Endometriosi, pericolo per alcuni sottotipi di ca ovarico

19 Mag 2012 Ginecologia

«I clinici dovrebbero essere consapevoli dell’aumentato rischio assunto da alcune tipologie di tumore ovarico nelle donne affette da endometriosi e i ricercatori dovranno cercare di comprendere i meccanismi che portano alla trasformazione maligna delle cellule». È il commento di un team di studiosi che, sotto la guida di Celeste Leigh Pearce della university of Southern California, ha effettuato un’analisi raggruppata di 13 studi caso-controllo relativi a 7.911 donne con carcinoma invasivo dell’ovaio e 13.226 controlli. Nel gruppo controllo e in quello con tumore, 818 e 738 donne, rispettivamente, hanno riferito una storia di endometriosi. Nell’analisi sono state incluse anche 1.907 donne con cancro ovarico borderline, e 168 di queste hanno riferito anch’esse pregresse manifestazioni di endometriosi. L’endometriosi auto-riportata si è associata – nei casi rispetto ai controlli – a un rischio significativamente aumentato di cancro ovarico a cellule chiare, sieroso a basso grado, e invasivo endometrioide. Non si è invece notata alcuna associazione tra endometriosi e rischio di carcinoma ovarico mucinoso o sieroso invasivo ad alto grado o borderline di entrambi i sottotipi (sieroso e mucinoso).

Lancet Oncol, 2012 Feb 21. [Epub ahead of print]


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Cesarei, più complicanze nelle gravidanze successive

12 Mag 2012 Ginecologia

Le donne che partoriscono il loro primo bambino con un parto cesareo sono a maggior rischio di complicanze nelle gravidanze successive. Lo rivela uno studio condotto da Sherri Jackson, del Cedars-Sinai medical center di Los Angeles (Usa), e collaboratori, sui dati relativi a 24.839 donne, tratti dalla Danish national birth cohort (Dnbc). A fronte di un ricorso al parto cesareo che in molti paesi, come gli Stati Uniti, costituisce un fenomeno in crescita, questo studio è solo il più recente di una serie di approfondimenti che segnalano le numerose problematiche che si associano al parto non vaginale. Dopo un aggiustamento statistico per età, indice di massa corporea, consumo di alcool, abitudine al fumo e condizioni socio-economiche, i ricercatori hanno calcolato l’aumento di rischio delle 3.340 donne con precedente parto cesareo rispetto alle 21.499 che avevano partorito in modo naturale. Nei parti successivi il maggior rischio di anemia è stato quantificato con un odds ratio (Or) di 2,8 laddove il distacco intempestivo di placenta si è associato a un Or di 2,3, la rottura di utero di 268 e l’isterectomia di 28,8. «Il numero assoluto di questi eventi è stato modesto, di conseguenza gli intervalli di confidenza sono piuttosto ampi» ammettono i ricercatori «ma i risultati sono in linea con i dati di letteratura». La forza di questa ricerca sta nell’aver tenuto conto di numerosi fattori confondenti, seguito nel tempo le partecipanti e verificato tutte le eventuali complicazioni attraverso un sistema evoluto di registro ospedaliero.

Am J Obstet Gynecol, 2012; 206(2):139.e1-5

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Diabete gravidico e ovaio policistico: più rischi

Le donne con sindrome dell’ovaio policistico (Pcos), se sviluppano diabete gestazionale (Gdm), hanno in seguito un rischio maggiore di andare incontro a una persistente alterazione del metabolismo glucidico. Lo dimostra uno studio prospettico caso-controllo condotto da Stefano Palomba, dell’università Magna Grecia di Catanzaro, su 42 donne gravide affetta da Pcos e Gdm, e su un gruppo controllo formato da 84 donne gravide con Gdm ma senza iperandrogenismo biochimico, policistosi ovarica e oligoanovulazione. I casi e i controlli sono stati messi in correlazione (in rapporto 1:2) per età e indice di massa corporea (Bmi). I profili glicemici sono stati studiati in tutte le partecipanti 6 e 12 settimane dopo il parto, poi ancora 18 mesi dopo. Sono stati quindi calcolati l’incidenza e il rischio relativo (Rr) di persistenza complessiva di un pattern glicemico anormale, così come di ogni specifica alterazione (ridotta tolleranza al glucosio, alterata glicemia a digiuno, diabete mellito). Trascorsi 18 mesi dal parto, le incidenze di alterata glicemia a digiuno, ridotta tolleranza al glucosio e di entrambi i parametri sono state significativamente più alte nei casi rispetto ai controlli. Al follow-up di 18 mesi, l’Rr di un outcome composito di alterazione del metabolismo glucidico nelle donne con Pcos è risultato di 3,45. 

Diabetes Care, 2012 Feb 14. [Epub ahead of print]

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Aborti spontanei ricorrenti, in causa autoanticorpi tiroidei

Gli autoanticorpi tiroidei (Ata), e in particolare quelli antitireoglobulina (Tg-Ab), sono associati ad aborto spontaneo ricorrente e possono essere espressione di una più generale anomalia del sistema immunitario materno che porta alla perdita del feto, ovvero potrebbero svolgere un ruolo nell’aborto ricorrente in modo indipendente dallo stato ormonale tiroideo. Sono i dati che emergono da un studio caso-controllo – condotto su 160 donne con pregressi aborti spontanei e 100 donne sane – da Carlo Ticconi e collaboratori dell’Università Tor Vergata di Roma, inseme a colleghi dell’Università Cattolica del S. Cuore di Roma. In tutte le partecipanti è stata valutata, sia mediante chemiluminescenza sia mediante radioimmunometria, la presenza di Ata, e in particolare dei Tg-Ab, degli autoanticorpi diretti contro la perossidasi tiroidea (Tpo-Ab) e di recettori Tsh (Tshr-Ab). Si sono riscontrati autoanticorpi tiroidei in 46 donne (28,75%) con aborti ricorrenti e in 13 donne (13%) del gruppo controllo. Le frequenze per Tg-Ab e Tpo-Ab erano maggiori nel gruppo aborto ricorrente rispetto alle donne di controllo. Tra le donne del gruppo aborto ricorrente, il 91,3% di quelle  positive agli Ata lo erano anche per altri autoanticorpi. La maggior parte delle partecipanti allo studio, comunque, era eutiroidea. 
  
Am J Reprod Immunol, 2011; 66(6):452-9

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Contraccettivi ormonali, cresce rischio trasmissione Hiv

Le donne che assumono contraccettivi ormonali presentano un rischio quasi doppio di acquisire un’infezione da Hiv-1 e di trasmetterla al partner. È quanto emerge da uno studio prospettico – svolto per conto del Prevention Hsv/Hiv transmission study team da Jared M. Baeten, dell’università di Wahington a Seattle – nel quale sono state seguite 3.790 coppie discordanti in 7 Paesi africani. Dall’analisi è emerso che nelle 1.314 coppie nelle quali il partner sieronegativo era di sesso femminile, i tassi di infezione sono risultati essere di 6,61 per 100 persone ogni anno nel gruppo di donne che ricorreva ai contraccettivi ormonali e del 3,78 per 100 in quelle che non lo facevano. Nelle 2.476 coppie, in cui il partner sieronegativo era invece maschio, i tassi di trasmissione dalla donna all’uomo sono stati di 2,61 per 100 persone nel caso di donne che usavano il contraccettivo e di 1,51 per 100 nelle coppie in cui le donne non facevano uso dei farmaci. Per gli autori i dati sottolineano l’importanza del counselling sia sul potenziale rischio di un aumento di infezione e trasmissione per le donne che impiegano contraccettivi ormonali sia sull’efficacia della doppia protezione (preservativo e contraccezione ormonale).

Lancet Infect Dis, 2011 Oct 4. [Epub ahead of print]

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Meglio evitare integratori antiossidanti in gravidanza

20 Dic 2011 Ginecologia

L’impiego di integratori a base di sostanze antiossidanti in gravidanza dovrebbe essere evitato, in quanto pericoloso per il feto. Lo ha affermato a Palermo Giulia Dante, del dipartimento materno-infantile dell’Università di Modena e Reggio-Emilia, nel corso dei lavori dell’87° Congresso nazionale Sigo. «La gravidanza è associata a un aumento della suscettibilità allo stress ossidativo, legato a un disequilibrio tra radicali liberi e scavengers, correlato a sua volta a complicanze quali preeclampsia, minaccia di parto pretermine e ritardo di crescita intrauterino» premette. «Non vi sono però sufficienti evidenze che supportino l’utilità dell’assunzione di antiossidanti, quali le vitamine C ed E, durante la gestazione. Anzi, vari studi randomizzati e controllati, basati sul loro impiego ad alte dosi, ne dimostrano l’assoluta inefficacia preventiva rispetto alla preeclampsia. Un altro studio ha evidenziato la nascita di una maggiore percentuale di feti con ritardo di crescita intrauterino nelle madri che avevano assunto antiossidanti ad alte dosi rispetto a un gruppo placebo. Inoltre un recente trial è stato sospeso a un quarto del numero programmato di arruolamenti in seguito all’aumento dei casi di rottura pretermine delle membrane e di mortalità perinatale nel gruppo trattato con vitamine antiossidanti rispetto al placebo». Tutti questi dati sono stati confermati da una recente review pubblicata sull’American journal of obstetrics & gynecology, dove si segnala anche un accresciuto rischio di ipertensione gestazionale. Recentemente l’interesse si è rivolto su altre due sostanze: il licopene e il coenzima Q10. «I dati preliminari, contenuti in 3 studi, sono contraddittori, e ottenuti in popolazioni molto particolari, come le gravide adolescenti» prosegue Dante. «In ogni caso, sono segnalati importanti effetti avversi associati al licopene, quali l’aumento del rischio di parto pretermine e di basso peso alla nascita (<2.500 g)».

87° Congresso Nazionale SIGO, Palermo 25-28 settembre 2011

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I miti da sfatare: gli isoflavonoidi come terapia delle “complicanze” menopausali

Le preoccupazioni di fondo per quanto riguarda il rischio di una terapia sostitutiva con estrogeni hanno portato ad un aumento significativo dell’utilizzo di prodotti di soia nonostante la mancanza di prove di efficacia per tali preparati. L’obiettivo di uno studio recentemente comparso sugli Archives of Internal Medicine è stato quello di determinare l’efficacia degli isoflavoni della soia nella prevenzione della perdita ossea e dei sintomi della menopausa. Lo studio randomizzato, controllato con placebo, in doppio cieco è stato condotto dal 1° luglio 2004 al 31 marzo 2009. Ha reclutato 248 donne tra i 45 ei 60 anni in menopausa da 5 anni con un T score a livello della colonna lombare o dell’anca di -2,0 o superiore, assegnate in modo casuale ed in proporzioni uguali a ricevere quotidianamente 200 mg die di isoflavoni di soia o placebo. L’endpoint primario era il cambiamento nella densità minerale ossea della colonna lombare, dell’anca e del collo del femore dopo 2 anni di trattamento. Gli outcomes secondari includevano la valutazione dei cambiamenti dei sintomi della menopausa, le variazioni citologiche vaginali, del N-telopeptide, del collagene di tipo I osseo, dei lipidi e della funzione tiroidea. Questi i risultati dopo i 2 anni di follow up

  • non state riscontrate differenze significative tra le partecipanti che erano state trattate con gli isoflavonoidi della soia (n = 122) e quelle che avevano assunto il placebo (n = 126) in merito a modifiche della densità minerale ossea della colonna vertebrale (-2,0% e -2,3%, rispettivamente), dell’anca (-1,2% e -1,4% rispettivamente) o del collo del femore (-2,2% e -2,1% rispettivamente)

  • le “vampate” erano ancora presenti nel 48.4% delle donne che erano state trattate con gli isoflavonoidi vs il 31.7% di quelle che avevano assunto il placebo (p = 0.02)

  • nessuna differenza significativa è stata riscontrata tra i gruppi in altri esiti.

In conclusione, nella popolazione esaminata la somministrazione giornaliera di compresse contenenti 200 mg di isoflavoni di soia per 2 anni non ha impedito la perdita ossea o migliorato i sintomi della menopausa. 

Silvina Levis et al. Soy Isoflavones in the Prevention of Menopausal Bone Loss and Menopausal Symptoms  A Randomized, Double-blind Trial. Arch Intern Med. 2011;171(15):1363-1369

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Rapporto reciproco tra sintomi depressivi e menopausali

L’ingresso in menopausa è un momento delicato al quale ogni donna reagisce a modo suo: c’è chi la considera un’esperienza che non determina particolari problemi, c’è invece chi la vive come una transizione che porta con sé sindromi depressive. Uno studio longitudinale, della durata di nove anni e coordinato da Judy R. Strauss, della Phoenix university (Usa), si è posto il duplice obiettivo di valutare quanto le sintomatologie depressive abbiano ripercussioni negative in menopausa e quanto invece una menopausa “difficile” possa portare alla comparsa di depressione. La ricerca ha raccolto dati provenienti dal National survey of midlife development in the United States (Midus). Nel caso specifico, sono state considerate 986 donne nate tra il 1946 e il 1964, nelle quali sono stati valutati sintomi depressivi, sintomi legati alla menopausa e covarianti demografiche. Ne è emerso che le donne depresse faticano di più ad adattarsi ai cambiamenti correlati alla menopausa e ai sintomi che la caratterizzano. Allo stesso modo, le donne nelle quali l’entrata in menopausa è condizionata da una sintomatologia particolarmente severa saranno a maggiore rischio di sviluppare sindromi depressive, o a vederne peggiorata l’intensità se già presenti. La stretta associazione tra sintomi menopausali e peggioramento della depressione, concludono gli studiosi, ha quindi importanti ricadute nella pratica clinica, che deve essere improntata alla risoluzione di entrambe le problematiche.

Maturitas, 2011 Sep 20. [Epub ahead of print]

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Rischio fratture in menopausa da prolasso degli organi pelvici

30 Ott 2011 Ginecologia

Il prolasso degli organi pelvici (Pop) moderato/severo viene ora identificato come fattore di rischio per fratture di femore nelle donne in post-menopausa. Il rettocele moderato/severo comporta un rischio addizionale di fratture vertebrali e dell’avambraccio nelle donne che non assumono terapia ormonale. Il dato scaturisce da una ricerca di Lubna Pal della Yale school of Medicine, e collaboratori, effettuata sulle donne arruolate nell’ambito del Women’s health initiative estrogen plus progestin trial. Un Pop di grado moderato/severo è stato identificato nell’8% delle donne (n=1.192). Nel corso di un follow-up di 7,41 anni sono state osservate 2.156 fratture incidenti: il sito più comune delle fratture è risultato l’avambraccio (28,51%) seguito dal femore (9,51%). Dopo aver proceduto ad aggiustamento statistico, le analisi hanno confermato Pop (di qualsiasi tipo) come fattore di rischio indipendente per fratture incidenti di femore (hazard ratio, Hr: 1,83). In base alle analisi stratificate secondo il trattamento (terapia ormonale vs placebo) il rettocele moderato/severo è emerso come fattore predittivo indipendente di fratture vertebrali incidenti (Hr: 2,61) e fratture dell’avambraccio incidenti (Hr: 1,87) nel gruppo placebo.

Menopause, 2011; 18(9):967-973

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Fecondazione in vitro: Asa non aumenta le gravidanze

19 Ott 2011 Ginecologia

Non esistono chiare prove a supporto dell’efficacia dell’acido acetilsalicilico (Asa) nelle donne trattate per la fecondazione in vitro (Fiv). Lo sostiene una nuova revisione sistematica Cochrane (la precedente risaliva al 2007), in cui la somministrazione di Asa durante un ciclo di Fiv non sembra aumentare la possibilità delle donne di rimanere gravide. Questa applicazione controversa dell’Asa nasce da un presupposto beneficio potenziale legato a un migliore flusso del sangue all’utero e alle ovaie (non sono esclusi peraltro rischi di aborto o altre complicanze) e spesso viene impiegata da coppie disposte a tentare qualsiasi metodo che possa aumentare la possibilità di avere successo nella procedura. In questo studio, condotto da Charalambos S. Siristatidis dell’università di Atene – in collaborazione con due colleghi dell’università di Liverpool – sono stati presi in esame 13 studi clinici, per un totale di 2.653 donne che ricorrevano alla Fiv. In molti casi erano somministrati 100 mg/die di Asa. Soltanto uno degli studi inclusi nell’analisi ha riportato alcuni benefici associati a tale somministrazione. In particolare, non si sono riscontrate differenze significative tra il gruppo trattato con Asa e quello controllo rispetto al numero di gravidanze (analizzato in 10 studi), al numero di bambini nati vivi (unico parametro di efficacia realmente significativo, riportato in soli 3 studi), e a quello di aborti (sul cui rischio pochi trial riportavano informazioni). La conclusione di questa review, pertanto, è che rispetto al placebo l’Asa non aumenta le probabilità di gravidanza nella Fiv, e che sono necessari trial di adeguata potenza statistica; si propone, per esempio, un campione di 350 donne per ogni gruppo allo scopo di dimostrare un miglioramento del 10% grazie all’uso di Asa con un sufficiente grado di potenza (80%) e significatività (5%). Finché tale evidenza non è disponibile viene sconsigliata questa pratica. Cochrane Database Syst Rev, 2011; (8):CD004832

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