L’uso dell’aspirina è legato alla degenerazione maculare

L’aspirina e’ largamente usata per prevenire attacchi cardiaci e ictus e per trattare l’artrite, ma una nuova ricerca australiana invita alla cautela, dopo aver individuato un legame con malattie oculari dell’eta’ avanzata. Lo studio del Westmead Millennium Institute for Medical Research di Sydney indica che l’uso regolare di aspirina e’ legato ad un aumento piu’ che doppio nel rischio di contrarre degenerazione maculare legata all’eta’ (Dmle), una patologia multifattoriale che colpisce la zona centrale della retina, detta macula, ed e’ una causa primaria di cecita’ per gli anziani. 

 

Il Centre for Vision Research dell’Istituto ha studiato quasi 2400 persone sopra i 50 anni per un periodo di 15 anni e ha scoperto che 63 avevano contratto Dmle neovascolare, o senile.  Il direttore del centro Paul Mitchell scrive sulla rivista JAMA Internal Medicine che il 9,3% degli utilizzatori regolari di aspirina nello studio avevano contratto il disturbo dopo 15 anni, a paragone del 3,7% di chi non assumeva aspirina regolarmente. Il che corrisponde a un rischio di due volte e mezzo maggiore per gli utilizzatori regolari, indipendentemente dai precedenti di malattie cardiovascolari o dallo status di fumatori.  Mitchell sottolinea pero’ che sarebbe prematuro concludere che l’aspirina causi la degenerazione maculare. ”Se un paziente ha bisogno di aspirina per motivi clinici, malattie cardiache o cardiovascolari o altri disturbi gravi, naturalmente non deve fermare l’assunzione di aspirina, Se pero’ delle persone prendono aspirina per ragioni non cosi’ genuine e reali, dovrebbero valutarne l’opportunita”’, spiega Mitchell.

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Nuove linee-guida sulla faringite streptococcica

Realizzate dalla Infectious Diseases Society of America e pubblicate sulla rivista Clinical Infectious Diseases le nuove linee-guida sulla faringite da Streptococcus pyogenes (Streptococco β emolitico di gruppo A o GAS). Queste linee-guida vanno ad aggiornare quelle del 2002. Il team di ricercatori che ha stilato le linee-guida, coordinato da Stanford T. Shulman della Division of Infectious Diseases dell’Ann & Robert H. Lurie Children’s Hospital di Chicago, ha annotato anche la ‘forza’ e la qualità dell’evidenza disponibile su ogni raccomandazione utilizzando il sistema GRADE (Grading of Recommendations Assessment, Development, and Evaluation).

Lo Streptococco β emolitico di gruppo A o GAS è l’agente patogeno più comune della faringite acuta, responsabile del 5%–15% delle visite mediche per ‘mal di gola’ negli adulti e del 20%–30% nei bambini. Una diagnosi precisa e tempestiva della faringite streptococcica seguita da una appropriata terapia antibiotica è importante per la prevenzione di gravi complicanze acute (quali febbre reumatica e complicanze suppurative del calibro di ascesso peritonsillare, linfoadenite cervicale, mastoidite e altri infezioni invasive), per migliorare i sintomi clinici, per accelerare la diminuzione della contagiosità e la trasmissione dell’infezione da GAS a familiari, amici, compagni di classe o colleghi di lavoro ed estranei, per minimizzare gli effetti avversi di una terapia antibiotica inappropriata.

Sebbene la faringite acuta sia una delle patologie per le quali più frequentemente pediatri e medici di Medicina Generale vengono interpellati (15 milioni di visite all’anno solo negli Stati Uniti), solo una percentuale relativamente esigua di pazienti (20%–30% dei pazienti pediatrici, ancor meno negli adulti) sono effettivamente affetti da faringite da GAS. I sintomi della faringite streptococcica e non-streptococcica si sovrappongono e confondono così diffusamente che una diagnosi accurata effettuata solo sulla base dei segni clinici è virtualmente impossibile. Con l’eccezione di altre rare infezioni batteriche della faringe (causate da Corynebacterium diphtheriae e Neisseria gonorrhoeae), la terapia antibiotica è inutile nelle faringiti acute causate da microrganismi diversi dal GAS. È quindi estremamente importante che i pediatri possano effettuare la diagnosi di faringite streptococcica con precisione, per evitare una inutile e dannosa prescrizione di antibiotici.

Quali sono le raccomandazioni per la diagnosi? Va effettuato un tampone faringeo e un test RAD (rapid antigen detection). In caso di test RAD negativo nei bambini e negli adolescenti va effettuata una coltura batterica. In caso di test RAD positivo la coltura non è necessaria per l’elevatissima affidabilità e specificità del test. Il dosaggio degli anticorpi antistreptococco – TAS (titolo antistreptolisinico) – non è raccomandato nella diagnosi di routine di faringite streptococcica perché la presenza di tali anticorpi riflette infezioni passate e non infezioni in corso.

Una volta effettuata la diagnosi, i pazienti con faringite streptococcica devono essere trattati con un antibiotico appropriato alla dose corretta per la durata necessaria all’eradicazione dello Streptococcus pyogenes dalla faringe (in media 10 giorni). Gli antibiotici di riferimento per i pazienti non allergici sono penicillina e amoxicillina. Il trattamento della faringite streptococcica nei pazienti allergici alla penicillina dovrebbe includere una cefalosporina di prima generazione per 10 giorni, clindamicina o claritromicina per 10 giorni, o azitromicina per 5 giorni. L’uso di un agente analgesico/antipiretico come il paracetamolo o un FANS per il controllo dei sintomi e la febbre può essere consigliato in aggiunta alla terapia antibiotica ove necessario. La somministrazione di acido acetilsalicilico (aspirina e simili) deve essere evitato nei pazienti pediatrici. La terapia aggiuntiva a base di corticosteroidi non è raccomandata.

▼Shulman ST, Bisno AL, Clegg HW, Gerber MA et al. Clinical Practice Guideline for the Diagnosis and Management of Group A Streptococcal Pharyngitis: 2012 Update by the Infectious Diseases Society ofAmerica. Clin Infect Dis 2012; doi:10.1093/cid/cis629 

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Tumori: Raccomandazioni per un’alimentazione corretta

L’alimentazione è un tema di particolare rilevanza per le persone malate di tumore. Un’alimentazione equilibrata è molto importante, perché influisce sull’evoluzione della malattia e l’efficacia delle terapie.  

Il tumore può comportare una perdita di peso?

Sì, per diverse ragioni.
Un tumore può indurre una perdita di appetito e comportare una riduzione, o addirittura un’interruzione totale, dell’alimentazione. L’inappetenza può essere provocata dal tumore stesso, in maniera meccanica (ostruzione dell’esofago, ad esempio) o a causa della modifica del meccanismo di controllo del senso di fame associata al dolore o a uno stato depressivo.
Una riduzione dell’apporto di cibo può determinare una progressiva inappetenza.
D’altra parte, l’insorgenza di un tumore provoca un aumentato dispendio energetico dell’organismo.
L’aumento del consumo energetico e la riduzione dell’apporto di cibo provocano uno squilibrio calorico con conseguente perdita di peso e possono condurre a uno stato di denutrizione.

 

Un nutrizionista o un dietista possono aiutare il paziente a ottimizzare la sua alimentazione, offrendo consigli semplici e pratici: pasti variati, frazionati, arricchiti, ecc.

 

Un nutrizionista o un dietista possono aiutare il paziente a ottimizzare la sua alimentazione, offrendo consigli semplici e pratici: pasti variati, frazionati, arricchiti, ecc.

Cos’è la denutrizione?

La denutrizione è lo stato provocato da un apporto di nutrienti e calorie insufficiente per compensare i bisogni dell’organismo ed è caratterizzata da un’importante perdita di peso nell’arco di un breve periodo.

Le terapie antitumorali possono contribuire alla denutrizione?

Sì. Le terapie per i tumori inducono delle variazioni nelle abitudini alimentari.
La chemioterapia e la radioterapia possono provocare infiammazioni e lesioni dolorose delle mucose della bocca (mucositi). Possono anche provocare nausea, vomito o altre complicanze digestive. Inoltre, la chemioterapia altera il gusto e può condurre al rifiuto di certi alimenti.
Se soffrite di nausee e vomito è importante parlarne con i medici che vi hanno in cura che potranno offrirvi dei consigli pratici o prescrivervi la terapia più adatta.

Quali possono essere le conseguenze di una denutrizione?

La denutrizione indebolisce l’organismo. Una perdita di peso del 15% può mettere a repentaglio la vita del malato. Inoltre, uno stato di denutrizione rende 4 volte più probabile il rischio di contrarre un’infezione.

Vi sono delle raccomandazioni alimentari da seguire nel quadro di una chemioterapia?

Sì. La chemioterapia può indurre un’avversione al cibo.
Se vi danno fastidio gli odori, si consiglia di frazionare i pasti (da 6 a 8 pasti al giorno) e optare per i cibi freddi.
Se, nonostante questi accorgimenti, continuate a perdere peso, il vostro medico potrà prescrivervi degli integratori alimentari adatti alla vostra situazione. Essendo ricchi di calorie e proteine, gli integratori aumentano l’apporto calorico e proteico anche se consumati in piccole quantità.

Vi sono delle raccomandazioni alimentari da seguire nel quadro di una radioterapia?

Sì. Se la radioterapia interessa il distretto ORL (bocca, naso, laringe), può comparire secchezza al livello della bocca che rende difficile mangiare. In questi casi si consiglia di aggiungere salse, brodo o latte ai cibi per renderli più morbidi.
Se la radioterapia interessa il distretto addominale, rischia di disturbare il transito. In questo caso occorre limitare l’apporto di fibre, eliminare frutta e verdure crude e la frutta secca.
Dopo una chirurgia dello stomaco o del distretto ORL, può essere necessario frazionare i pasti e favorire gli alimenti combinati.

Posso prendere degli integratori alimentari orali?

Sì. Gli integratori alimentari orali permettono di compensare un apporto nutrizionale insufficiente.
Vengono somministrati su ricetta e occorre seguire le raccomandazioni di utilizzo del medico.
Questi integratori si presentano in forma di bevande a base di latte, succhi di frutta, zuppe, creme dessert o polveri da aggiungere alla normale alimentazione. Il paziente può scegliere insieme al proprio medico o farmacista la forma e il sapore che preferisce e che meglio si adatta alla sua situazione.
Ai malati di tumore, questi integratori sono rimborsati dall’assicurazione sanitaria.

Cosa può fare per me un nutrizionista o un dietista?

Un nutrizionista o un dietista possono aiutarvi a ottimizzare la vostra alimentazione al fine di aumentare gli apporti nutrizionali.
Valuteranno il vostro fabbisogno calorico e potranno darvi dei consigli semplici e pratici per arricchire i vostri pasti, integrandoli con alimenti ricchi di proteine e lipidi (formaggio grattugiato, carne macinata, burro, panna, ecc.)
Potranno inoltre aiutarvi a comporre dei pasti più adatti alla vostra situazione (frazionamento dei pasti, pasti misti), ma allo stesso tempo gustosi.

Al termine del ciclo di terapie, dovrò seguire un regime alimentare particolare?

In alcuni casi, il medico dà al paziente delle raccomandazioni alimentari da seguire (alimenti da evitare, assunzione di vitamine, ecc.) oppure consiglia di prendere appuntamento con un nutrizionista o dietista.

È molto importante fare tutto il possibile per evitare di perdere troppo peso.
In caso di inappetenza, si consiglia di fare piccoli spuntini con cibi salati (dadini di prosciutto o formaggio, fettine di salame o salsiccia, ecc.) o dolci (budino, torta di semolino o riso, yogurt, dessert al formaggio, frutta secca, frutta cotta, cereali al latte, barrette di cereali, ecc.) in vari momenti della giornata

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Agoaspirato dei noduli tiroidei: conoscere l’esame

Avete dei noduli alla tiroide e dovete sottoporvi all’agoaspirato.  

A cosa serve questo esame?

L’agoaspirato consiste nel prelevare alcune cellule da diverse zone dei noduli individuati a livello della tiroide per diagnosticarne con precisione la natura benigna o maligna. Le cellule vengono prelevate per mezzo di un ago sottilissimo e collocate su un vetrino come per lo striscio per poi essere analizzate. La struttura di queste cellule viene esaminata al microscopio da un esperto. Questo esame permette di distinguere le cellule cancerogene, o maligne, dalle cellule benigne, che presentano una morfologia differente.

Come si svolge l’esame?

L’agoaspirato può essere eseguito da un endocrinologo o da un radiologo specializzato in ecografia. L’esame dura pochi minuti.
Quando il nodulo è di difficile palpazione, l’agoaspirato viene effettuato mediante guida ecografica al fine di posizionare correttamente l’ago nel nodulo.

L’agoaspirato è un esame doloroso?

Questo esame è praticamente indolore. Il paziente potrebbe provare un leggerissimo dolore dopo la puntura.
Il dolore o fastidio è analogo a quello di un prelievo di sangue. Le cellule vengono prelevate per mezzo di un ago estremamente sottile.
L’anestesia locale non è necessaria.

Questo esame comporta dei rischi?

Non vi è alcun rischio di complicanze.
La medicazione va mantenuta per alcune ore per evitare che si formi un ematoma.
L’ematoma e il dolore locale scompariranno dopo qualche ora.
In caso di disturbi o dolori molte ore dopo l’esame, informate il vostro medico, la struttura ospedaliera o l’ambulatorio presso cui avete effettuato l’esame.

Si devono adottare precauzioni particolari per questo esame?

È importante informare il medico di tutte le patologie non tiroidee di cui soffrite, di tutte le terapie in corso, in particolare se state seguendo una terapia fluidificante del sangue (anticoagulanti, antiaggreganti) o se prendete regolarmente delle aspirine.

Come vanno interpretati i risultati dell’agoaspirato?

La maggior parte degli esami di agoaspirato ha esito negativo ovvero non evidenzia la presenza di cellule cancerogene (maligne). In effetti, in più di 9 casi su 10, i noduli scoperti a livello tiroideo risultano essere benigni.
In alcuni casi, si dovrà ripetere l’esame se sono state individuate anomalie cellulari che occorrerà riesaminare nel dettaglio. Talvolta, l’ago non riesce a prelevare alcuna cellula e anche in questi casi occorrerà ripetere l’esame.
Se l’agoaspirato rivela la presenza di cellule maligne o sospette, il passo successivo è l’intervento chirurgico che permetterà di concludere definitivamente. Se l’intervento conferma un tumore della tiroide, questa patologia risponde molto bene alle cure. Grazie alle terapie e agli esami di controllo, il tasso di sopravvivenza è uguale a quello della popolazione generale.

Questo esame può presentare complicanze?

No. Non vi è alcun rischio di complicanze. Potrebbe formarsi un piccolo ematoma a livello epidermico o insorgere un dolore lieve dopo la puntura. Questi sintomi scompaiono spontaneamente nel giro di qualche ora.

L’agoaspirato è l’esame fondamentale al fine di diagnosticare la natura benigna o maligna dei noduli alla tiroide. È un esame semplice, praticamente indolore e ben tollerato, che permette di evitare numerosi interventi chirurgici.

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Controllare regolarmente la pressione alta

I valori pressori non sono mai costanti, neanche nelle persone che sono del tutto sane. Essi variano con le sollecitazioni del corpo, con lo stress e perfino in base agli orari della giornata. La pressione arteriosa è più bassa di notte, durante la fase di riposo, e più alta alla mattina dopo essersi alzati, quando il sistema circolatorio riprende a funzionare a pieno ritmo. L’ipertensione (pressione alta) viene perciò diagnosticata soltanto dopo ripetute rilevazioni pressorie. Ulteriori indagini servono ad escludere forme di ipertensione correlate agli organi e a danni d’organo. 

Misurazione della pressione arteriosa

  • Per misurare la pressione di solito viene disposto un manicotto gonfiabile di gomma al di sopra dell’incavo del braccio, collegato a uno strumento di misurazione.
  • I valori vengono indicati nell’unità di misura “mmHg” (millimetri di mercurio).
  • Se i valori fra il braccio destro e quello sinistro sono differenti – cosa che può capitare anche nelle persone sane – di solito si considera il valore più alto e successivamente la misurazione viene eseguita soltanto al braccio in questione. Qualora durante misurazioni ripetute vengano rilevate differenze marcate (oltre 20 mmHg) tra le due braccia è necessario rivolgersi al medico, poiché la causa potrebbe risiedere in un restringimento dei vasi.
  • La misurazione pressoria delle 24 ore fornisce l’informazione più esatta. Viene applicato e fissato al corpo un computer portatile per la misurazione, il quale a intervalli regolari (anche durante la notte), rileva e registra i valori pressori. Ciò delinea un profilo attendibile di ciò che accade nelle 24 ore, fornendo al medico informazioni importanti sull’andamento pressorio sia in situazioni quotidiane di carico che durante le fasi di sonno.
  • Anche quando i pazienti sanno di avere la pressione alta e assumono farmaci per tenerla sotto controllo, è necessario effettuare una misurazione regolare della pressione.

 A colloquio con il medico 

  • Per poter effettuare una diagnosi sicura, durante il colloquio con il paziente, il medico si informa anche di eventuali casi di ipertensione e patologie cardiache presenti all’interno della famiglia.
  • Inoltre, durante la diagnosi vengono rilevati i seguenti aspetti:
      • Quanto erano alti i valori pressori misurati in precedenza?
      • Sono note eventuali malattie pregresse (malattie del cuore e dei vasi, malattie renali, diabete mellito, ecc.)?
      • Quali farmaci vengono assunti?
      • Il paziente è sovrappeso? Come vengono preparate le pietanze? Generi voluttuari come nicotina, alcool, caffè o liquirizia vengono consumati in quantità regolare o in grandi quantità?
      • È stato riscontrato un aumento della colesterolemia?
      • Il paziente è sottoposto a stress negativi?
      • Nelle donne, si era verificato un innalzamento della pressione durante la gravidanza?
  • Nel corso delle successive visite mediche viene effettuato un accurato esame obiettivo con auscultazione del cuore, della gola e dei polmoni e vengono controllati i reni e il fondo oculare.

Ulteriori accertamenti

  • In laboratorio si fanno analisi del sangue e delle urine per chiarire possibili cause e complicanze.
  • Per escludere e confermare forme di pressione alta correlata ad un organo sono necessari anche i seguenti esami:
  • ECG e ECG sotto sforzo
  • Ecocardiografia (ultrasuoni al cuore)
  • Ecografia dell’addome  con particolare attenzione ai reni e alle arterie renali.

Per poter diagnosticare l’ipertensione con sicurezza, sono necessarie misurazioni ripetute della pressione  in giorni diversi e possibilmente in orari diversi. Il medico può accertare meglio la diagnosi effettuando un monitoraggio ambulatoriale della pressione nelle 24 ore o con le auto-misurazioni, i cui valori vengono annotati di volta in volta indicando anche l’ora esatta, con un colloquio approfondito con il paziente ed un accurato esame obiettivo.

Redazione a cura di “Malice & Co. (Francia). Revisione: Paolo Spriano, Medico di Medicina Generale, Milano

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Il dolore nei pazienti con lombalgia acuta

Gli episodi acuti di lombalgia si risolvono di solito in meno di sei settimane. Talvolta, però il mal di schiena può diventare cronico e può comparire ripetutamente per periodi più lunghi. Allora si parla di lombalgia cronica. A questo proposito è molto importante ricorrere ad una terapia mirata, al fine di ottenere un decorso più favorevole e alleviare i disturbi. 

Quando si parla di lombalgia cronica?

In un caso su quattro la lombalgia perdura oltre i tre mesi e ciò implica che non si tratta più di un dolore acuto, ma è presente un problema cronico. La lombalgia è cronica quando si manifestano diversi episodi durante l’anno e i dolori sono presenti per oltre la metà dei giorni dell’anno.

Che cosa causa la lombalgia?

Un movimento sbagliato può procurare una contrazione che a sua volta determina il dolore. Quest’ultimo in genere scompare da solo qualche tempo dopo l’evento scatenante. Se il dolore persiste, si possono ricercare altri motivi esaminando i seguenti punti:

  • Stile di vita: attività, andatura, postura nel sonno e in posizione seduta.
  • Tipo di lavoro: portare carichi pesanti nelle professioni edili, star seduti a lungo al volante, stare molto in piedi in professioni quali il parrucchiere, la commessa, etc.
  • Difficoltà personali: problemi di coppia, preoccupazioni finanziarie, insoddisfazione nel lavoro, stress.
  • Salute: disturbi del sonno, nervosismo, paure, ipertensione, vari problemi di salute.

Soltanto in meno del 10% dei casi la lombalgia è causata da altre malattie, tra le quali osteoporosi, infiammazione o ernia del disco.

Cosa si può fare per ridurre il rischio di lombalgia correlato alla propria professione?

Contrariamente all’opinione ampiamente diffusa, non è consigliabile, quando si soffre di lombalgia, evitare di fare movimenti. Ciò contribuisce anzi a far persistere il dolore.

È importante che il paziente, per quanto possibile, continui la sua attività lavorativa. Allo stesso tempo è necessario effettuare una rapida ricerca sulle possibili cause del dolore, per potervi porre rimedio. Risistemare una postazione di lavoro che non è abbastanza ergonomica può essere sufficiente a far regredire una lombalgia cronica, come dimostrato in alcuni studi.

Il medico curante suggerirà insieme al medico del lavoro o al medico aziendale un nuovo allestimento del proprio luogo di lavoro. In caso di dolore alla schiena cronico molto forte bisognerà prendere in considerazione anche un cambiamento di lavoro o di attività.

Si possono assumere farmaci antidolorifici ?

Si. I farmaci antidolorifici e miorilassanti possono aiutare a calmare il dolore. A breve termine si potrà ricorrere anche ad analgesici da banco. In caso di dolore cronico, il medico prescriverà medicinali particolari, ad esempio i cosiddetti antiinfiammatori non steroidei, gli inibitori della COX-2 o altri antidolorifici. Egli valuterà inoltre quale sia la probabile durata del trattamento e i possibili effetti collaterali degli antidolorifici.

Si deve indossare una fascia lombare?

Indossare una fascia lombare può essere comodo, ma non può certo impedire la comparsa del dolore. Lo scopo di una fascia lombare è quello di consentire al paziente di acquisire una buona postura. Tuttavia, potrebbe trasmettere un falso senso di sicurezza e indurre il paziente a fare movimenti che possono danneggiare la schiena.

Si deve interrompere l’attività sportiva?

No. Si consiglia di praticare sport, per rafforzare la schiena e la relativa muscolatura e per ridurre il rischio di ricomparsa del dolore. È preferibile scegliere sport “leggeri” come il nuoto, il ciclismo, la marcia o la ginnastica eseguiti nella forma e nell’ambiente adeguati. Ricordate di fare un buon riscaldamento prima di qualsiasi attività fisica.

Potrete farvi aiutare, fra l’altro, dai centri di fitness che offrono corsi specifici per la schiena e speciali programmi di esercizi per allenare la muscolatura della schiena e acquisire la giusta postura. In questo modo si potranno evitare i dolori alla schiena.

Ci sono movimenti che è meglio evitare?

  • Sarebbe opportuno astenersi da ogni attività nella quale bisogna piegarsi o voltarsi spesso.
  • Evitare viaggi lunghi in automobile e regolare il sedile in posizione ottimale, se si deve rimanere a lungo seduti in auto. Quando si sta seduti, si dovrebbero prediligere il più possibile le posizioni in cui la schiena rimane eretta.
  • Controllare la propria postura quando si solleva un oggetto pesante. Piegarsi sulle ginocchia e alzarsi con la schiena in posizione eretta.
  • Utilizzare zainetti anziché borse a mano e ripartire il peso su entrambe le braccia in egual misura. Un’altra possibilità per salvaguardare la schiena sono le borse e le valigie con le rotelle.

Spesso il riposo rigoroso non è la giusta soluzione per una lombalgia persistente. Quasi sempre è più sensato cercare di approfondire il più rapidamente possibile le cause che la determinano e modificare opportunamente il modo in cui si compiono i movimenti.

Redazione a cura di “Malice & Co. (Francia). Revisione: Paolo Spriano, Medico di Medicina Generale, Milano

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Suggerimenti per uno stile di vita sano in menopausa

La menopausa è sinonimo di cambiamenti ormonali nella donna in età avanzata. Con l’inizio della menopausa si verifica il cambiamento della regolazione ormonale dell’organismo. 

Cosa accade in menopausa

  • La menopausa rappresenta in generale la fine del periodo di capacità riproduttiva. Il periodo della menopausa può variare e si situa fra i 40 e 50 anni d’età. È possibile constatare la sua comparsa dall’assenza delle mestruazioni e dal cambiamento degli ormoni prodotti dalle ovaie.
  • Si verifica una riduzione della produzione di estrogeni, ormoni sessuali femminili e nell’organismo aumenta la relativa parte di ormoni sessuali maschili. Quindi possono essere presenti sintomi quali vampate di calore, secchezza vaginale, problemi urinari, modificazioni dell’umore, ecc. 

 Modificazione degli organi attraverso il controllo ormonale

  • Con la diminuita produzione di estrogeni si verifica una riduzione dell’utero e una progressiva secchezza delle mucose. In caso di rapporti sessuali può essere necessario ricorrere ad ovuli vaginali.
  • Con la regressione del tessuto ghiandolare del seno anche le mammelle si riducono.
  • Le mucose della vescica e delle vie urinarie vengono irrorate in misura minore e la muscolatura del pavimento pelvico si rilassa. Una conseguenza potrebbero essere i problemi di minzione. In alcuni casi può essere utile la ginnastica per il pavimento pelvico. Per il resto bisognerebbe rivolgersi  al ginecologo.
  • In vecchiaia la massa ossea si riduce. Il rischio di osteoporosi aumenta e quindi si consiglia spesso l’assunzione di vitamina D e di bifosfonati, a seconda dell’entità dell’osteoporosi.
  • La carenza di estrogeni danneggia ulteriormente la cartilagine delle articolazioni. Di conseguenza possono comparire dolori più forti alle ginocchia e all’anca.

Quando si prende in considerazione la terapia ormonale sostitutiva?

  • Ad oggi, quando le vampate di calore arrecano disturbo alla paziente e pregiudicano sensibilmente la sua qualità di vita, spesso si consiglia la terapia ormonale sostitutiva.
  • Inoltre, bisogna considerare gli effetti positivi degli ormoni sul metabolismo. La terapia ormonale sostitutiva protegge dall’osteoporosi. Ogni caso è tuttavia differente e necessita di una valutazione personalizzata. Quindi il ginecologo potrà consigliare la cura più adeguata alla singola paziente.

Cosa può fare la paziente da sola?

  • L’alterazione ormonale non determina solo una modificazione degli organi, ma anche del metabolismo dei carboidrati e dei grassi.
  • Spesso la menopausa è connessa ad un aumento di peso e ad una contemporanea una riduzione della massa muscolare.
  • Per sostenere il metabolismo, ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e tenere sotto controllo il peso sono particolarmente importanti per la donna in menopausa un’alimentazione equilibrata e il movimento.

Qual è l’alimentazione consigliata?

  • Seguire un’alimentazione equilibrata e strutturata per prevenire un aumento di peso.
  • Mangiare molta verdura.
  • Mangiare 3 frutti al giorno e fare attenzione ai valori nutritivi (una mela contiene, per esempio, la stessa quantità di zucchero contenuta in 15 ciliegie o 15 acini d’uva).
  • Assumere meno grassi animali, soprattutto se si ha un’elevata colesterolemia.
  • Preferire le proteine vegetali, il pesce, il pollame e la carne magra e bianca. Mangiare la carne rossa al massimo tre volte a settimana.
  • Ridurre il consumo di alcool e bere in media non più di 2 bicchieri di vino al giorno.

Praticare sufficiente movimento

  • L’attività sportiva produce effetti favorevoli sul metabolismo:
      • Riduce i livelli di zucchero nel sangue.
      • Mantiene la massa muscolare, importante per il metabolismo.
      • Aumenta la capacità dell’organismo di utilizzare l’insulina.
      • Favorisce la riduzione e la stabilizzazione del peso.
      • Sono preferibili il nuoto o le passeggiate. Per la marcia sportiva le pazienti dovrebbero sempre aver cura dei piedi e scegliere con attenzione  delle calzature idonee.

In menopausa si verifica un cambiamento del metabolismo ormonale. Spesso la menopausa è associata ad una serie di disturbi fisici. Si può prendere in considerazione una terapia ormonale sostitutiva. L’attività fisica e un’alimentazione equilibrata sono particolarmente importanti in questa fase della vita.

Redazione a cura di “Malice & Co. (Francia). Revisione: Paolo Spriano, Medico di Medicina Generale, Milano

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L’emicrania nei bambini, gestanti ed anziani

Nei bambini, negli anziani e nelle gestanti l’emicrania si presenta talvolta in forme particolari o può presentare variazioni nel quadro clinico. 

L’emicrania nei bambini

  • Anche i bambini possono soffrire di emicrania, soprattutto nel caso in cui anche i genitori sono emicranici.
  • L’emicrania si manifesta al più presto intorno al terzo o quarto anno di età.
  • In media i bambini presentano un attacco di emicrania al mese, che di regola dura soltanto alcune ore. La durata media è di 4 ore. Le cefalee non sono molto forti, anzi si ha una prevalenza di fenomeni vegetativi tra i quali nausea, vomito o mal di pancia.
  • Nel caso in cui si presenti un attacco di emicrania, i bambini si comportano istintivamente nel modo giusto. Evitano infatti gli stimoli rumorosi così come quelli luminosi e vanno spontaneamente a letto. Dopo aver dormito qualche ora, si sentono quasi sempre visibilmente meglio.
  • Nei bambini si possono presentare due forme particolari di emicrania, in assenza di cefalea:
      • Vomito ciclico
      • Vertigini periodiche
  • Il primo non ha una causa riconoscibile e si manifesta con nausea, vomito e mal di pancia.
  • Le vertigini periodiche sono associate a forte capogiro, nausea e vomito.
  • Nella metà dei giovani pazienti l’emicrania scompare durante la pubertà, nell’altra metà invece persiste.
  • Il trattamento farmacologico nei bambini deve essere differente da quello degli adulti. Si possono somministrare soprattutto farmaci antiemetici e paracetamolo, ma non antiemicranici per uso nei pazienti adulti.

L’emicrania in gravidanza

  • In gravidanza, nella maggior parte dei casi le cefalee migliorano o addirittura scompaiono del tutto.
  • Gli studi evidenziano che ciò si può riscontrare in circa l’80 per cento delle pazienti.
  • Inoltre, è importante osservare che la forma dell’emicrania può cambiare. Se le donne prima della gravidanza soffrivano di emicrania con aura, durante la gravidanza questo stadio precoce dell’attacco scompare in quasi la metà delle pazienti. Spesso, però, dopo il parto, gli attacchi ritornano e nelle successive gravidanze non scompaiono più.
  • Durante la gravidanza, le cefalee non dovrebbero essere trattate con terapia farmacologica, ma piuttosto con tecniche di rilassamento o linfodrenaggio.
  • Durante la gravidanza e l’allattamento è possibile assumere farmaci antiemicranici ma soltanto in caso di emicrania molto forte e dopo aver consultato il medico.

L’emicrania in età avanzata/vecchiaia

  • In Italia, un paziente cefalalgico su tre ha un’età superiore ai 65 anni. Tuttavia, la percentuale di pazienti che soffrono di emicrania è inferiore al 12%. È quindi dimostrato che in vecchiaia l’emicrania è rara.
  • Quasi sempre, nelle donne in post-menopausa, la frequenza degli attacchi emicranici diminuisce. Tuttavia, questo non è sempre valido: talvolta l’emicrania può persistere o peggiorare.
  • Complessivamente gli uomini anziani soffrono più raramente di cefalee e presentano anche meno problemi di emicrania.
  • Non ci sono particolari raccomandazioni terapeutiche per i pazienti cefalalgici anziani. Tuttavia, alcuni farmaci antiemicranici, tra i quali i derivati dell’ergot e i triptani producono un restringimento dei vasi. Per questo motivo i pazienti emicranici che soffrono anche di cardiopatia coronarica dovrebbero consultare il medico curante per accertare se possono continuare ad assumere i farmaci abituali.

Il 3-4%dei bambini soffre di emicrania. Tuttavia, essi presentano soprattutto i fenomeni associati, tra i quali vomito e mal di pancia. Una forma particolare di emicrania nei bambini si presenta senza cefalea.

Durante la gravidanza in molti casi non si presentano attacchi di emicrania, ma a volte può cambiare la forma di emicrania. Tuttavia, dopo il parto le cefalee emicraniche di solito ricompaiono.

È vero che l’emicrania può migliorare in età avanzata, tuttavia, spesso, non scompare del tutto. Nel caso in cui si assumano dei farmaci antiemicranici, bisognerebbe  verificarne le possibili interazioni con gli altri farmaci.

Redazione a cura di “Malice & Co. (Francia). Revisione: Paolo Spriano, Medico di Medicina Generale, Milano

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Conoscere meglio la sclerosi a placche

La sclerosi a placche è una malattia infiammatoria del sistema nervoso centrale che provoca un danno parziale alla guaina delle fibre nervose.  

Cos’è la sclerosi a placche (SM)?

E’ una malattia infiammatoria del sistema nervoso centrale.
Sembra che il sistema immunitario sia responsabile della perdita, in diverse aree del sistema nervoso, di mielina (guaina protettiva che avvolge le fibre nervose) che viene sostituita da un tessuto simile a quello cicatriziale (sclerosi).
Tale danno forma delle placche di tessuto cicatriziale, da cui il nome «sclerosi a placche».

E’ una malattia ereditaria?

Tra i diversi fattori che intervengono nella malattia, quello genetico è molto probabile, nel senso che la malattia non è dovuta a trasmissione ereditaria, ma nell’ambito di una stessa famiglia possono esistere alcuni geni simili che favoriscono l’insorgenza della malattia.

Esistono altre cause?

Non tutte le cause sono note. Si tratta verosimilmente di una malattia nella quale sembra che il sistema immunitario (difesa dell’organismo) attacchi la mielina come se si trattasse di un elemento estraneo (malattia autoimmune).

Esistono diversi tipi di SM?

Esistono tre tipi principali di SM.

  • La forma più frequente è la sclerosi multipla a decorso recidivante-remittente (SM-RR). Si manifesta con degli episodi acuti ben definiti che possono lasciare o meno una disabilità supplementare, senza che il deficit  progredisca tra un attacco e l’altro.
  • La sclerosi multipla secondariamente progressiva (SM-SP) interessa la metà dei pazienti colpiti di età compresa tra i cinque e i venti anni. Dopo una prima fase di attacchi irregolare con eventuale disabilità addizionale, il secondo periodo è caratterizzato da un peggioramento lento e regolare della disabilità (già presente) che può essere associata a nuovi attacchi.
  • La sclerosi multipla primariamente progressiva (SM-PP) colpisce una percentuale ridotta di pazienti. La disabilità iniziale peggiora progressivamente senza attacchi  rilevanti. Questa forma così insidiosa di SM è più frequente quando la malattia ha un’insorgenza tardiva.

Qual è il meccanismo degli attacchi?

Le placche rallentano o interrompono la conduzione degli impulsi nervosi (come se si verificasse un abbassamento o un’interruzione di corrente elettrica). A questo punto, in base alla localizzazione delle placche, compaiono i segni neurologici. Questo è ciò che si definisce un «attacco».

Quali sono i sintomi?

Le manifestazioni degli attacchi sono diverse e variano in base al tipo di SM, all’età del paziente e alla durata della malattia.
Può trattarsi di:

  • Disturbi della sensibilità: perdita di sensibilità, formicolio o dolore ad un arto, ad un lato del corpo, alle gambe, o anche ad un’altra parte del corpo.
  • Perdita o abbassamento della vista in un occhio (spesso dolorosa/o).
  • Perdita della motricità di un arto, di un lato del corpo: fastidio nel camminare.
  • Disturbi dell’equilibrio.
  • Disturbi urinari (urgenza urinaria, difficoltà ad urinare).

Gli attacchi sono spesso associati ad un notevole affaticamento.

Quanto possono durare gli attacchi?

Un attacco può protrarsi per almeno 24 ore.
Di solito sono di breve durata, ripetuti, ma reversibili.
Talvolta, i periodi che intercorrono tra un attacco e l’altro sono molto lunghi; altre volte, un attacco può determinare una disabilità parziale e irreversibile.
In caso di attacco, è necessario avvisare il medico curante e il neurologo di riferimento che proporrà un trattamento  adeguato. Ciò consentirà di ridurre la durata dell’attacco. La somministrazione può essere effettuata presso la struttura ospedaliera oppure a domicilio da un servizio di assistenza specialistica.
In caso di attacco, non ricorrete a trattamenti su Vostra iniziativa.

Chi può essere colpito da SM?

Non esiste una predisposizione nota per questa malattia. Essa si manifesta spesso tra i 20 e i 40 anni e ne vengono colpite  3 donne ogni 2 uomini. Si tratta della principale causa di disabilità nei giovani adulti non correlata ad incidenti.

Come si effettua la diagnosi?

La diagnosi si basa essenzialmente sui sintomi e viene completata da un esame neurologico.
La RMN (risonanza magnetica nucleare) è un esame indolore che consente di osservare le «placche», di determinare la forma evolutiva di SM e di confermare la diagnosi in base a criteri ben precisi.
In alcuni casi, è necessaria una puntura lombare per analizzare il liquido cerebrospinale (liquido in cui è immerso il sistema nervoso).
Si può inoltre completare la valutazione del sistema nervoso centrale con l’esame del nervo ottico (potenziali evocati visivi).
In genere, si escludono, con un prelievo sanguigno, le malattie che «mimano» la SM. In questo caso, il trattamento sarà diverso.

Quali sono le terapie?

Il neurologo Le prescriverà una terapia e il medico curante assicurerà che venga seguita.
Il trattamento è adeguato alla forma di SM di cui soffrite e mira a ridurre il numero, la durata, l’intensità degli attacchi e a migliorare la disabilità.
Si tratta, in genere, di terapie auto-iniettive (come quelle dei pazienti diabetici), ma presto saranno messi in commercio nuovi trattamenti per via orale.
Nelle forme ricorrenti, i trattamenti, se somministrati precocemente, hanno dimostrato di essere efficaci nel ridurre sia il numero di attacchi annui, sia la potenziale disabilità addizionale.
Allo stesso tempo, i sintomi funzionali della malattia potranno essere curati dalle diverse figure professionali richieste in base alle necessità individuali: kinesiterapista, psicologo, ergoterapeuta …

La sclerosi a placche è una malattia invalidante che richiede molto coraggio e determinazione.
Ne parli con parenti e amici e non esiti a farsi aiutare.
Le ricerche in corso sono numerose e le conoscenze evolvono continuamente.
È importante avere un rapporto di fiducia con il proprio neurologo.

Redazione a cura di “Malice & Co. (Francia). Revisione: Paolo Spriano, Medico di Medicina Generale, Milano

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Nuovi risultati mettono in dubbio i benefici cardiovascolari della sostituzione dei grassi saturi con l’acido linoleico

Contesto

Il consiglio alimentare di sostituire i grassi animali, ricchi di acidi grassi saturi, con olî vegetali, ricchi di acidi grassi polinsaturi (PUFA), è un elemento importante di molte linee guida mondiali volte a contribuire alla riduzione del rischio di cardiopatia coronarica. L’acido linoleico omega 6 è uno dei PUFA più noti per il quale è stata dimostrata una capacità di riduzione dei livelli di colesterolo totale e colesterolo LDL. Gli effetti dell’assunzione di acido linoleico sui tassi di decesso per cardiopatia coronarica e malattia cardiovascolare non sono tuttavia ancora del tutto chiari.

  • Per questo articolo di recente pubblicazione, i ricercatori sono riusciti a valutare i dati recuperati dal Sydney Diet Heart Study, condotto tra il 1966 e il 1973.
  • Nello studio sono stati inseriti 458 uomini di età compresa tra 30 e 59 anni con evento coronarico recente. Ai partecipanti assegnati al gruppo di intervento è stato chiesto di sostituire i grassi alimentari di origine animale con l’acido linoleico omega 6 e sono stati forniti loro alimenti adeguati. Ai partecipanti assegnati al gruppo di controllo non è stata fornita alcuna indicazione specifica sulla dieta né gli alimenti oggetto dello studio.
  • Il follow-up medio dello studio è stato di 39 mesi. I ricercatori hanno osservato che il gruppo di intervento ha riportato un tasso di decesso per tutte le cause più elevato rispetto al gruppo di controllo (rispettivamente 17,6% contro 11,8%; p=0,05).
  • Il gruppo di intervento ha altresì mostrato tassi significativamente più elevati di decesso per malattia cardiovascolare (rispettivamente 17,2% contro 11,0%; p=0,04) e cardiopatia coronarica (rispettivamente 16,3% contro 10,1%; p=0,04).
  • L’inserimento dei dati recuperati in una meta-analisi aggiornata degli studi di intervento riguardanti l’acido linoleico ha portato i ricercatori ad individuare trend non significativi verso un aumento del rischio di mortalità per cardiopatia coronarica e malattia cardiovascolare nel gruppo di intervento rispetto ai controlli.

Conclusione

I ricercatori concludono affermando che i risultati di questo studio e l’aggiornamento della meta-analisi non hanno individuato “alcuna evidenza di benefici a livello cardiovascolare” collegata all’utilizzo di acido linoleico. Scrivono: “Questi risultati potrebbero avere implicazioni importanti sul parere nutrizionale mondiale relativo alla sostituzione dei grassi saturi con l’acido linoleico omega 6 o con i grassi polinsaturi in generale”.

Ramsden CE, Zamore D, Leelarthaepin B, et al. Use of dietary linoleic acid for secondary prevention of coronary heart disease and death: evaluation of recovered data from the Sydney Diet Heart Study and updated meta-analysis. BMJ. 2013;doi:10.1136/bmj.e8707. 

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