Vive di piu’ chi ha tanti nei, segno di dna piu’ giovane

Dimmi quanti nei hai, e ti dir? quanto a lungo vivrai. Potrebbe essere storpiato cos? il celebre adagio, in base ai risultati di una ricerca del King’s College di Londra. “I nei – spiegano su Cancer Epidemiology Biomarkers and Prevention gli oncologi britannici – sono la cartina di tornasole di come il nostro organismo si difende dagli attacchi dell’invecchiamento”. Nello specifico “il numero di nei sulla pelle – rivelano – ? legato alla lunghezza dei telomeri, cio? la ‘coda’ dei cromosomi che si accorcia ogni volta che avviene una replicazione cellulare. E meno lunghi sono i telomeri meno ‘cartucce’ ci restano”. Dunque “pi? nei significa telomeri pi? lunghi. E maggiori aspettative di vita”. Le conclusioni della ricerca, tra l’altro, annacquano la cattiva nomea dei nei, che sono guardati con diffidenza come possibili precursori dei tumori della pelle. Tra cui il big-killer melanoma. Per verificare il legame tra il numero delle macchie scure sulla pelle e la longevit?, gli scienziati hanno ‘contato’ i nei di 1.800 gemelli a cui ? stato scansionato anche il Dna per osservare i segni dell’invecchiamento. Cos? facendo i ricercatori hanno scoperto che “chi ha oltre 100 nei, ha telomeri pi? lunghi di chi ne ha meno di 25. Con uno scarto in termini di et? pari a circa 6-7 anni”. In media, ricordano gli oncologi del Regno Unito, le persone di pelle bianca hanno circa 30 nei, ma il numero in alcuni casi pu? arrivare anche a 400. Con una variabilit? che resta “uno dei misteri ancora da risolvere nella medicina”. Visto l’interesse dello studio, i ricercatori annunciano di voler continuare a studiare i legami tra nei, telomeri e longevit?.

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Un test clinico relativamente semplice e’ utile per individuare precocemente la gravita’ della pancreatite acuta

La pancreatite acuta ? una condizione clinica potenzialmente molto seria e gravata da una mortalit? non trascurabile, specialmente se – nei casi pi? gravi – non viene trattata tempestivamente in maniera aggressiva, per esempio tramite il ricovero in un’Unit? di terapia intensiva.

La gravit? del processo patologico ? strettamente correlata alla capacit? degli enzimi liberati dal tessuto ghiandolare infiammato di “autodigerire ” il parenchima del pancreas e distruggere progressivamente l’organo. Questo processo coinvolge una cascata di mediatori infiammatori i quali – in determinate circostanze – sono in grado di innescare una risposta infiammatoria sistemica (SIRS) direttamente responsabile della gravit? dell’esito prognostico.
Le interleuchine giocano sotto questo profilo un ruolo di primo piano e la loro produzione appare in linea di massima correlata all’entit? della SIRS: il loro dosaggio potrebbe dunque rappresentare un buon marker predittivo della severit? della pancreatite senza dover ricorrere in una serie di punteggi di tipo semi-quantitativo (fra cui lo score di Ranson e l’APACHE II) la cui utilit? – nella pratica clinica – ? stata ripetutamente messa in discussione.

I livelli di due citochine proinfiammatorie, il Tumor necrosis factor (TNF)-alfa e l’ interleuchina (IL)-6, e quelli di una citochina antinfiammatoria, l’Interleuchina (IL)-10, sono stati recentemente valutati da ricercatori dell’Universit? di Nuova Delhi, su un campione di 30 pazienti giunti all’osservazione medica entro 72 ore dall’esordio clinico della malattia. Poco pi? della met? del campione presentava una pancreatite di grado severo e quasi un terzo dei pazienti andava incontro successivamente ad un’insufficienza organica con tre casi di decesso. Delle citochine misurate nel plasma solo l’interleuchina 6 risultava correlata in maniera significativa con la gravit? del malattia e, in particolare, appariva un buon indice prognostico di insufficienza organica, con un cut-off pari a 122 pg/ml, caratterizzato da una sensibilit? e specificit? pari circa all’80%.

In contrasto con precedenti segnalazioni, i livelli di TNF-alfa – che pure riveste un ruolo molto importante nel processo infiammatorio – sono risultati elevati in poco pi? di un terzo dei pazienti, probabilmente a causa della breve emivita plasmatica di questa citochina che va incontro ad una rapida clearance nel fegato e pertanto risulta scarsamente dosabile in circolo, mentre i suoi livelli risultano assai pi? consistenti nei tessuti, dove per? sono difficilmente dosabili.
Livelli aumentati di IL-10 sono infine stati rilevati nel 40% dei pazienti esaminati, ma sono risultati scarsamente predittivi della gravit? della malattia.
Bench? il numero relativamente esiguo dei pazienti inclusi nello studio imponga una certa cautela nelle conclusioni, sembrerebbe che il dosaggio plasmatico di IL-6 possa costituire un test sufficientemente attendibile – ed anche relativamente semplice da eseguire – per individuare precocemente (gi? in terza giornata) la gravit? clinica di una pancreatite acuta ed orientare tempestivamente le scelte del medico. In questo senso, l’IL-6 sembra molto pi? utile di altri dosaggi di laboratorio, fra cui la proteina C reattiva o l’elastasi granulocitaria, suggeriti in passato come marker prognostici di questa malattia.
Si conferma, infine, che le citochine svolgono un ruolo fondamentale nella pancreatite acuta, anche se su di esse sono in corso altri studi di carattere fisiopatologico: l’IL-6, prodotta di regola in seguito all’attivazione delle cellule linfocitarie, correla assai bene sia con il grado di necrosi ghiandolare che con la disfunzione organica, e pu? essere considerata in realt? un marker surrogato del TNF-alfa perch? la sua produzione ? indotta direttamente dal TNF-alfa.

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Artrite giovanile idiopatica: discendenza europea incrementa il rischio

Secondo uno studio condotto in Canada, circa il 70 percento dei pazienti con artrite giovanile idiopatica risulta essere di discendenza europea, mentre inopinatamente una percentuale significativamente inferiore a quanto atteso ? di discendenza afroamericana o asiatica. L’unico gruppo di discendenza non europea a presentare un aumento del rischio ? quello nordamericano, ma questo dato non risulta significativo in raffronto ai valori previsti. I bambini di discendenza europea risultano particolarmente a rischio di sviluppare i sottotipi oligoarticolare e psoriatico della malattia, quelli di discendenza asiatica presentano un aumento del rischio della tipologia con entesite, mentre quelli di discendenza nordamericana presentano un aumento del rischio di patologia poliarticolare RF-positiva. (Arthritis Rheum 2007; 56: 1974-84)

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La radiofrequenza giova al CA epatico

L’ablazione percutanea a radiofrequenza ad elettrodi multipli rappresenta un trattamento sicuro ed efficace per le neoplasie epatiche grandi o multiple. Una delle pi? grandi limitazioni nelle attuali tecniche di ablazione a radiofrequenza ? l’impossibilit? di trattare efficacemente i tumori di grandi dimensioni: queste tecniche possono potenziare soltanto un elettrodo e creare zone di ablazione relativamente limitate, ma di recente ? divenuto disponibile per l’applicazione clinica un nuovo sistema monopolare ad elettrodi multipli. Bench? i risultati a breve termine siano promettenti, comunque, ? necessario un monitoraggio pi? prolungato per determinare l’impatto di questa nuova tecnica su sopravvivenza del paziente e tassi di recidiva del tumore. (Am J Roentgenol 2007; 188: 1485-94)

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Bisfosfonati vincono resistenza agli antibiotici

Alcuni bisfosfonati sono in grado di interrompere un processo chiamato trasferimento coniugativo del DNA, la vi aprincipale di propagazione delle resistenze fra i batteri, targettando selettivamente la proteina relassasi. L’inibizione della relassasi coniugativa ? un potenziale approccio antimicrobico innovativo morato selettivamente verso i batteri in grado di trasferire la resistenza agli antibiotici e generare ceppi plurifarmacoresistenti. La possibilit? di inibire il processo di trasmissione delle resistenze e di eliminare i ceppi gi? resistenti potrebbe avere un impatto significativo sul trattamento delle malattie infettive. (PNAS Early Edition online 2007, pubblicato il 9/7)

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Melanoma familiare: vale la pena monitorare

Un programma rivolto ai parenti di soggetti con melanomi cutanei e sindrome del nevo displastico ereditari ha raggiunto risultati positivi. Tale programma era volto ad attivit? di rilevamento e prevenzione nelle stirpi con melanoma familiare, e ha portato al rilevamento precoce di pochi casi di diagnosi di melanoma nei soggetti osservati. Molti dei melanomi osservati sono in fase considerevolmente meno avanzata rispetto a quanto accade nella popolazione generale, e molti sono di tipo non invasivo: il programma dunque porta ad una bassa incidenza dei melanomi nel periodo di monitoraggio, e quelli che compaiono hanno caratteristiche prognosticamente favorevoli. (J Clin Oncol 2007; 25: 2819-24)

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Imaging a banda ristretta identifica lesioni vie aeree inosservate con broncosco

La displasia ed i cambiamenti maligni nelle vie aeree possono essere osservati mediante imaging a banda ristretta (NBI) quando non vengono rilevati alla broncoscopia a luce bianca. In tutti i casi di atipia cellulare (malignit? e displasie), infatti, la NBI risulta pi? sensibile della broncoscopia, e ne migliora significativamente il potere diagnostico, pur senza sostituirla. Essa comunque necessita di esami accurati sia come tecnologia a s? stante che in raffronto ad altre strategie d’immagine, fra cui la broncoscopia ad autofluorescenza, nell’abito di studi clinici. Le indicazioni per il futuro comprendono la combinazione della NBI con i marcatori molecolari nei soggetti ad alto rischio di tumori polmonari. (Chest 2007; 131: 1794-9)

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Morbo di Crohn: terapia antimicobatterica non previene recidive

Una combinazione di farmaci volta ad eradicare l’infezione da Micobacterium avium della paratubercolosi (MAP) non risulta efficace nella prevenzione delle recidive nei pazienti con morbo di Crohn attivo. Gli antibiotici sono utili nel morbo di Crohn, e rappresentano una via terapeutica alternativa che pu? essere battuta, ma il ruolo del MAP non ? stato supportato dal presente studio. Esso comunque ha rivelato una significativa efficacia a breve termine degli antibiotici aggiunti ai corticosteroidi, anche se tale efficacia non si mantiene nel tempo. Essi dunque potrebbero essere usati, ma non come terapia di prima linea a causa dei loro costi. (Gastroenterology 2007; 132: 2313-9 e 2594-8)

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Steroidi sessuali non connessi alla mortalit? nell’uomo

I livelli di steroidi sessuali negli uomini non sono correlati alla mortalit? complessiva, ma un’apparente correlazione con la mortalit? per patologie respiratorie e cardiache necessita di ulteriori indagini. Le patologie per? sono associate a bassi livelli di steroidi sessuali, e quindi vi ? una forte possibilit? che basi livelli di testosterone siano un mero epifenomeno di una patologia concorrente e possibilmente occulta. Nel complesso comunque, gli steroidi sessuali presentano un’associazione relativamente debole o anche nulla con la mortalit?, ma ? opportuno chiarire il loro ruolo nelle pneumopatie e nella cardiopatia ischemica. (Arch Intern Med 2007; 167: 1252-60)

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Le bollicine fanno male?

WASHINGTON ? Le bibite gasate andrebbero evitate, non ? una novit?: gonfiano e fanno ingrassare. Ma non solo. Uno studio britannico rivela infatti che alcuni soft drink potrebbero essere responsabili di gravi danni alle cellule del nostro organismo, provocando effetti normalmente associati all?invecchiamento o all?alcolismo.
RESPONSABILE ? Nel mirino un additivo contenuto in diversi nelle bevande in questione, il sodio benzoato ? o E211 ? che potrebbe portare a cirrosi epatica o a malattie degenerative come il morbo di Parkinson. Come spiega The Independent , il conservante incriminato viene usato da decenni dall?industria delle bollicine, ed ? presente praticamente in tutte le bibite pi? famose. In passato, tra l?altro, il sodio benzoato era gi? stato messo sotto accusa, sospettato di essere cancerogeno, poich? in combinazione con l?additivo della vitamina C, anch?esso presente nei drink, forma il benzene ? sostanza appunto in grado di provocare il cancro.
CENTRALE ENERGETICA IN CRISI ? Uno studioso della Sheffield University ? il professor Peter Piper, docente di biologia molecolare e biotecnologia impegnato da oltre 7 anni nello studio dell?E211 ? ha deciso di svelare al mondo i risultati delle sue ricerche, illustrando gli effetti che il conservante pu? avere sulle centrali energetiche delle cellule, ovvero i mitocondri, che tramite il processo di respirazione cellulare ricavano appunto l?energia dalle sostanze di nutrimento. ?Questi agenti chimici hanno la capacit? di danneggiare gravemente i mitocondri, al punto da riuscire a inibirne completamente l?attivit??, ha dichiarato Piper. ?Spegnere i mitocondri significa causare un serio malfunzionamento delle cellule, e sappiamo che esiste un gran numero di malattie collegate a questo tipo di problema, come ad esempio i disturbi del sistema neurovegetativo o quelli legati all?invecchiamento?. L?utilizzo dell?E211 ? approvato dalle autorit?, ma la Food Standards Agency (Fsa) britannica ha gi? fatto sapere che avvier? nuove indagini per verificare i suoi effetti nel lungo periodo.

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