Il fumo fa male anche agli occhi?

l’effetto del fumo sulla superficie oculare e sul film lacrimale

E’ risaputo che il fumo, sia attivo che passivo, crei una pletora di problemi di salute, che colpiscono soprattutto il sistema cardiovascolare e quello respiratorio. Ci sono poche prove, invece, sugli effetti del fumo di tabacco a carico degli occhi. Un recente studio ha cercato di colmare questa lacuna, esaminando gli effetti del fumo sulla superficie degli occhi dei fumatori.

L’uso del tabacco uccide più di cinque milioni di persone ogni anno ed è responsabile di un decesso su 10 negli adulti. Si stima che l’uso del tabacco possa uccidere più di otto milioni di persone all’anno entro il 2030.

Pochi sanno che il fumo colpisce anche gli occhi: il ridotto flusso sanguigno indotto dal fumo può favorire la formazione di coaguli all’interno dei capillari degli occhi, riducendo l’apporto di ossigeno e di altri oligoelementi che sono essenziali per la salute degli occhi. I radicali liberi che si producono per effetto del fumo, inoltre, possono alterare la funzionalità delle cellule che compongono i tessuti oculari.

Per i fumatori è dimostrato un aumento del rischio di sviluppare cataratta precoce ed altre gravi malattie come la degenerazione maculare, la retinopatia diabetica, il glaucoma, l’oftalmopatia di Graves, e la neurite ottica.

La relazione tra il fumo e l’occhio secco non è stata ampiamente studiata, ma per coloro che soffrono di secchezza oculare, il fumo è un irritante significativo, che porta a sintomi come prurito, sensazione di corpo estraneo e bruciore degli occhi. Questi sintomi sono tipici della sindrome dell’occhio secco, e sono causati da disfunzioni del film lacrimale, il sottile sttrato di lacrime che copre l’intera cornea e la congiuntiva bulbare.

L’occhio secco è uno dei problemi più comuni che riscontriamo nei nostri ambulatori. Il trattamento si basa quasi sempre sulla somministrazione di sostituti lacrimali, che forniscono un minimo di sollievo dai sintomi per un breve periodo di tempo, ma richiedono una frequente applicazione.

Nello studio sono stati confrontati gli occhi di 51 fumatori e 50 non fumatori, ed è risultato che i fumatori avevano una ridotta stabilità della lacrimazione ed una sensibilità corneale significativamente peggiore rispetto ai non fumatori. Anche la superficie corneale presentava segni di sofferenza (esaminati con tecniche di colorazione specifica) che non erano presenti fra i non fumatori.

I risultati dello studio hanno confermato e sottolineato il fatto che il fumo cronico ha effetti nocivi sul film lacrimale, primo sistema di protezione dei nostri occhi, e sulla superficie oculare, e gli effetti sono tanto più gravi quanto più ci si espone.

Abbiamo quindi un’ulteriore prova degli effetti nocivi del tabacco (caso mai ce ne fosse ancora bisogno…), ma ci auguriamo che la maggiore consapevolezza sui danni da fumo di sigaretta possa fornire una motivazione in più per convincere i più coriacei a smettere di fumare.

Coraggio!

 

 

Fonte:  Australas Med J. 2012; 5(4): 221–226. The effect of smoking on the ocular surface and the precorneal tear film

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Omeprazolo e magnesio: un altro effetto collaterale pericoloso

Un dato importante su un pericoloso effetto collaterale di omeprazolo e magnesio ci arriva da un lavoro recentemente pubblicato.

Gli inibitori di pompa protonica sono comunemente utilizzati nella terapia di tutte le malattie correlate ad un’ ipersecrezione acida da parte dello stomaco.

In letteratura viene segnalato un numero piccolo ma in aumento di pazienti nei quali i livelli ematici di magnesio sono troppo bassi per effetto di assunzione prolungata di inibitori di pompa protonica.

Il meccanismo molecolare alla base di questo fenomeno non è stato identificato  ma sembrerebbe correlato ad una ridotta capacità di assorbimento del magnesio da parte dell’ intestino.

Nei casi osservati il fenomeno  è comparso in genere dopo assunzione prolungata del farmaco, mediamente 5 anni con estremi però variabili tra 14 giorni e 13 anni.

In tutti i casi alla sospensione del farmaco la magnesiemia è rientrata nei valori normali e si è nuovamente ridotta in caso di ripresa della terapia.

Somministrando a questi pazienti un antiH2, ovvero un farmaco della classe della cimetidina per inibire la secrezione acida non si è osservato alcun effetto sulla magnesiemia

L’ ipomagnesiemia è una condizione potenzialmente seria e si manifesta con tetano, crisi convulsive,aritmie cardiache e ipocalemia secondaria.

Lo studio ha osservato 36 casi citati in 18 articoli apparsi in letteratura dal 2006, i pazienti erano sia maschi sia femmine di età variabile e nel 75% dei casi l’ inibitore di pompa assunto era l’omeprazolo.

Questo effetto collaterale peraltro si è osservato anche dopo assunzione di altri farmaci quali gentamicina, ciclosporina e cisplatino ed il numero di casi identificati è piccolissimo rispetto ai pazienti che assumono il farmaco, tuttavia è pur vero che molti casi potrebbero non essere stati riconosciuti essendo giunti all’ attenzione solo quelli con una sintomatologia severa tale da porre il sospetto e condurre ad un dosaggio della mangnesiemia.

In conclusione gli Autori suggeriscono di dosare periodicamente il magnesio in pazienti che assumono cronicamente inibitori di pompa, prestare particolare attenzione ad eventuali sintomi e nei casi identificati sospendere la somministrazione del farmaco e sostituirlo eventualmente con un derivato della cimetidina.

 

M.W. Hess et al, Alim Pharm Ther, 2012;36 (5): 405-413

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Probiotici: quando servono, quali scegliere e come assumerli

Nel tratto digestivo dell’ uomo sono presenti circa 500 diverse specie di batteri che facilitano la digestione, producono alcune vitamine del gruppo B, k, la folina e favoriscono lo sviluppo del nostro sistema immunitario.

I probiotici sono microorganismi viventi che esercitano un effetto benefico sulla salute dell’ ospite che li accoglie se somministrati in quantità adeguata.

Devono infatti sopravvivere in quantità adeguata all’ ambiente acido dello stomaco ed alcalino della bile per raggiungere l’ ileo ed il colon e qui svolgere la loro azione.

Non tutti i microrganismi tuttavia sono efficaci e nelle diverse patologie sono indicati diversi ceppi.

Molti yogurt ad esempio contengono ceppi di lactobacilli senza però essere considerati probiotici perché la quantità contenuta non è sufficiente, non è pertanto corretto consigliare la semplice assunzione di yogurt a pazienti nei quali si vuole ottenere un effetto conseguente alla somministrazione di probiotici.

La maggior parte di loro vive nell’ intestino durante la somministrazione ma non lo colonizza, è corretto quindi continuare ad assumerli per tutto il periodo durante il quale si vuole ottenere un effetto terapeutico.

Vediamo quindi secondo una recente review appena pubblicata in quali situazioni ‘l uso è indicato e consigliabile:

Diarrea acuta: la causa più comune nei bambino è il Rotavirus. L’ efficacia nella prevenzione degli episodi è modesta e quindi non consigliabile così come nella prevenzione della diarrea del viaggiatore nell’ adulto.

Nel trattamento della diarrea invece è dimostrata una riduzione della durata e un miglioramento del quadro clinico somministrando Lactobacillo Rhamnosus.

La diarrea da antibiotici compare in circa il 20% dei soggetti in terapia antibiotica e qui la prevenzione mediante probiotico è dimostrata nel bambino e nell’ adulto.

Controverso invece è il loro ruolo nella prevenzione e trattamento della diarrea da Clostridium difficile.

Nella sindrome dell’ intestino irritabile diversi lavori hanno dimostrato un’ efficacia debole nel ridurre i sintomi soprattutto per i Bifidobacteria rispetto ai Lactobacilli e quindi, data la comune difficoltà nel controllo dei sintomi con altre terapie un tentativo terapeutico appare giustificato.

Modeste sono invece le evidenze nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche quali colite ulcerosa e morbo di Crohn per cui il trattamento qui non è univocamente consigliato.

Nelle epatopatie croniche con ipertensione portale ed encefalopatia infine sono tuttora in corso studi per valutarne l’ efficacia nel ridurre l’ ammoniemia ma i dati non sono ancora convincenti.

 

Nella maggior parte delle persone però la assunzione di probiotici è esente da complicanze ed effetti collaterali motivo per cui spesso la somministrazione è indicata anche quando l’ indicazione non è supportata da evidenza.

In conclusione, quando si decide di assumere i probiotici è sempre meglio assumerne in quantità adeguata e scegliendo il prodotto che contiene i ceppi più efficaci nelle varie patologie, in associazione e non alternativa alle terapie tradizionali in attesa di dati più convincenti.

 

M.Ciorba, Clin Gastroent Hepatol,2012;10(9): 960-8

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Testosterone, androgeni e cancro della vescica

Un nuovo studio, condotto da alcuni ricercatori dell’Università della Virginia di Charlottesville e dell’Università del Colorado in Aurora, sembra suggerire che le terapie con anti-androgeni, utilizzate già ora in alcuni tumori della prostata, possano essere efficaci anche nel controllo di alcuni tumori vescicali.

Gli ormoni androgeni, il più noto è il testosterone, sono interessati nell’espressione di una glicoproteina, la CD24, che è conosciuta come capace di peggiorare la prognosi di un tumore a livello della prostata.

Lo studio in questione ha sottolineato come ceppi di topi, non capaci di produrre questa glicoproteina, hanno una incidenza di tumori alla vescica minore e sviluppano, quando presente la neoplasia, meno metastasi; questo discorso vale soprattutto nei maschi.

Fatta questa constatazione i ricercatori hanno allora valutato campioni di tumori vescicali umani confermando questo stesso comportamento e confermando anche che, in presenza di alti livelli di CD24, si ha una più alta probabilità di ritorno del tumore.

Si è dimostrato infine che i livelli di CD24 sono a loro volta direttamente correlati a quelli del testosterone; da questa osservazione la conclusione dovrebbe essere che, se si diminuisce il tasso ematico di questo ormone ed androgeni correlati, in presenza di un tumore vescicale, dovremmo essere in grado di ridurre anche la possibilità che questo si riformi e/o si diffonda attraverso metastasi.

 

Fonte:

http://www.pnas.org/content/early/2012/09/25/1113960109.abstract?sid=c31e517f-440f-40e1-889e-cd0493e8260b

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La Coca cola e la calcolosi renale: esiste una correlazione?

Si è sempre dibattuto sulla possibile formazione di calcoli associata alla assunzione di particolari bevande gassate come la Coca-Cola in pazienti predisposti.

Tredici pazienti di cui 3 portatori di calcolosi renale e 10 senza alterazioni metaboliche sono stati sottoposti ad una dieta metabolica controllata. Durante la fase 1, i soggetti hanno ingerito 1 litro di coca-cola al giorno per 26 giorni, seguito da un periodo di 3 settimane di washout  (dieta libera). Nella fase 2, i soggetti hanno ingerito 1 litro di acqua deionizzata quotidianamente per 26 giorni.

In conclusione si è verificato che la Coca-Cola non determina alcun cambio identificabile nei fattori di rischio urinario anche in presenza di pazienti predisposti alla formazione di calcoli di ossalato di calcio. Quindi il consumo di Coca-Cola non può aumentare il rischio di formare calcoli anzi a questo punto può essere una fonte accettabile alternativa di liquidi per i pazienti che non sono in grado di aumentare il consumo di acqua.

 

Sorgente:

Herrel L, Pattaras J, Solomon T, Ogan K. Urinary Stone Risk and Cola

Consumption. Urology. 2012 Sep 24. pii: S0090-4295(12)00769-8. doi:

10.1016/j.urology.2012.07.003. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 23017784.

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La luce verde che elimina le macchie della pelle

Inizia la stagione autunnale, periodo che predispone nuovamente agli approcci di natura dermoestetica: il solleone e la forte irradiazione ultravioletta alle nostre latitudini cede il passo e pertanto da questo periodo si possono riaccendere i riflettori sulle varie tecniche di Ringiovanimento cutaneo.

Una delle più recenti metodiche dermoestetiche di tipo laserterapico è il Laser Q-switched a 532 nm – una vera e propria “Luce verde” che viene erogata in piccolissime frazioni di secondo (max 6 nanosecondi) in grado di eliminare, anche in una sola seduta, le Macchie della pelle.

Il suo impiego, nasce proprio per un approccio ultra-selettivo nei confronti delle “iperpigmentazioni melanocitiche benigne” (dal Cloasma / Melasma alle Lentiggini solari alle Macchie localizzate sul volto, sul decoltèe, sulle mani, sulle braccia e gambe)

Tutto il corpo può essere trattato e questo Laser, per via della sua selettività e della rapidità di esecuzione è praticamente indolore e fra tutti quello con minori rischi i effetti indesiderati.

La macchia colpita, difatti, diviene subito “bianca” (per un effetto simile al “frost“) per poi divenire più scura per pochi giorni (il pigmento colpito, difatti, entra nel normale turnover epidermico salendo in superficie e quindi apparendo più scuro) fino ad una disepitelizzazione impercettibile che elimina in modo permanente, la macchia.

Chi può sottoporsi al trattamento?

A partire dalla maggiore età non ci sono limiti a questo tipo di trattamenti; tutti possono accedervi, in ogni fascia d’età, dopo una accurata anamnesi e dopo una visita specialistica

Chi dovrebbe effettuare il trattamento?

Ogni Medico perfezionato in modo ufficiale nelle discipline estetiche e accuratamente preparato nell’impiego delle tecniche laser può esercitare la funzione di laserista, ma personalmente ritengo che la figura dello Specialista Dermatologo sia quella più elettiva a farlo.

Questo per competenze cliniche e strumentali, ma soprattutto perchè prima di un atto di questo genere (ovvero l’ablazione definitiva di un tessuto pigmentario) è necessario comporre una DIANGOSI PRECISA di ciò che si sta asportando;

in altre parole è necessario essere certi che una lesione che sta per essere sottoposta ad una terapia ablativa – ovvero alla sua scomparsa definitiva – sia ASSOLUTAMENTE benigna.

Questo ampio margine di sicurezza può essere reso solo da una visita dermatologica corredata di epiluminescenza e/o di dermoscopia digitale, una tecnica non invasiva ed immediata che illustra gli aspetti microscopici in vivo di una lesione pigmentaria ed aumenta in maniera significativa la percentuale di accuratezza diagnostica.

Per maggiori informazioni e per sapere quali macchie possono essere trattate con questa terapia, è sempre necessario rivolgersi al proprio dermatologo di fiducia che potrà anche illustrare all’interno di un consenso informato questa nuova metodica e tutte le accortezze che il paziente deve prendere (ad esempio evitare l’esposizione ai raggi uv subito prima e dopo la terapia o applicare solari ad alta protezione per alcune settimane dopo il trattamento) al fine di ottenere i migliori risultati e ridurre al minimo gli eventi indesiderati.

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Celiachia: le indicazioni dietetiche da fornire. La diagnosi oggi è più comune in età adulta

Proposto un iter diagnostico differenziato in base alla gravità dei sintomi

Il morbo celiaco è dovuto ad un’intolleranza permanente al glutine causante un’atrofia dei villi dell’intestino tenue ed un conseguente malassorbimento di gravità variabile (NEJM 2007, 357: 1731-1743; Ann Intern Med 2005, 142: 289-298).
La prevalenza della celiachia è stimata del 1-1,5% della popolazione e viene sottostimata dal numero dei casi diagnosticati (www.ministerosalute.it).

La celiachia può essere del tutto asintomatica o invece manifestarsi in età adulta o pediatrica solo con dolori addominali ricorrenti e/o con ritardo di crescita o bassa statura, calo ponderale, steatorrea, diarrea o stipsi e numerose manifestazioni extra-intestinali (astenia da anemia da carenza di ferro, folati o vitamina B12, iperparatiroidismo e osteopenia da carenza di vitamina D e calcio, displasia dello smalto dentario, tetania da ipocalcemia, emorragie e porpora da carenza di vitamina K, xeroftalmia da carenza di vitamina A, edemi da enteropatia protido-disperdente con ipoalbuminemia, ipertransaminasemia da epatite autoimmune, alopecia, dermatite erpetiforme, stomatite aftosa, ecc.). La celiachia può associarsi ad altre malattie autoimmuni e se non diagnosticata o non curata può essere complicata da coliti, linfomi e altre neoplasie del tenue e dell’esofago (Br Med J 2004, 329: 716-719).

Diagnosi
Sono test diagnostici di screening per la celiachia la ricerca nel siero di anticorpi anti-transglutaminasi, anti-endomisio, anti-gliadina. Il gold standard diagnostico è la biopsia, mediante endoscopia, della mucosa del digiuno che appare appiattita e documenta all’esame istologico l’atrofia dei villi intestinali, l’iperplasia delle cripte e l’infiltrazione linfocitaria della lamina propria, lesioni reversibili escludendo il glutine dalla dieta.La celiachia non è più intesa come una patologia solo pediatrica in quanto attualmente l’età media di diagnosi è di circa 40 anni.
La determinazione degli anticorpi anti-transglutaminasi e anti-endomisio ha dimostrato una sensibilità del 78% ed una specificità del 100% per la diagnosi di celiachia (Br Med J 2007, 335: 1244-1247).
La biopsia intestinale mediante endoscopia per accertare la diagnosi può essere rifiutata dai pazienti in quanto esame invasivo e inoltre l’esito istologico riscontrabile nella celiachia è riscontrabile anche in altre patologie ( tabella 1), ma esistono forme di celiachia sieronegative in cui la biopsia è determinante per la diagnosi. Perciò è stato proposto e validato un iter diagnostico che distingue i soggetti ad alto e basso rischio di celiachia in base alla sintomatologia riferita, proponendo quindi a coloro che presentano disturbi aspecifici come dolore addominale, dispepsia, nausea e vomito solo la determinazione degli anticorpi specifici, proponendo invece a coloro che presentano perdita di peso, anemia e diarrea la determinazione degli anticorpi specifici seguita sempre, anche in caso di loro negatività, dalla biopsia digiunale (Br Med J 2007, 334: 729).

Terapia
La dieta priva di glutine è l’unica terapia efficace per la celiachia (www.celiachia.it).Il glutine è presente, ad esempio, nelle farine di frumento, orzo, segale, nel malto, crusca, pane, pasta, pizza, dadi da brodo, lievito di birra, birra, caffè solubile, olio di semi vari, margarina, formaggini, dolciumi, biscotti, cioccolate, gelati confezionati che quindi sono cibi vietati. L’avena non contiene glutine, ma può essere contaminata dal glutine. Così pure i cibi industriali preconfezionati o surgelati.
Sono cibi consentiti nella dieta: riso, mais, miglio, fecola di patate, grano saraceno, soia, tapioca, olio d’oliva, olio di mais e di arachide e di girasole, carni e pesce (non impanati con farine vietate), uova, verdura e frutta fresca, latte e derivati se non è presente un’intolleranza al lattosio secondaria, tè, caffè, spremute e succhi di frutta, vino.
L’associazione dei pazienti celiaci fornisce un’informazione dettagliata sui cibi permessi che di norma presentano sulle confezioni un logo con la spiga barrata attestante che il prodotto è privo di glutine (www.celiachia.it).Il Sistema Sanitario ai sensi della legge n. 123 del 4 luglio 2005 fornisce gratuitamente ai soggetti con diagnosi accertata prodotti alimentari privi di glutine attraverso le farmacie cui si accede con prescrizione del medico curante facente riferimento al Decreto Ministeriale n.279 del 18 maggio 2001 e prevede la possibilità di fornire alimenti senza glutine nelle mense scolastiche, ospedaliere e di strutture pubbliche.

01-12-UNV-2009-IT-2647-W 

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Nutritional counseling – Parte 1

 

Sezione 1

Le basi fondamentali della nutrizione e della dietetica

Il concetto di nutrizione o l’insieme di processi grazie ai quali l’organismo riceve, trasforma e utilizza i principi alimentari o nutrienti è oggi uno degli argomenti di maggiore interesse e attualità. La nutrizione dipende essenzialmente dall’ alimentazione, la quale finisce in definitiva per condizionare lo stato di salute. I nutrienti, interagendo con il patrimonio genetico, possono favorire o prevenire patologie degenerative, difetti congeniti, danno biologico ossidativo, turbe della flogosi e della reattività immunitaria. In questa direzione il medico di medicina generale (MMG) si trova spesso nella posizione di dover consigliare una dietoterapia, come supporto indispensabile alla cura della maggior parte delle patologie incontrate nella pratica clinica quotidiana. I consigli dietetici divengono una vera e propria prescrizione medica, nella quale è necessario che vengano citati alimenti e raccomandazioni qualitative e quantitative, il concetto di nutrizione diviene, in questo modo, interdisciplinare ed implementato da acquisizioni che conducono ad applicazioni pratiche di educazione alimentare con la finalità di perseguire, attraverso la risposta fisiologica, un ottimo stato di salute e di benessere. Alcuni dismetabolismi o deficit congeniti possono trarre beneficio da apporti o diete specifiche; la carenza proteica è responsabile della malnutrizione calorico-proteica che durante la gravidanza, si può associare ad un deficit di proliferazione dei neuroni e, dopo la nascita, ad una ridotta produzione di succo gastrico, pancreatico e biliare, ad un alterato assorbimento intestinale, ad una depressione dell’immunità cellulo-mediata. Sul versante opposto, diete iperproteiche si ripercuotono negativamente sui processi digestivi, sul carico renale dei soluti, sul metabolismo degli aminoacidi, favorendo l’insorgenza di malattie cronico degenerative. Per il ruolo primario dei glicolipidi e delle glicoproteine nel metabolismo energetico, nella sintesi degli acidi nucleici e dei cerebrosidi, e per soddisfare i bisogni energetici del cervello e dei globuli rossi, un equilibrato apporto glucidico è un indispensabile requisito alimentare. 
L’acido folico e l’acido retinoico svolgono un ruolo importante nella morfogenesi e differenziazione dell’embrione: la carenza di acido folico in gravidanza, impedendo il normale sviluppo delle strutture nervose, favorisce l’aumentato rischio di difetti del tubo neurale. Un deficit di vitamina B12 impedisce, a livello del DNA, la trasformazione dell’omocisteina in metionina, con mancata formazione di timidina, e anemia megaloblastica. 
Tutto ciò esplicita chiaramente l’importanza di un regime alimentare equilibrato e la necessità di un intervento sanitario basilare volto a sensibilizzare abitudini e comportamenti qualitativi e quantitativi corretti.

Sezione 2

Scelte e abitudini alimentari

Numerose indagini e ricerche sono state volte alla comprensione dei motivi alla base delle scelte alimentari quotidiane; il risultato è che nella gran parte dei casi, esse risultano condizionate da una serie di fattori etnici, ambientali, climatici, e comportamentali. 
L’Institute of European Food Studies (IEFS) di Dublino (Irlanda) ha condotto uno studio pubblicato in un report del 1999 che ha considerato 14.500 consumatori dei Paesi membri dell’Unione Europea. Lo scopo principale dell’indagine era di analizzare le convinzioni e le abitudini più diffuse tra i cittadini europei in materia di alimentazione. La qualità si è rivelata il criterio fondamentale, mentre, per quanto riguarda i criteri di gusto e prezzo si evidenziavano alcune differenze. Grecia, Lussemburgo e Irlanda, per esempio, valutano in primo luogo l’economia di spesa, mentre Finlandia, Germania e Spagna considerano il gusto come il criterio di selezione principale. Inoltre, circa un terzo degli intervistati, ha dichiarato che la ricerca di un’alimentazione sana sia uno dei tre fattori principali che condizionano gli acquisti. In Austria e Danimarca, questo aspetto è prioritario per la metà degli intervistati, mentre in Francia e in Italia, questa preoccupazione cala al 25%. Un’importanza minore è stata, attribuita agli alimenti dietetici, agli additivi, alla confezione dei prodotti, alla cucina vegetariana o tipica. In merito alle scelte alimentari rispetto alle raccomandazioni nutrizionali, la metà degli intervistati non prende in considerazione il passaggio ad un’alimentazione più sana. Poco meno di un terzo si è sensibilizzato in materia e ha valutato in maniera definitiva il passaggio ad un regime alimentare che includa le raccomandazioni preventive per la salute. In un piccolo gruppo di soggetti dopo un’iniziale cambio di approccio si è verificato un ritorno alle vecchie scelte alimentari. Ma c’è di più. La maggior parte degli intervistati (71%) si riteneva in buona salute. 
Molte ricerche, sono state condotte allo scopo di verificare la relazione tra la dieta e l’insorgenza di patologie. A tal proposito in letteratura è ormai stabilità la stretta dipendenza tra l’insorgenza di coronaropatie e una dieta ricca di grassi saturi e colesterolo. Vegetali e carni di pesce, risultano invece preventivi nei confronti del rischio cardiovascolare. 
Un gruppo di ricercatori svedesi ha pubblicato un recente studio nel quale sono stati arruolati 138 uomini ospedalizzati per cardiopatia coronarica o cardiopatici e valutati per un periodo di follow-up della durata di 12 anni, durante i quali si è osservato che frutta e ortaggi sono direttamente associati ad una riduzione del rischio di cardiopatica coronarica quando combinati con prodotti lattiero – caseari grassi, assunti in quantità elevate. Il consumo di pane integrale e di carni di pesce per almeno 2 volte la settimana, non è stato associato ad alcun miglioramento. Sebbene questi risultati siano da considerare con cautela, dato che appaiono in parte in controtendenza con le consolidate raccomandazioni nutrizionali, mostrano come la ricerca sull’argomento non si sia ancora arrestata e quanto il regime alimentare possa influire sulla salute. Tra i fattori che possono condizionare la scelta tra gli alimenti quelli più riportati sono: le caratteristiche organolettiche quali colore, odore, presentazione e gusto, ma anche l’ambiente e la famiglia. In merito all’ultimo punto, nel 2009 è stato condotto un lavoro di ricerca che ne ha dimostrato la correlazione e il condizionamento. Sono stati arruolati nello studio 247 bambini australiani tra i 7 e i 12 anni. 
In questo studio l’osservazione dei bambini è durato 3 settimane consecutive, nelle quali i bambini sono stati divisi in 2 gruppi e poi incrociati. Un primo gruppo osservava un’alimentazione regolata e monotona e aveva accesso a merende sempre uguali in forma sapore e aspetto. Il secondo gruppo osservava un’alimentazione controllata, ma al momento della merenda aveva accesso libero a differenti tipi di merenda. Al termine dell’osservazione si è potuto dimostrare che, nel lungo periodo, i bambini si sono orientati sempre verso le stesse scelte, senza dare importanza al gusto. In pratica, solo la forma dell’alimento ha influenzato le loro preferenze. I bambini cui sono state proposte merende sempre uguali in forma e gusto, quando messi di fronte all’opportunità di scegliere hanno optato per merendine piccole mantenendo questa scelta costante nel tempo. Questi risultati hanno dimostrato come anche l’aspetto e la continua e costante proposta di un certo alimento possa orientare verso una preferenza e spiegherebbe perché bambini che sono sottoposti ad alimentazione monotona, sono molto diffidenti verso le proposte di nuovi alimenti. E’ probabile quindi che l’ambiente familiare e gli educatori siano responsabili di questa diffidenza innata, in quanto le proposte alimentari durante lo svezzamento sono troppo monotone, e lo svezzamento eccessivamente lungo.

Revisione e adattamento : 
Maria De Chiaro 
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche– Medical Information Merqurio Editore

 

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Pochi studi in letteratura hanno valutato l’effetto della terapia radio iodio sul sistema di drenaggio lacrimale.

Lo studio recentemente pubblicato ha valutato la sintomatica e asintomatica ostruzione del dotto naso-lacrimale (NLDO) come complicazione della terapia ad alte dosi. Sono stati selezionati ottantuno casi in modo casuale da una popolazione di pazienti trattati con radioiodio e affetti da carcinoma differenziato della tiroide. I pazienti sono stati classificati in quattro sottogruppi sulla base della dose cumulativa di iodio-131 (I-131). Inoltre, 17 persone di pari età e sesso sono stati scelte come gruppo di controllo. Utilizzando una scheda clinica, i pazienti e i controlli sono stati valutati per NLDO parziale o completa e sintomatica o asintomatica. I dati sui diversi sottogruppi di pazienti sono stati confrontati con i dati del gruppo controllo.

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Circa 29 occhi di 162 esposti (18%) e tre su 34 occhi di controllo (9%) hanno avuto NLDO. Tra i pazienti trattati con meno di 11,1 GBq di I-131 (sottogruppo A), sei su 78 occhi (7,7%) hanno NLDO parziale o completa. Questo è stato evidente in 23 dei 84 occhi (27,4%) tra i pazienti trattati con 11,1 GBq o più (sottogruppo B). La frequenza di NLDO aumenta significativamente quando la dose cumulativa di radioiodio supera i 11,1 GBq (2,9% nel gruppo controllo, 3,8% nel sottogruppo A, e il 23,8% nel sottogruppo B, P = 0,006).

Bibliografia: Fard-Esfahani A, Farzanefar S, Fallahi B, Beiki D, Saghari M, Emami-Ardekani A, Majdi M, Eftekhari M. Nasolacrimal duct obstruction as a complication of iodine-131 therapy in patients with thyroid cancer. Nucl Med Commun. 2012 Jul 19. [Epub ahead of print]

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Sterilizzare l’epidermide in pochi istanti anche in condizioni estreme? Ora si può

Messo a punto un dispositivo portatile al plasma simile a una torcia in grado di sterilizzare in pochiistanti e a temperatura ambiente le aree di epidermide umana irradiate. L’annuncio arriva dal Journal of Physics D: Applied Physics .

Il dispositivo, alimentato da una batteria a 12 volt e realizzato da un team internazionale di ricercatori cinesi ed australiani coordinati da Kostya Ostrikovdel Plasma Nanoscience Centre Australia (PNCA), potrebbe rivelarsi molto utile come dotazione di mezzi di pronto soccorso urbano, in siti colpiti da disastri, in teatri di guerra e in caso di assistenza sanitaria in aree geografiche remote.

Lo studio ha dimostrato la capacità del dispositivodi inattivare in circa 5 minuti un biofilm di 25,5µm di spessore di uno dei ceppi batterici esistenti più resistenti al trattamento con antibiotici e al calore, Enterococcus faecalis . Il plasma non si è limitato a inattivare gli strati superiori del biofilm, ma ha ucciso anche i batteri presenti negli strati più profondi.“Si tratta di un risultato molto importante”, spiega Ostrikov, “perché i biofilm batterici si sono finora dimostrati molto resistenti alle strategie di inattivazione, a meno di usare alte temperature che però danneggerebbero l’epidermide umana e causerebbero dolore nel paziente”. Si tratta di un device dal costo stimato decisamente contenuto, meno di 100 dollari a pezzo: “Forse prima di metterlo sul mercato sarà necessario miniaturizzare qualcosa e dotare il dispositivo di un design più accattivante, ma la sostanza non cambia”, commenta ancora Ostrikov.

Il meccanismo dell’attività fortemente antibatterica del plasma, già nota da tempo, è tuttora largamente inspiegato: si suppone che l’interazione tra plasmae aria crei un cocktail di sostanze chimiche (principalmente derivati di azoto e ossigeno altamente reattivi) simili a quelle sintetizzate dal sistema immunitario umano.

▼Pei X, Yang Y, Ostrikov K et al. Inactivation of a 25.5 µm Enterococcus faecalis biofilm by a room-temperature, battery-operated, handheld air plasma jet. Journal of Physics D: Applied Physics 2012; 45(16) doi:10.1088/0022-3727/45/16/165205 

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