La preservazione ovarica rappresenta un’opzione terapeutica sicura per le donne in et? premenopausale con tumore endometriale in stadio precoce. Non ? dunque pi? necessario rimuovere le ovaie, il che ha invece costituito l’approccio standard per molti anni in questi casi: lasciare le ovaie intatte rappresenta un’opzione sicura che offre alle pazienti un’ampia gamma di importanti benefici per la salute e la qualit? della vita sia a breve che a lungo termine. La preservazione ovarica non influenza la sopravvivenza complessiva o tumore-specifica, anche escludendo le donne che hanno ricevuto radioterapia pelvica. Attualmente dunque ? necessario discutere con attenzione rischi e benefici a lungo termine di questa pratica nelle giovani donne con tumore endometriale prima dell’isterectomia. (J Clin Oncol online 2009, pubblicato il 6/2)
Non poche donne, in Italia circa tre milioni (dato forse sottostimato), soffrono di endometriosi, malattia nella quale il tessuto di rivestimento dell?utero o endometrio ? presente anche in altre sedi pelviche e addominali causando dolore e altri problemi. Ma in genere la diagnosi viene posta in ritardo, in media dopo nove-dieci anni e diversi consulti medici, per difficolt? nel riconoscimento. I sintomi, a parte i casi in cui almeno inizialmente sono assenti, possono anche essere confusi con quelli di altre patologie e ci pu? essere una comorbilit?. L?inquadramento dilazionato finisce per ritardare il trattamento, con tutto il carico protratto di sofferenza legato alla malattia, fisico e psicologico, tanto pi? che sono colpite donne giovani e che sono temute in particolare le conseguenze per la fertilit?. Che un nodo cruciale sia la possibile diagnosi errata per confusione con altre forme con le quali c?? una sovrapposizione di sintomi lo conferma anche un?ampia ricerca britannica, che prende in considerazione le due patologie maggiormente coinvolte, la malattia infiammatoria pelvica e la sindrome dell?intestino irritabile, anch?esse di frequente riscontro.
La sovrapposizione di sintomi L?endometriosi si caratterizza prima tutto per il dolore, mestruale (dismenorrea), pelvico cronico, sessuale (dispareunia), poi per infertilit? e segni di menopausa precoce; possono esserci sintomi gastrointestinali (colon irritabile, diarrea o stipsi, gonfiore), sciatalgia, disturbi urinari e anche altri come astenia, cefalea, nausea, depressione. La diagnosi si effettua con l?anamnesi e un accurato esame obiettivo, eventualmente esame rettale, seguiti a seconda dei casi da indagini quali ecografia, ricerca del marcatore nel sangue, clisma opaco, Tc o Rmn, laparoscopia. Nello studio inglese si ? analizzato un database relativo a 5.540 donne tra i 15 e i 55 anni alle quali era stata diagnosticata endometriosi, facendo un confronto con 21.239 donne senza endometriosi come controlli. Lo scopo della ricerca era determinare se il rischio aumentato di ricevere una diagnosi di sindrome d?intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica in donne con riconoscimento di endometriosi fosse dovuto a un?errata diagnosi o a una comorbilit?; si ? valutata quindi la diagnosi delle due patologie prima e dopo quella indice dell?endometriosi. In confronto ai controlli, si ? evidenziato che le pazienti con endometriosi avevano una probabilit? 3,5 volte pi? elevata di essere state prima diagnosticate per sindrome dell?intestino irritabile, circa il 10% era stato trattato per questa patologia. Anche dopo il riconoscimento dell?endometriosi, le donne con endometriosi avevano ancora una probabilit? 2,5% volte maggiore dei controlli di ricevere una nuova diagnosi di intestino irritabile. Inoltre, per le malate era 6,4 volte pi? alta la probabilit? di essere trattate per malattia infiammatoria pelvica prima della diagnosi di endometriosi (pi? dell?8% era stato cos? trattato nel periodo precedente), e la probabilit? era quasi quattro volte pi? elevata anche dopo la stessa diagnosi.
Obiettivo ridurre il ritardo diagnostico Nelle donne con endometriosi c?era quindi chiaramente una maggiore possibilit? di ricevere una diagnosi di intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica, anche dopo il riconoscimento definitivo della patologia endometriosica. Il fatto che la quota delle donne trattate per intestino irritabile o malattia pelvica si fosse significativamente ridotto dopo la diagnosi di endometriosi ha portato i ricercatori a ritenere che ci sia un consistente problema di errato riconoscimento in presenza di endometriosi. Comunque le condizioni spesso coesistono, e per questo, commentano, se con l?endometriosi ? compresente la malattia infiammatoria pelvica ? opportuno un trattamento pi? rigoroso per diminuire il rischio ancora maggiore d?infertilit?, mentre una gestione appropriata della sindrome dell?intestino irritabile pu? ridurre i sintomi intestinali correlati all?endometriosi. Vanno per? meglio identificate, concludono, le differenze nei modelli sintomatologici delle tre situazioni cliniche, sia per riuscire a ridurre il ritardo di diagnosi, sia per attuare regimi terapeutici ottimali.
Elettra Vecchia
Fonte Seaman HE et al.. Endometriosis and its coexistence with irritable bowel sindrome and pelvic inflammatory disease: findings from a national case-control study-Part 2. BJOG 2008;115:1392-1396
Il lactobacillo LCR35 pu? risultare utile per le donne recentemente trattate per vaginosi batterica, in quanto il loro uso topico pu? essere utile a ripristinare la normale flora vaginale. Le pazienti su cui ci? ? stato provato avevano inizialmente un punteggio fra sette e 10 nella scala di Nugent per la vaginosi batterica, ed hanno ricevuto una terapia antibiotica standard per sette giorni, seguita dalla somministrazione di capsule vaginali contenenti LCR35 per altri sette giorni. Ogni donna osservata ha presentato un significativo spostamento nella scala di Nugent pari ad un minimo di cinque gradi fra l’inizio e la fine dello studio. (BJOG 2008; 115: 1369-74)
Non poche donne, in Italia circa tre milioni (dato forse sottostimato), soffrono di endometriosi, malattia nella quale il tessuto di rivestimento dell?utero o endometrio ? presente anche in altre sedi pelviche e addominali causando dolore e altri problemi. Ma in genere la diagnosi viene posta in ritardo, in media dopo nove-dieci anni e diversi consulti medici, per difficolt? nel riconoscimento. I sintomi, a parte i casi in cui almeno inizialmente sono assenti, possono anche essere confusi con quelli di altre patologie e ci pu? essere una comorbilit?. L?inquadramento dilazionato finisce per ritardare il trattamento, con tutto il carico protratto di sofferenza legato alla malattia, fisico e psicologico, tanto pi? che sono colpite donne giovani e che sono temute in particolare le conseguenze per la fertilit?. Che un nodo cruciale sia la possibile diagnosi errata per confusione con altre forme con le quali c?? una sovrapposizione di sintomi lo conferma anche un?ampia ricerca britannica, che prende in considerazione le due patologie maggiormente coinvolte, la malattia infiammatoria pelvica e la sindrome dell?intestino irritabile, anch?esse di frequente riscontro.
La sovrapposizione di sintomi L?endometriosi si caratterizza prima tutto per il dolore, mestruale (dismenorrea), pelvico cronico, sessuale (dispareunia), poi per infertilit? e segni di menopausa precoce; possono esserci sintomi gastrointestinali (colon irritabile, diarrea o stipsi, gonfiore), sciatalgia, disturbi urinari e anche altri come astenia, cefalea, nausea, depressione. La diagnosi si effettua con l?anamnesi e un accurato esame obiettivo, eventualmente esame rettale, seguiti a seconda dei casi da indagini quali ecografia, ricerca del marcatore nel sangue, clisma opaco, Tc o Rmn, laparoscopia. Nello studio inglese si ? analizzato un database relativo a 5.540 donne tra i 15 e i 55 anni alle quali era stata diagnosticata endometriosi, facendo un confronto con 21.239 donne senza endometriosi come controlli. Lo scopo della ricerca era determinare se il rischio aumentato di ricevere una diagnosi di sindrome d?intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica in donne con riconoscimento di endometriosi fosse dovuto a un?errata diagnosi o a una comorbilit?; si ? valutata quindi la diagnosi delle due patologie prima e dopo quella indice dell?endometriosi. In confronto ai controlli, si ? evidenziato che le pazienti con endometriosi avevano una probabilit? 3,5 volte pi? elevata di essere state prima diagnosticate per sindrome dell?intestino irritabile, circa il 10% era stato trattato per questa patologia. Anche dopo il riconoscimento dell?endometriosi, le donne con endometriosi avevano ancora una probabilit? 2,5% volte maggiore dei controlli di ricevere una nuova diagnosi di intestino irritabile. Inoltre, per le malate era 6,4 volte pi? alta la probabilit? di essere trattate per malattia infiammatoria pelvica prima della diagnosi di endometriosi (pi? dell?8% era stato cos? trattato nel periodo precedente), e la probabilit? era quasi quattro volte pi? elevata anche dopo la stessa diagnosi.
Obiettivo ridurre il ritardo diagnostico Nelle donne con endometriosi c?era quindi chiaramente una maggiore possibilit? di ricevere una diagnosi di intestino irritabile o di malattia infiammatoria pelvica, anche dopo il riconoscimento definitivo della patologia endometriosica. Il fatto che la quota delle donne trattate per intestino irritabile o malattia pelvica si fosse significativamente ridotto dopo la diagnosi di endometriosi ha portato i ricercatori a ritenere che ci sia un consistente problema di errato riconoscimento in presenza di endometriosi. Comunque le condizioni spesso coesistono, e per questo, commentano, se con l?endometriosi ? compresente la malattia infiammatoria pelvica ? opportuno un trattamento pi? rigoroso per diminuire il rischio ancora maggiore d?infertilit?, mentre una gestione appropriata della sindrome dell?intestino irritabile pu? ridurre i sintomi intestinali correlati all?endometriosi. Vanno per? meglio identificate, concludono, le differenze nei modelli sintomatologici delle tre situazioni cliniche, sia per riuscire a ridurre il ritardo di diagnosi, sia per attuare regimi terapeutici ottimali.
Elettra Vecchia
Fonte Seaman HE et al.. Endometriosis and its coexistence with irritable bowel sindrome and pelvic inflammatory disease: findings from a national case-control study-Part 2. BJOG 2008;115:1392-1396
Il lactobacillo LCR35 pu? risultare utile per le donne recentemente trattate per vaginosi batterica, in quanto il loro uso topico pu? essere utile a ripristinare la normale flora vaginale. Le pazienti su cui ci? ? stato provato avevano inizialmente un punteggio fra sette e 10 nella scala di Nugent per la vaginosi batterica, ed hanno ricevuto una terapia antibiotica standard per sette giorni, seguita dalla somministrazione di capsule vaginali contenenti LCR35 per altri sette giorni. Ogni donna osservata ha presentato un significativo spostamento nella scala di Nugent pari ad un minimo di cinque gradi fra l’inizio e la fine dello studio. (BJOG 2008; 115: 1369-74)
I fibromi uterini sono i pi? comuni tumori del sistema riproduttivo femminile tipici dell?et? fertile (dopo la menopausa tendono a ridursi), il nome non deve per? spaventare poich? si tratta di forme benigne, che in molti casi non provocano disturbi n? impediscono la gravidanza. Quando i fibromi sono invece sintomatici, causano disturbi quali dolori pelvici, dismenorrea, problemi urinari e intestinali, rischio di aborto che possono costituire un?indicazione al trattamento. Le opzioni pi? utilizzate sono quelle chirurgiche e l?alternativa classica ? tra l?isterectomia, cio? la rimozione dell?utero e la miomectomia, impiegata in genere per le donne che intendano mantenere le capacit? procreative (per la chirurgia ora c?? anche la modalit? meno invasiva della via vaginale e laparoscopica): un?altra possibilit? abbastanza recente ? l?embolizzazione dell?arteria uterina, una tecnica minimamente invasiva che si ? andata affermando come efficace nell?alleviare i sintomi a breve termine ma della quale non era stato sufficientemente valutato l?effetto sulla qualit? di vita delle pazienti, in confronto alle altre procedure.
Qualit? di vita simile Il team scozzese REST (Randomized Trial of Embolization versus Surgical Treatment for Fibroids) ha quindi condotto una ricerca con periodo di osservazione di un anno dalla quale risulta che l?embolizzazione ? efficace quanto la chirurgia nel migliorare la qualit? di vita delle donne trattate, con altri vantaggi, ma anche alcuni svantaggi. La tecnica consiste nell?iniezione, attraverso un catetere inserito nell?arteria femorale che arriva all?arteria uterina, di particelle o sostanze embolizzanti che impediscono l?afflusso di sangue al o ai fibromi causandone la contrazione di volume. Introdotta nei primi anni Novanta per ridurre il sanguinamento nella donne con fibromi ad alto rischio di complicanze con la chirurgia, l?embolizzazione uterina ? stata poi applicata intraoperatoriamente e in seguito come trattamento primario; si calcola che nell?ultimo decennio siano stati eseguiti pi? di 100 mila interventi, soprattutto in Stati Uniti ed Europa occidentale, e i dati Usa relativi a 3.160 casi riferiscono nel 5,5% complicanze a trenta giorni e nello 0,1% necessit? di isterectomia.
Lo studio scozzese
Lo studio, su 157 donne di almeno 18 anni con uno o pi? fibromi di almeno 2 cm e sintomi tali da giustificare la terapia chirurgica, ha confrontato con scale di valutazione la qualit? di vita a 1, 6, 12, 21 mesi e poi annualmente, in seguito a embolizzazione o a intervento (isterectomia o miomectomia, per via addominale). A un anno non sono risultate differenze significative tra i due gruppi, inoltre il ricovero post-embolizzazione ? stato significativamente pi? breve e il ritorno alle attivit? usuali notevolmente pi? rapido; anche il dolore a 24 ore era minore, anche se a un mese e a un anno i punteggi erano migliori nel gruppo chirurgia. Complicanze ed eventi indesiderati sono stati di pi? tra le embolizzate ma non significativamente, il 9% delle embolizzate poi ha dovuto ripetere la procedura o ricorrere a isterectomia per controllo inadeguato dei sintomi e dopo il primo anno il 13% ? stato ricoverato per eventi avversi o reintervento. Dal punto di vista economico, infine, a un anno l?embolizzazione ? risultata pi? vantaggiosa.
Considerare l?intenzione procreativa
Come sottolinea l?editoriale di accompagnamento, se optare prima per la chirurgia o per l?embolizzazione dipender? dalla situazione clinica, dall?et? della paziente, dalle sue preferenze, dall?eventuale desiderio di avere figli. Considerando che con l?embolizzazione in meno dell?1% dei casi pu? insorgere una menopausa anticipata e non ? chiaro se ci siano rischi per il feto, la miomectomia potrebbe essere la prima scelta nelle donne con fibromi sintomatici che intendono procreare; l?embolizzazione invece potrebbe essere offerta alle pazienti ad alto rischio chirurgico, come quelle con fibromi diffusi o nelle quali la miomectomia presenti difficolt? tecniche; l?isterectomia resta un?alternativa ragionevole all?embolizzazione nelle donne che preferiscono un intervento risolutivo senza la preoccupazione di ulteriori sanguinamenti o bisogno di reinterventi.
La pi? recente delle vaccinazioni introdotte in Italia ? quella contro il Papillomavirus umano (HPV). Causa riconosciuta del cancro della cervice uterina, il pericolo rappresentato dall’infezione da HPV non ? per? noto come dovrebbe alla popolazione interessata. Lo prova anche il fatto che gli screening cervicali, con la metodica del Pap-test, pur avendo ottenuto un buon successo, sono ancora lungi dal raggiungere tutte le donne per le quali vi ? l’indicazione. Per aiutare il medico a veicolare alle sue assistite l’importanza della prevenzione di questa infezione sessualmente trasmissibile, anche attraverso la vaccinazione, rendiamo qui disponibili dei materiali educativi, semplici ma di estremo rigore, in formato Powerpoint.
L’uso di 17P per la prevenzione del parto pretermine recidivante ? associato ad un aumento di almeno tre volte del rischio di diabete gestazionale. L’uso recente del progesterone per la prevenzione del parto pretermine rappresenta un progresso importante in campo medico, ma comunque esso incrementa dunque il rischio di un’altra complicazione della gravidanza. Il progesterone ha un noto effetto diabetogeno, e pertanto ? opportuno controllare la glicemia delle pazienti che lo ricevono onde iniziare precocemente eventuali terapie ed ottimizzare gli esiti della gravidanza. Sono inoltre necessari ulteriori studi per chiarire meglio l’associazione fra 17P e diabete gestazionale nelle donne portatrici di altri fattori di rischio e chiarire l’impatto di questa terapia sulla resistenza all’insulina durante la gravidanza. (Diabetes Care 2007; 30: 2277-82)
La prevalenza della sindrome dell?ovaio policistico nelle donne in sovrappeso o obese non ? nota, nonostante l?obesit? sia frequente nelle pazienti con policistosi ovarica.
Ricercatori dell?Hospital Universitario Ramon y Cajal di Madrid, in Spagna, hanno compiuto uno studio per definire la prevalenza di sindrome dell?ovaio policistico nelle donne in premenopausa, obese o in sovrappeso.
Delle 113 donne reclutate nel periodo 2002-2005, il 28.3% ( n = 32 ) presentava policistosi ovarica.
La prevalenza dell?ovaio policistico non presentava differenze quando si prendeva in considerazione il grado di obesit?.
Tre donne presentavano iperandrogenemia senza oligo-ovulazione, 2 donne presentavano irsutismo idiopatico, 2 avevano oligomenorrea cronica senza iperandrogenismo clinico o biochimico e 2 donne avevano oligomenorrea con iperprolattinemia.
Le rimanenti 72 donne ( 63.7% ) non presentava iperandrogenismo o anomalie riproduttive.
I risultati dello studio hanno dimostrato che in Spagna il 28.3% delle donne in sovrappeso o obese presenta la sindrome dell?ovaio policistico. Il valore ? sensibilmente pi? alto rispetto al 5% riscontrato nelle donne magre. Pertanto, la policistosi ovarica dovrebbe essere ricercata nelle donne in premenopausa in sovrappeso o obese.
Le donne con sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) presentano un rischio pi? che quadruplicato di disordini depressivi. Queste donne dunque dovrebbero essere sottoposte a screening di routine per la depressione. La PCOS ? associata a diverse complicazioni metaboliche, e pochi studi avevano finora suggerito un aumento del rischio di depressione in questi pazienti. Il presente studio dimostra che le donne con PCOS sono significativamente a rischio di disordini depressivi, fra cui anche depressione maggiore. Sono necessari ulteriori studi per convalidare ulteriormente questi risultati, in particolare per la valutazione di farmacoterapia, perdita di peso e controllo della glicemia sulla depressione in queste donne. (Fertil Steril 2007; 87: 1369-76)