la sclerosi multipla.
Nel corso di studi clinici 3 pazienti in trattamento con Natalizumab hanno sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva. Due di questi pazienti sono morti.

Biogen Idec ed Elan Pharmaceuticals, le due societ? che commercializzavano il farmaco, lo hanno ritirato dal mercato per motivi precauzionali.

L?effetto del Natalizumab ? stato valutato anche nei pazienti con malattia di Crohn.

Nel primo studio ENACT-1, 905 pazienti sono stati assegnati in modo random a trattamento con Natalizumab oppure placebo, nell?arco di 10 settimane.

Non sono state osservate differenze tra i due gruppi riguardo alla risposta e alla remissione della malattia.

Nel secondo studio, ENACT-2, 339 pazienti, che avevano presentato una risposta nel primo studio, hanno ricevuto Natalizumab o placebo, ogni 4 settimane per 1 anno.
I pazienti trattati con l?anticorpo monoclonale hanno presentato una maggiore risposta sostenuta ( 61% versus 28% del placebo ) e remissione ( 44% versus 26% del placebo ).

Nel corso della fase di eastensione, un paziente trattato con Natalizumab ha sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva ed ? morto.

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2005

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Promettenti risultati per il Natalizumab nel trattamento della malattia di Crohn

Due studi clinici hanno mostrato che Natalizumab ( Tysabri ), un anticorpo monoclonale anti-integrina-alfa4, pu? avere una certa efficacia nei pazienti con malattia di Crohn.

Il Tysabri ? un farmaco che ? stato sviluppato per la sclerosi multipla.
Nel corso di studi clinici 3 pazienti in trattamento con Natalizumab hanno sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva. Due di questi pazienti sono morti.

Biogen Idec ed Elan Pharmaceuticals, le due societ? che commercializzavano il farmaco, lo hanno ritirato dal mercato per motivi precauzionali.

L?effetto del Natalizumab ? stato valutato anche nei pazienti con malattia di Crohn.

Nel primo studio ENACT-1, 905 pazienti sono stati assegnati in modo random a trattamento con Natalizumab oppure placebo, nell?arco di 10 settimane.

Non sono state osservate differenze tra i due gruppi riguardo alla risposta e alla remissione della malattia.

Nel secondo studio, ENACT-2, 339 pazienti, che avevano presentato una risposta nel primo studio, hanno ricevuto Natalizumab o placebo, ogni 4 settimane per 1 anno.
I pazienti trattati con l?anticorpo monoclonale hanno presentato una maggiore risposta sostenuta ( 61% versus 28% del placebo ) e remissione ( 44% versus 26% del placebo ).

Nel corso della fase di eastensione, un paziente trattato con Natalizumab ha sviluppato leucoencefalopatia multifocale progressiva ed ? morto.

Fonte: The New England Journal of Medicine, 2005

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L?alcol non ha effetto sulla replicazione del virus dell?epatite C

I pazienti con infezione da virus dell?epatite C ( HCV ) che assumono alte quantit? di alcol presentano una forma pi? grave di malattia epatica rispetto ai pazienti con HCV senza una storia di consumo di alcol.

Il meccanismo mediante il quale l?alcol peggiora la malattia epatica da HCV non ? completamente noto.

Si ritiene che l?alcol stimoli la replicazione di HCV.

Ricercatori dei Veterans Affairs Medical Center di Houston hanno compiuto una meta-analisi che ha valutato l?effetto dell?alcol sulle concentrazioni virali.

Sono stati identificati 14 studi.

Il confronto tra i pazienti con il pi? alto consumo di alcol ed il gruppo di astemi ha mostrato una significativa associazione con il carico virale in 3 studi; in 5 studi si ? osservato un trend positivo, mentre nei rimanenti 4 studi una relazione negativa.

L?analisi dei risultati combinati non ha mostrato nessuna associazione tra assunzione di alcol e livelli virali.

La valutazione della quantit? di alcol non ha mostrato significative differenze tra i non-bevitori ed i bevitori moderati, tra i non-bevitori ed i forti bevitori o tra i bevitori moderati ed i forti bevitori.

Questa meta-analisi non ha mostrato alcuna associazione tra il consumo di alcol e le concentrazioni virali di HCV.

Queste osservazioni forniscono sostegno alla tesi che il danno epatico causato dall?alcol e dal virus dell?epatite C possa essere additivi.

Anand BS, Thornby J, Gut 2005; 54: 1468-1472

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Il latte di mucca non ? la causa della maggior parte delle sindromi gastrointest

Uno studio, compiuto da Ricercatori finlandesi, ha esaminato i disturbi gastrointestinali associati al cibo e, in modo particolare, quelli correlati al latte di mucca, in una popolazione di giovani adulti.

Un totale di 827 soggetti di et? compresa tra 16 e 21 anni ha compilato un questionario sui sintomi gastrointestinali associati al cibo.
Di questi, 49 soggetti sintomatici sono stati sottoposti ad esame clinico e 12, la cui sintomatologia ? stata definita grave, ad esame endoscopico.

Quasi il 10% dei soggetti ( 70/86 ) aveva presentato gravi sintomi gastrointestinali, principalmente associati al cibo, nell?anno precedente.

In 2 pazienti sintomatici ? stata riscontrata malattia organica specifica: un caso di malattia celiaca ed uno di colite.

Il risultato del test di tolleranza al lattosio ? risultato positivo per 16 dei rimanenti 47 soggetti sintomatici, ma solo 4 erano portatori del genotipo C/C ( -13910 ) per l?ipolattasia di tipo adulto.

I soggetti con sintomatologia gastrointestinale avevano ridotto il consumo di determinati cibi, soprattutto del latte di mucca.
Un test in cieco ha mostrato che i sintomi indotti dal latte di mucca erano rari in questa popolazione.

I soggetti sintomatici presentavano pi? alti livelli plasmatici della molecola di adesione intercellulare-1 solubile ( ICAM-1 ) e pi? basse concentrazioni di granzima A, rispetto ai soggetti di controllo.

L?esame dei campioni dei soggetti con sintomatologia gastrointestinale, ottenuti mediante biopsia duodenale, ha mostrato una pi? alta conta di cellule CD3 (+) intraepiteliali, una pi? alta espressione del fattore TGF-beta ( fattore di crescita trasformante-beta ) e dell?RNA messaggero IL-12p35, sempre rispetto ai controlli.

I dati dello studio hanno indicato che in una coorte di giovani adulti non selezionati, l?incidenza di sintomi gastrointestinali associati al cibo ? pari all?8%.
L?individuazione di attivit? immunologia implica l?esistenza di una sindrome gastrointestinale associata al cibo, ma non indotta dal latte di mucca.

Paajanen L et al, Am J Clin Nutr 2005; 82: 1327-1335

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Il latte di mucca non ? la causa della maggior parte delle sindromi gastrointest

Uno studio, compiuto da Ricercatori finlandesi, ha esaminato i disturbi gastrointestinali associati al cibo e, in modo particolare, quelli correlati al latte di mucca, in una popolazione di giovani adulti.

Un totale di 827 soggetti di et? compresa tra 16 e 21 anni ha compilato un questionario sui sintomi gastrointestinali associati al cibo.
Di questi, 49 soggetti sintomatici sono stati sottoposti ad esame clinico e 12, la cui sintomatologia ? stata definita grave, ad esame endoscopico.

Quasi il 10% dei soggetti ( 70/86 ) aveva presentato gravi sintomi gastrointestinali, principalmente associati al cibo, nell?anno precedente.

In 2 pazienti sintomatici ? stata riscontrata malattia organica specifica: un caso di malattia celiaca ed uno di colite.

Il risultato del test di tolleranza al lattosio ? risultato positivo per 16 dei rimanenti 47 soggetti sintomatici, ma solo 4 erano portatori del genotipo C/C ( -13910 ) per l?ipolattasia di tipo adulto.

I soggetti con sintomatologia gastrointestinale avevano ridotto il consumo di determinati cibi, soprattutto del latte di mucca.
Un test in cieco ha mostrato che i sintomi indotti dal latte di mucca erano rari in questa popolazione.

I soggetti sintomatici presentavano pi? alti livelli plasmatici della molecola di adesione intercellulare-1 solubile ( ICAM-1 ) e pi? basse concentrazioni di granzima A, rispetto ai soggetti di controllo.

L?esame dei campioni dei soggetti con sintomatologia gastrointestinale, ottenuti mediante biopsia duodenale, ha mostrato una pi? alta conta di cellule CD3 (+) intraepiteliali, una pi? alta espressione del fattore TGF-beta ( fattore di crescita trasformante-beta ) e dell?RNA messaggero IL-12p35, sempre rispetto ai controlli.

I dati dello studio hanno indicato che in una coorte di giovani adulti non selezionati, l?incidenza di sintomi gastrointestinali associati al cibo ? pari all?8%.
L?individuazione di attivit? immunologia implica l?esistenza di una sindrome gastrointestinale associata al cibo, ma non indotta dal latte di mucca.

Paajanen L et al, Am J Clin Nutr 2005; 82: 1327-1335

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