Negli adulti di et? dai 50 anni in su, ? sicuro ed efficace somministrare la vaccinazione contro l’Herpes Zoster contemporaneamente ad un vaccino antiinfluenzale inattivato. Il vaccino anti-Zoster ? stato consigliato negli USA a tutti i soggetti sopra i 60 anni, in quanto esso riduce significativamente l’incidenza dello zoster e della nevralgia posterpetica e modera i sintomi nei pazienti che ne vengono colpiti. Sulla base di queste raccomandazioni e dei dati del presente studio, potrebbe essere effettuato qualche cambiamento nella strategia vaccinale dell’adulto. La vaccinazione simultanea non comporta se non raramente effetti collaterali sistemici. (J Am Geriatr Soc. 2007; 55: 1499-507)
Lo studio, su 157 donne di almeno 18 anni con uno o pi? fibromi di almeno 2 cm e sintomi tali da giustificare la terapia chirurgica, ha confrontato con scale di valutazione la qualit? di vita a 1, 6, 12, 21 mesi e poi annualmente, in seguito a embolizzazione o a intervento (isterectomia o miomectomia, per via addominale). A un anno non sono risultate differenze significative tra i due gruppi, inoltre il ricovero post-embolizzazione ? stato significativamente pi? breve e il ritorno alle attivit? usuali notevolmente pi? rapido; anche il dolore a 24 ore era minore, anche se a un mese e a un anno i punteggi erano migliori nel gruppo chirurgia. Complicanze ed eventi indesiderati sono stati di pi? tra le embolizzate ma non significativamente, il 9% delle embolizzate poi ha dovuto ripetere la procedura o ricorrere a isterectomia per controllo inadeguato dei sintomi e dopo il primo anno il 13% ? stato ricoverato per eventi avversi o reintervento. Dal punto di vista economico, infine, a un anno l?embolizzazione ? risultata pi? vantaggiosa.
Farmaci per l?ipertensione, anzi classi di farmaci, ce ne sono parecchie che differiscono per azione ed efficacia, anche in funzione delle caratteristiche individuali, per?, hanno lo stesso profilo sul piano degli effetti indesiderati. Scegliere quindi il pi? adatto, da questo punto di vista non ? facile, anche perch? non tutte le diverse classi sono state confrontate una con l?altra. In situazioni come queste vengono in aiuto le tecniche statistiche che consentono, con una buona approssimazione, di mettere a confronto tra di loro risultati ottenuti in studi diversi. Di queste tecniche, una delle pi? recenti ? la network metanalysis, che permette di paragonare tra loro i risultati ottenuti con due farmaci diversi, anche se questi non sono mai stati messi a confronto diretto in uno studio. Una network metanalysis ? stata impiegata per paragonare tra loro le diverse classi di antipertensivi in funzione del loro effetto sullo sviluppo di diabete, o peggioramento della resistenza insulinica. E? un effetto noto gi? dalla fine degli anni cinquanta, particolarmente importante perch?, effettivamente, buona parte delle persone ipertese o presenta gi? questa condizione, oppure presenta resistenza insulinica oppure ancora caratteristiche che possono determinarle, come l?obesit?.
Un dato chiaro?
Ovviamente, gi? si sapeva che alcuni farmaci, per esempio gli ACE inibitori, hanno una funzione protettiva nei confronti del diabete, ma una vera e propria classifica in questo senso non era stata tracciata. Cos? gli autori di questa ricerca hanno selezionato 21 studi clinici, per un totale di 143.153 pazienti suddivisi in 48 gruppi. Diciassette studi erano stati condotti su pazienti ipertesi, tre su pazienti ad alto rischio e uno su pazienti con insufficienza cardiaca. Nessuno, all?inizio delle ricerche cui avevano partecipato, presentava diabete. Scopo dell?analisi era determinare in quanti, alla fine dello studio, si era presentata la malattia. Detto cos? sembra facile ma non lo ? affatto. Il risultato ? stato che effettivamente gli antipertensivi cui si associa una minore insorgenza del diabete sono gli ACE inibitori, appaiati agli inibitori dei recettori dell?angiotensina. Quelli con il maggior numero di casi associati sono i diuretici, con rischio relativo pari a uno e poi i beta bloccanti e i calcio-antagonisti, che non differiscono dal placebo. Com??, come non ?, sono le due classi pi? recenti ad aver riportato i risultati migliori.
?con risvolti pratici incerti
Ottenuto il dato, che cosa se ne fa il medico? La risposta ? pi? difficile, perch? in termini assoluti le differenze sono piccole: in altre parole, tra un farmaco e l?altro la differenza non supera il 3,6%. Inoltre, gli studi non sono sufficientemente lunghi per stabilire se il diabete cos? sviluppatosi ? a sua volta causa di una malattia di cuore, evento che l?antipertensivo dovrebbe evitare. Quanto alla scelta iniziale del trattamento, dunque, rimangono disparit? di opinione: se negli Stati Uniti si consiglia, anche per l?ipertensione non complicata, di partire con un diuretico, il National Institute for Health and Clinical Excellence indica di considerare diuretici e betabloccanti come terza o quarta scelta. Gli autori giustamente dicono anche per ragioni economiche, visto che trattare il diabete ? costoso. Ma d?altra parte ci sono ragioni economiche anche nella scelta di partire con i diuretici (i pi? vecchi e i meno cari). E a complicare il tutto c?? la differenza di risposta del paziente? Una cosa ? certa, per?, la scelta peggiore ? trascurare l?ipertensione: tutto il resto ? meglio, di molto.
Dolori muscolari, a carattere cronico ed estesi, con ipersensibilit? al dolore (iperalgesia) e dolore da stimoli cutanei innocui (allodinia), rigidit? mattutina e affaticamento, accompagnati da altri e variegati sintomi. La fibromialgia o sindrome fibromialgica, spesso ? caratterizzata anche da disturbi del sonno, depressione, ansia, cefalea, dolori addominali, problemi intestinali e urinari, e altro ancora. Manifestazioni che possono far confondere con altre patologie, come la polimialgia reumatica che d? rigidit? in zona scapolo-omerale, pelvica e al tronco, e la sindrome da fatica cronica. La fibromialgia, peraltro, ? una malattia identificata da tempo ma con cause che restano da chiarire, con il ruolo scatenante di stress psicofisici, cambiamenti climatici, attivit? fisica, e una ridotta soglia del dolore (nocicettiva), e per la quale sono poco definite anche le indicazioni terapeutiche. Esistono in realt? numerose opzioni di trattamento, farmacologiche e non, ma c?? una carenza da colmare rispetto alla disponibilit? di linee-guida sulla gestione della fibromialgia. Una mancanza alla quale ha voluto supplire l?EULAR (European League Against Rheumatism), che ha elaborato e appena pubblicato raccomandazioni basate sulle evidenze migliori e sull?opinione degli esperti.
Antidolorifici, antidepressivi, esercizio e altro
Al lavoro ha partecipato una task force multidisciplinare di autori di undici paesi europei, che da una mole di studi hanno selezionato i pi? rigorosi, considerati 39 per quelli farmacologici e 59 per i non farmacologici. Alla fine ne sono state tratte nove raccomandazioni sull?approccio alla patologia, non sempre con la massima forza dell?evidenza anche per le casistiche ridotte di molti lavori, tanto che l?intenzione annunciata ? di aggiornare le linee guida ogni cinque anni. Due sono le considerazioni di gestione generale: la comprensione della malattia richiede una valutazione complessiva del dolore, della funzionalit? e del contesto psicosociale del soggetto, essendo la fibromialgia una condizione eterogenea che coinvolge l?elaborazione dello stimolo doloroso e altre caratteristiche secondarie. Inoltre il trattamento deve avere carattere multidisciplinare, con una combinazione di interventi farmacologici e non, personalizzato dopo il colloquio con il paziente in base a intensit? del dolore, disfunzionalit?, disturbi associati come depressione, astenia, disturbi del sonno. Seguono quattro raccomandazioni specifiche sugli approcci non farmacologici: l?immersione in acqua calda, con o senza esercizi, ? efficace; per alcuni soggetti ? utile un programma individuale di esercizi aerobici e di forza; in alcuni casi ? benefica la terapia cognitivo-comportamentale; a seconda delle esigenze specifiche del malato possono essere indicate tecniche di rilassamento, riabilitazione, fisioterapia, supporto psicologico e altro. Le ultime tre raccomandazioni sono di ambito farmacologico: per la gestione del dolore una molecola indicata ? il tramadolo, ma non sono indicati, invece, oppiodi pi? forti n? corticosteroidi (infatti non c?? infiammazione), mentre altre opzioni possono includere quelli pi? deboli e analgesici semplici come il paracetamolo; gli antidepressivi sono raccomandati in quanto riducono il dolore e spesso migliorano la funzionalit?, tra le opzioni appropriate triciclici come l?amitriptilina, SSRI quali la fluoxetina, SNRI (inibitori reuptake serotonina e noradrenalina) come duloxetina e milnacipram, anti-MAO come moclobemide e pirlindolo; utili in quanto riducono il dolore gli anticonvulsivanti quali tropisetron, pramipexolo e pregabalin. Qualunque sia l?opzione farmacologica, vale sempre la considerazione che l?approccio migliore alla fibromialgia ? quello multidisciplinare.
Nei pazienti con febbre recidivante da puntura di zecca l’ARDS potrebbe intervenire pi? frequentemente del previsto. Questo tipo di febbre ? endemica in alcune regioni occidentali, ed ? causata dall’infezione da Borrelia trasmessa dalle punture di zecca. In base al presente studio, l’ARDS colpisce circa il cinque percento di questi pazienti. Negli USA la febbre recidivante da puntura di zecca non ? una malattia a segnalazione nazionale obbligatoria, ma gli autori dello studio suggeriscono che i pazienti sospetto dovrebbero essere segnalati alle strutture di sorveglianza sanitaria regionali o nazionali. (Mor Mortal Wkly Rep CDC Surveill Summ 2007; 56: 1073-6)
Rispetto alla paracentesi, l’impiego di uno shunt portosistemico intraepatico transgiugulare (TIPS) pu? migliorare il tasso di sopravvivenza in alcuni pazienti con cirrosi epatica che presentano un’ascite difficile da trattare. Il TIPS ? infatti un trattamento per l’ascite refrattaria nei pazienti cirrotici che pu? migliorare sia la sopravvivenza che la qualit? della vita. Tale tecnica tuttavia non ? applicabile a tutti i pazienti: et?, livelli di bilirubina, sodio plasmatico ed allocazione del trattamento risultano indipendentemente associati alla sopravvivenza libera da trapianto. Il successo dell’applicazione di un TIPS, inoltre, ? correlato all’esperienza del radiologo. (Gastroenterology 2007; 133: 825-34)
L’epatite B e C ? comune nei bambini con infezione da Hiv, che dovrebbero ricevere uno screening di routine per queste infezioni. Bench? bambini ed adolescenti con Hiv stiano vivendo vite pi? lunghe e sane, vi ? una certa carenza di ricerca sulla gestione dell’epatite cronica nei bambini. Il basso numero di casi documentati di infezione cronica da Hcv nei gruppi di bambini pi? piccoli esposti all’Hiv riflette l’effetto dello screening universale dei donatori di sangue e l’espansione dell’uso della terapia HAART in gravidanza. Negli ultimi 15 anni abbiamo assistito ad una rimarchevole diminuzione del tasso di acquisizione perinatale delle infezioni da Hbv ed Hcv, ma ci? nonostante, data l’elevata prevalenza della coinfezione documentata nel presente studio, sarebbe prudente effettuare uno screening di tutti gli adolescenti con Hiv per l’epatite virale. Tali coinfezioni sono comunque probabilmente molto pi? comuni in Africa d in Asia, a causa dell’impossibilit? di controllare i prodotti ematici e della mancanza di accesso alla vaccinazione anti-Hbv. (Clin Infect Dis 2007; 45: 795-8)
La notizia. Uno sguardo? Non basta. Stop alla leggenda dell?intuito dei medici: le diagnosi si fanno con l?analisi delle informazioni e valutando tutte le alternative. Lo sostiene uno dei medici pi? famosi al mondo in un libro che sta facendo rumore.
Il mito sfatato. L?intuito ha sempre avuto una enorme folla di fan in ogni campo del sapere umano. Non fa eccezione la Medicina, un ambito nel quale le storie su diagnosi fatte al primo sguardo abbondano da secoli. Eppure sono altrettanto numerosi i casi di errori diagnostici gravissimi dovuti all?eccessiva importanza data dai medici al loro intuito.?Sull?argomento ? da poco uscito un libro dal titolo ?How doctors think?: un?analisi incisiva e a tratti spietata dei processi attraverso i quali i medici?sintetizzano le informazioni e comprendono le patologie.?Jerome Groopman, professore di Medicina alla Harvard Medical School, direttore del settore Experimental Medicine al Beth Israel Deaconess Medical Center e autore del saggio, spiega: ?Per la maggior parte gli errori di valutazione dei medici sono errori di pensiero, causati?a volte?dai nostri sentimenti, sentimenti che non sempre ammettiamo e spesso nemmeno sappiamo di provare?.
Le radici degli errori. Gli errori di attribuzione tipicamente si verificano quando le riflessioni dei medici sono viziate da stereotipi. Questi stereotipi possono essere negativi, come nel caso (raccontato da Groopman nel libro) in cui ben cinque medici hanno fallito nel diagnosticare un tumore endocrino a una donna che descriveva sintomi bizzarri ma premetteva di essere ?un po? pazza?. Oppure positivi, come nel caso in cui un medico del Pronto Soccorso non ha diagnosticato un?angina instabile (che poi ha portato ad un infarto del miocardio il giorno seguente) a una guardia forestale 40enne ?perch? gli ricordava un Clint Eastwood giovane e in piena forma?.?Aggiunge Groopman: “La specializzazione in Medicina conferisce un falso senso di certezza. Nel nostro campo meglio sottolineare le virt? della ponderazione, della cautela e del pensiero sistematico anzich? scommettere sull?intuito?. E se la responsabilit? di tanta malriposta fiducia nell?intuito personale fosse anche da imputare ai pazienti? ?Si tende a conferire ai medici una qualit? oracolare che inevitabilmente influenza l?atteggiamento del medico?.
Che fare? Qualche consiglio per i medici? ?Sempre prendere sul serio le teorie dei pazienti o delle madri dei bambini su quanto sta succedendo, non importa quanto bizzarre sembrino. I pazienti devono sentirsi liberi di commentare i sospetti del medico, e tutti devono fare a meno di generalizzazioni. Nessuno, n? medico n? paziente, dovrebbe mai accettare come prima risposta: Capita, a volte?. In pi?, i medici devono diffidare delle diagnosi che paiono ovvie e generare sempre una lista di diagnosi alternative pronte per ogni evenienza.
Bere pi? di una bibita analcolica al giorno aumenta il rischio di sviluppare tratti metabolici negativi e sindrome metabolica, e questo riguarda anche le bevande dietetiche e con calorie zero. Il consumo di bibite analcoliche ? triplicato dal 1977 al 2001, come anche le loro dimensioni. In base al presente studio, i soggetti che le bevono presentano un maggiore apporto calorico, un consumo maggiore di grassi saturi e trans, una minore assunzione di fibre e latticini ed uno stile di vita pi? sedentario. Le bibite dietetiche inoltre potrebbero anche indurre una risposta condizionante in cui la bibita promuove una preferenza dietetica per i cibi dolci; dato che queste bevande sono liquide, inoltre, chi le assume tende a mangiare di pi? al pasto successivo in quanto i liquidi non saziano. Il caramello nelle bibite, infine, ? stato associato a danno tissutale ed infiammazione, il che potrebbe contribuire all’aumento del rischio. Tutte queste teorie, comunque, sono dibattute in letteratura. (Circulation online 2007, pubblicato il 23/7)
La maggior parte dei neonati con infezione da Hiv nonostante la profilassi perinatale corrisponde ai criteri WHO per la terapia HAART entro sei mesi. Nessuno studio prima aveva descritto la progressione nei neonati infetti nonostante la profilassi, o aveva investigato l’efficacia della terapia antiretrovirale in questo ambito. In base al presente studio, ? di importanza cruciale che le donne abbiano accesso alla conta CD4 durante la gravidanza e che la terapia antiretrovirale sia resa disponibile per le pazienti con malattia avanzata, sia per migliorare lo stato di salute della madre che per prevenire la trasmissione pi? efficacemente degli attuali regimi perinatali. Dato che i neonati in cui le strategie preventive falliscono progrediscono molto rapidamente, ? necessario offrire test idonei ai neonati nelle zone a risorse limitate e rendere disponibili terapie antiretrovirali precoci. E’ inoltre necessario sviluppare strategie alternative alle terapie antiretrovirali a vita per controllare l’epidemia di hiv pediatrico. (AIDS 2007; 21: 1253-61)