La sindrome metabolica ? un predittore di mortalit? nei pazienti con diabete cli

Uno studio, coordinato da Ricercatori della Tel Aviv University di Beer Sheba, in Israele, ha valutato l?impatto della sindrome metabolica sull?outcome ( esito ) dei pazienti con diabete non clinicamente diagnosticato con sindrome coronarica acuta.

Il periodo osservazionale ? stato di 1 anno.

Hanno preso parte allo studio 1.060 pazienti consecutivi con diabete non clinicamente diagnosticato, ricoverati per sindrome coronarica acuta; 359 pazienti presentavano caratteristiche tipiche della sindrome metabolica.

Un paziente presentava sindrome metabolica se incontrava 3 o pi? criteri su 5:

– iperglicemia, definita come glicemia al ricovero maggiore di 140 mg/dl;

– ipertensione preesistente;

– indice di massa corporea ( BMI ) maggiore di 28 kg/m2;

– colesterolo HDL inferiore o uguale a 40 mg/dl per gli uomini, e inferiore o uguale a 50 mg/dl per le donne;

– trigliceridi maggiori o uguali a 150 mg/dl.

I pazienti con sindrome metabolica erano pi? frequentemente donne ( 27% versus 12%; p = 0.001 ), presentavano classe Killip maggiore o uguale a II al momento del ricovero ( 19% versus 14%; p = 0.03 ) ed erano associati ad una pi? elevata mortalit? a 30 giorni ( 5% versus 1.7%; p = 0.002 ) e ad 1 anno ( 8.9% versus 4.6%; p = 0.005 ).

I pazienti con iperglicemia ( livelli di glicemia maggiori di 140 mg/dl ) e sindrome metabolica avevano una pi? alta incidenza di mortalit? a 30 giorni rispetto ai pazienti con iperglicemia ma senza sindrome metabolica ( 8.3% versus 2.5%; p < 0.05 ). L?analisi multivariata ha identificato la sindrome metabolica come un forte predittore indipendente di mortalit? a 30 giorni e a 1 anno, con un hazard ratio di 2.54 e 1.96, rispettivamente.

 362 total views,  1 views today

Trattamento dell?eiaculazione precoce

L?eiaculazione precoce ? un frequente disturbo sessuale maschile che ? mediato principalmente da alterazioni della neurotrasmissione serotoninergica ed in parte dalla neurotrasmissione ossitocinergica a livello del sistema nervoso centrale.

Nel corso dell?ultimo decennio sono stati valutati diversi farmaci nel trattamento dell?eiaculazione precoce.
Una meta-analisi di questi studi non ha mostrato differenze di efficacia con gli antidepressivi serotoninergici, Paroxetina ( Seroxat ), Clomipramina ( Anafranil ), Sertralina ( Zoloft ) e Fluoxetina ( Prozac ).

Tuttavia, ? stato osservato che il trattamento giornaliero con i farmaci SSRI ( inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ) non ? associato ad un significativo ritardo nell?eiaculazione.

Studi con un nuovo farmaco SSRI, Dapoxetina, hanno mostrato un debole effetto ritardante l?eiaculazione dopo 1-2 ore dall?assunzione del farmaco.

L?eiaculazione precoce pu? essere ritardata dall?impiego di anestetici per uso topico e dal Tramadolo ( Contramal, Fortradol ).

Il trattamento con gli inibitori della fosfodiesterasi 5 non dovrebbe essere prescritto agli uomini che soffrono di eiaculazione precoce, ma possono essere impiegati se l?eiaculazione precoce ? associata a difficolt? nell?erezione.

Non c?? supporto scientifico all?impiego di iniezioni intracavernose di farmaci vasoattivi nel trattamento dell?eiaculazione precoce.

 526 total views

Aspirina a basso dosaggio nella fertilizzazione in vitro

Nonostante i recenti avanzamenti nei regimi di stimolazione ovarica e tecniche di laboratorio, la percentuale di gravidanza della riproduzione assistita rimane relativamente bassa.
Nuovi metodi in grado di migliorare la percentuale di successo degli impianti sono necessari.

Una strategia consiste nell?aumentare il flusso di sangue al sito d?impianto con l?uso di Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), a basso disaggio, nelle donne sottoposte a fertilizzazione in vitro ( IVF )/iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo ( ICSI ).

I Ricercatori del Royal Bolton Hospital in Gran Bretagna hanno compiuto una ricerca di letteratura con l?obiettivo di verificare la validit? della strategia a base di Aspirina nelle donne sottoposte a IVF/ICSI.

Sono stati identificati 10 studi controllati, randomizzati. Di questi 6 hanno incontrato i criteri di inclusione nella meta-analisi.

La percentuale di gravidanza clinica per trasferimento d?embrione non ? risultata significativamente differente tra le pazienti che avevano ricevuto Aspirina a basso dosaggio e quelle che avevano ricevuto placebo o nessun trattamento ( RR = 1.09 ).

Nessuno degli altri outcome, tra cui la gravidanza clinica per ciclo, l?aborto spontaneo o la gravidanza ectopica per gravidanza clinica ,e la percentuale di nati vivi per ciclo o per trasferimento di embrioni, differiva in modo significativo tra i gruppi confrontati.

Dall?analisi degli studi non ? emerso nessun sostanziale effetto positivo dell?Aspirina a basso dosaggio sulla probabilit? di gravidanza e, pertanto, questa strategia non dovrebbe essere raccomandata in modo routinario nelle donne sottoposte a IVF/ICSI. (

 457 total views

Rischio di caduta negli uomini anziani correlata a bassi livelli di testosterone biodisponibile

Negli uomini, i livelli degli steroidi gonadici si riducono con l?et?.

Ricercatori statunitensi hanno compiuto uno studio osservazionale con l?obiettivo di determinare se bassi livelli di testosterone fossero associati a performance fisica e a rischio di cadute negli uomini anziani.

Un totale di 2.587 uomini di et? compresa tra 65 e 99 anni sono stati selezionati da uno studio di coorte di 5.995 volontari.

Il 56% degli uomini ha riportato almeno una caduta; molti sono andati incontro a frequenti cadute.

I pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile erano associati ad un aumentato rischio di cadute.
Gli uomini con livelli di testosterone nel pi? basso quartile avevano un rischio di cadute superiore del 40% rispetto ai soggetti nel pi? alto quartile.

L?effetto dei bassi livelli di testosterone ? risultato pi? apparente negli uomini pi? giovani ( 65-69 anni ) ( rischio relativo: 1.8 ).
Negli uomini pi? anziani ( di et? maggiore o uguale ad 80 anni ) i livelli di testosterone non erano associati alle cadute.

Le pi? basse concentrazioni di testosterone erano associate a pi? ridotta performance fisica.
Tuttavia, l?associazione tra bassi livelli di testosterone e rischio di cadute ? persistito nonostante l?aggiustamento per la performance.

Lo studio ha mostrato che le cadute sono comuni tra gli uomini anziani ed il rischio di cadute era pi? alto negli uomini con pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile.
L?effetto dei livelli di testosterone non dipende dalla pi? scarsa performance fisica, indicando che l?effetto del testosterone sul rischio di cadute pu? essere mediato da altre azioni dell?androgeno.

 531 total views,  1 views today

Pancreatite indotta da farmaci

I calcoli biliari e l?alcol sono le due pi? comuni cause di pancreatite.
L?incidenza della pancreatite indotta da farmaci ? del 2.5%.

L?ADRAC ( Australian Drug Reaction Advisory Committe ) ha ricevuto 414 segnalazioni di pancreatite farmaco-indotta che hanno coinvolto 695 farmaci.

Segnalazioni di pancreatite sono risultate pi? frequenti con Azatioprina ( Imuran ), Valproato ( Depakin ), Didanosina ( Videx ), Simvastatina ( Sinvacor / Zocor ), Stavudina ( Zerit ), Clozapina ( Clozaril / Leponex ), Ezetimibe ( Zetia ), Lamivudina ( Epivir ), Prednisolone, Olanzapina ( Zyprexa ), Celecoxib ( Celebrex ), Mercaptopurina ( Purinethol ).

I gruppi di farmaci pi? comunemente causa di pancreatite sono i seguenti: farmaci antivirali, farmaci ipolipidemici, antipsicotici atipici, corticosteroidi e altri farmaci immunosoppressori, inibitori COX-2, farmaci antinfiammatori non steroidei ( FANS ), aminosalicilati ( Mesalazina, Sulfasalazina ), antagonisti del recettore dell?angiotensina II, Ace-inibitori, antagonisti del recettore H2.
Assieme questi gruppi di farmaci sono responsabili di pi? del 60% delle segnalazioni di pancreatite.

Un?associazione causale non ? stata stabilita per molti farmaci, tuttavia il coinvolgimento del farmaco dovrebbe essere preso in considerazione dopo l?esclusione di altre cause ragionevoli.

I pazienti a rischio di pancreatite sono soggetti anziani che assumono pi? farmaci, pazienti HIV positivi, pazienti affetti da tumore e pazienti trattati con farmaci immunomodulatori.

 488 total views

L?elevata pressione pulsatoria ? un fattore di rischio per la fibrillazione atriale

La pressione pulsatoria pu? rappresentare un fattore di rischio per l?insorgenza di fibrillazione atriale, indipendentemente dalla pressione arteriosa.

Uno studio osservazionale ha trovato che ogni incremento di 20 mmHg nella differenza tra pressione sistolica e pressione diastolica ? associato ad un aumento del 24% del rischio di fibrillazione atriale.

Cambiamenti dello stile di vita o trattamenti con l?obiettivo di limitare l?aumento della pressione pulsatoria con l?avanzare dell?et? possono ridurre l?incidenza della fibrillazione atriale.

Durante un periodo osservazionale di 12 anni ( valore mediano ), su 5.331 soggetti, partecipanti allo studio Framingham, analizzati, il 13.1% ( n = 698 ) ha sviluppato fibrillazione atriale.

L?incidenza cumulativa a 20 anni di fibrillazione atriale ? stata del 5,6% tra i soggetti con pressione pulsatoria al di sotto del 25? percentile ( < 40mmHg ) e del 23.3% per coloro che avevano la pressione pulsatoria al di sopra del 75? percentile ( > 61mmHg ).

La probabilit? di sviluppare fibrillazione atriale aumenta con l?aumentare della pressione pulsatoria.

Un aumento di 20mmHg nella pressione pulsatoria ? risultato associato a un incremento del 34% nel rischio di fibrillazione atriale ( hazard ratio = 1.34; p < 0.001 ).
Questa associazione ? rimasta significativa anche dopo ulteriori aggiustamenti ( oltre all?et? e al sesso ).

Al contrario, la pressione arteriosa media non era associata al rischio di fibrillazione atriale.

 500 total views

Nuove lineeguida sulla fibrillazione atriale: la terapia anticoagulante dovrebbe essere basata sul rischio di ictus

I fattori di rischio per l?ictus dovrebbero fornire indicazioni sull?impiego della terapia anticoagulante nei pazienti con fibrillazione atriale.

La fibrillazione atriale ? il pi? comune disturbo del ritmo cardiaco in grado di aumentare il rischio di ictus e di insufficienza cardiaca.

Le lineeguida pubblicate nel 2006, a differenza di quelle del 2001, sono focalizzate sulla prevenzione del rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale.

Infatti, nel15-20% dei casi, l?ictus si presenta nelle persone affette da fibrillazione atriale.

Negli Stati Uniti ed in Europa, i ricoveri ospedalieri per fibrillazione atriale sono aumentati del 66% durante gli ultimi 20 anni.

Le nuove lineeguida raccomandano l?assunzione giornaliera di Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) ai dosaggi compresi tra 81 e 325mg, per la prevenzione dei coaguli ematici nei pazienti con fibrillazione atriale e nessun fattore di rischio per l?ictus.

L?Acido Acetilsalicilico, o il Warfarin ( Coumadin ), ? raccomandato per i pazienti con un fattore di rischio definito moderato, come et? superiore ai 75 anni, ipertensione, insufficienza cardiaca, alterata funzione sistolica ventricolare sinistra o diabete.

Il Warfarin ? raccomandato nelle persone con fattori di rischio elevati ( precedente ictus, attacco ischemico transitorio, embolia sistemica o valvole cardiache prostetiche ) o con pi? fattori di rischio.

Le lineeguida forniscono elementi di priorit? nella cura dei pazienti con fibrillazione atriale secondo i seguenti step:

1) controllo della frequenza cardiaca

2) prevenzione dei coaguli

3) correzione del disturbo del ritmo, se possibile

Il controllo della frequenza cardiaca generalmente implica il raggiungimento di una frequenza ventricolare di 60-80 battiti per minuto a riposo e tra 90 e 115 battiti per minuto durante esercizio moderato.

L?ablazione con catetere ? considerata un?alternativa alla terapia farmacologica nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale con un piccolo o nessun allargamento atriale sinistro, ed in cui il trattamento farmacologico non ? stato in grado di controllare il disturbo del ritmo.

Il controllo della frequenza cardiaca pu? rappresentare una terapia ragionevole nei pazienti anziani con fibrillazione atriale persistente che soffrono anche di ipertensione o malattia cardiaca.

Per le persone di et? inferiore ai 70 anni, soprattutto quelle con fibrillazione atriale ricorrente e nessuna evidenza di sottostante malattia cardiaca, il controllo del ritmo pu? rappresentare l?approccio di scelta dapprima con i farmaci e qualora questi non dovessero funzionare con l?ablazione transcatetere.

Le Guidelines for the Management of Patients with Atrial Fibrillation sono state elaborate congiuntamente dall?American College of Cardiology ( ACC ), American Heart Association ( AHA ) e dall?European Society of Cardiology ( ESC )

 844 total views

Basso rischio di diabete con gli ACE-inibitori ed i sartani

Gli ACE-inibitori ed i sartani ( noti anche come bloccanti il recettore dell?angiotensina ) sono i farmaci ipertensivi associati al pi? basso rischio di sviluppare diabete.

La propensione di alcuni farmaci che abbassano la pressione sanguigna a ridurre la tolleranza al glucosio e a precipitare il diabete ? ben nota.
Tuttavia, alcuni studi clinici di lungo termine che hanno confrontato farmaci antipertensivi hanno mostrato significative differenze nella percentuale di nuovi casi di diabete tra i gruppi di trattamento.

E? stata compiuta una meta-analisi per valutare gli odds ( rischi ) relativi di sviluppare diabete nel corso del trattamento di lungo periodo per ciascuna classe di farmaco antipertensivo.

L?analisi ? stata compiuta sui risultati di 22 studi clinici che hanno riguardato 143.153 partecipanti che non erano affetti da diabete al momento della randomizzazione.

E? stato osservato che l?associazione dei farmaci antipertensivi con il diabete era pi? bassa per gli ACE-inibitori e per i sartani, seguiti dai calcio-antagonisti, dal placebo ed, infine, dai beta-bloccanti e dai diuretici.

 472 total views

Manifestazioni cardiovascolari dell?ipertiroidismo prima e dopo terapia antitiroidea

Uno studio, compiuto da medici dell?University of Birmingham, in Gran Bretagna, ha esaminato in modo prospettico la prevalenza di malattie cardiovascolari nei pazienti con ipertiroidismo manifesto prima e dopo terapia antitiroidea.

L?ipertiroidismo manifesto ? associato ad effetti cardiovascolari che, si ritiene, possano revertire con terapia antitiroidea.

Lo studio ha riguardato 393 pazienti non selezionati, consecutivi, in maggioranza donne ( 312 donne e 181 uomini ), con ipertiroidismo manifesto.
Questi pazienti sono stati confrontati con 393 soggetti eutiroidei ( controllo ).

I pazienti ipertiroidei sono stati riesaminati dopo terapia antitiroidea.

Una pi? alta prevalenza di sintomi e segni cardiovascolari, cos? come anomali parametri emodinamici, ? stata osservata tra i pazienti ipertiroidei al momento del reclutamento rispetto ai soggetti del gruppo controllo.

Le aritmie cardiache, soprattutto sopraventricolari, avevano una prevalenza maggiore tra i pazienti che non tra i controlli.
Le palpitazioni e la dispnea, la riduzione posturale della pressione sistolica e la fibrillazione striale sono rimaste maggiormente prevalenti tra i pazienti ipertiroidei sottoposti a terapia antitiroidea che non nel gruppo di controllo, e sono rimaste maggiormente prevalenti anche dopo il ripristino dell?eutiroidismo.

Predittori della reversione a ritmo sinusale nei pazienti con fibrillazione striale sono stati: pi? bassi valori di pressione sanguigna al momento del reclutamento ed un iniziale stato ipotiroideo indotto dalla terapia antitiroidea.

La mortalit? ? risultata pi? alta nei soggetti ipertiroidei che in quelli del gruppo controllo dopo un periodo osservazionale medio di 66.6 mesi.

I dati dello studio hanno dimostrato che le anomalie cardiovascolari sono comuni nei pazienti con ipertiroidismo manifesto alla presentazione, ed alcune di queste alterazioni persistono anche dopo il successo della terapia antitiroidea.

 453 total views

Il Diabete mellito tipo 2 oggi

Il diabete mellito tipo 2 (DMT2) rappresenta oggi uno dei maggiori problemi di sanit? pubblica con notevoli implicazioni oltre che sanitarie, anche sociali ed economiche. Si tratta di una vera e propria pandemia: secondo l?OMS, nel 2003, la sua prevalenza mondiale, tra individui con et? compresa tra i 20 ed i 79 anni era pari al 5,1%1 interessando una popolazione stimata di circa 333 milioni di persone.
Stime di crescita nei prossimi anni informano che la prevalenza della malattia si porter? intorno al 6,3% nel 20252; tale incremento sar? soprattutto a carico di quelle regioni del mondo meno progredite economicamente e socialmente, in cui il processo di sviluppo economico e la globalizzazione sta comportando, insieme ad una migliore qualit? della vita, anche la diffusione di abitudini tipiche del mondo occidentale.
Il ?trend? temporale della prevalenza ? certamente secondario all?allungamento della vita media della popolazione generale, particolarmente nelle aree industrializzate ed all?aumentata prevalenza dei fattori di rischio della malattia (primi tra tutti sedentariet? ed obesit?) nei paesi in via di sviluppo3.
Certamente anche i nuovi criteri diagnostici (sempre pi? restrittivi) per il diabete ed i programmi di ?screening? a livello mondiale hanno contribuito all?aumentato numero dei soggetti con diabete. Il DMT2 riconosce fattori di rischio genetici e ambientali.
L?importanza dei fattori genetici ? confermata da numerosi studi4-5 ed ? avvalorata da alcune forti evidenze epidemiologiche, come la concordanza della malattia in gemelli omozigoti (quasi del 90%), ed il dato che il 55% circa dei pazienti affetti riferisce una anamnesi familiare positiva per diabete. Non lo studio di uno o pochi geni alterati ma L?identificazione di alcune varianti alleliche (polimorfismi) di tanti geni candidati (ereditariet? poligenica) rende molto complesso questo scenario. I fattori di rischio non genetici (ambientali) sono, invece, principalmente rappresentati dall?obesit? legata a sua volta ad una dieta inappropriata ed alla sedentariet?.
Fattori genetici e ambientali concorrono insieme a determinare i difetti patogenetici causa del DMT2, cio? una ridotta sensibilit? all?insulina a livello periferico da una parte e l?alterata secrezione d?insulina da parte delle ?-cellule dall?altra.
Altri fattori di rischio importanti sono sicuramente i cosiddetti ?stati prediabetici?, cio? la condizione di ?alterata glicemia a digiuno? (IFG) e di ?ridotta tolleranza al glucosio? (IGT) da considerare solo tappe iniziali nella storia evolutiva della malattia diabetica. come anche una precedente diagnosi di diabete gravidico.
Oggi le campagne di ?screening? si rivolgono con forza a soggetti con fattori di rischio genetico e/o ambientale, soprattutto se ad elevato rischio cardiovascolare (coesistenza di altri fattori di rischio cardiovascolare associati).
Nell?identificazione di tali soggetti si utilizzano i criteri diagnostici della ?Sindrome Metabolica? che sembra riunificare il mondo cardiovascolare con quello glicometabolico6.
E? ormai accettato unanimemente che l?adeguato trattamento del diabete riduce il rischio di complicanze della malattia a lungo termine.
L?UKPDS7 ed il DCCT8 hanno inequivocabilmente documentato l?associazione del diabete scarsamente controllato con le complicanze microangiopatiche della malattia che riguardano in prima istanza la retina (retinopatia diabetica), il rene (nefropatia diabetica) ed il nervo motorio e sensitivo (neuropatia diabetica).
La retinopatia diabetica rappresenta, nei paesi pi? evoluti economicamente, la principale causa di cecit? nella fascia di et? compresa tra 20 e 70 anni; la nefropatia diabetica ?, invece, la principale causa d?insufficienza renale terminale (ESRF). D?altra parte lo stretto legame tra diabete e malattie cardiovascolari ? oggi ben documentato da numerosi studi epidemiologici e da una recente metanalisi.

 431 total views

1 118 119 120 121 122 143

Search

+
Rispondi su Whatsapp
Serve aiuto?
Ciao! Possiamo aiutarti?