Artrite reumatoide non trattata: elevato rischio TBC

Nei pazienti con artrite reumatoide sussiste un aumento del rischio di TBC anche prima del trattamento con farmaci anti-TNF-alfa, per i quali ? noto che comportino un aumento del rischio di questa patologia. L’introduzione degli agenti biologici come gli anti-TNF-alfa rappresenta un importante progresso nel trattamento dell’artrite reumatoide, ma d’altro canto l’aumento della frequenza della TBC ne rappresenta uno dei principali motivi di preoccupazione: il TNF-alfa ha un ruolo chiave nella soppressione delle infezioni micobatteriche, e la comparsa dell’infezione tubercolotica attiva ? stata riportata poco dopo l’introduzione di questi farmaci. I dati del presente studio dovrebbero formare le basi per la gestione del rischio del trattamento anticitochinico in questa popolazione. (Ann Rheum Dis 2006; 65: 1661-3)

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Transaminasi normali e HCV positiv?. Osservare, ignorare o trattare?

Quando nel 1989 ? stato isolato il virus dell’epatite C (HCV) si ? aperta una strada nuova ed affascinante per la ricerca scientifica con una progressiva evoluzione delle conoscenze che hanno chiarito da un lato gli aspetti biologici del virus e della sua replicazione con lo sviluppo di test diagnostici sempre pi? sensibili ed efficaci, e dall’altro hanno permesso la sintesi di farmaci efficaci come l?interferone che hanno mutato la storia naturale dell’HCV.

Oggi possiamo dare consigli utili sia ai pz HCV positivi che ai loro famigliari perch? conosciamo meglio il ruolo dei vari fattori di rischio. L?osservazione clinica ha permesso di identificare soggetti eleggibili al trattamento attraverso il monitoraggio dei parametri funzionali e dell’attivit? virale, ma anche se ? sempre pi? facile individuare pazienti HCV positivi con transaminasi normali verso i quali ? legittimo porsi il quesito sul come gestirli. Limitarsi ad osservare, semplicemente ignorare o decidere di trattare?

Studi recenti hanno dimostrato che questi soggetti con transaminasi normali persistenti hanno una lenta progressione dell?epatite rispetto a coloro che presentano transaminasi elevate. In particolare due nuovi studi hanno meglio definito le differenze epidemiologiche, immunologiche e istologiche esistenti tra i due gruppi di pazienti HCV positivi, con e senza alterazioni enzimatiche.

Il primo studio realizzato da ricercatori italiani dell?Universit? di Napoli e pubblicato sul Journal of Viral Hepatology ha analizzato le biopsie ottenute a 0, 5 e 10 anni di follow up di 40 pz con ALT elevate e di 24 pz con ALT normali. I risultati dello studio hanno evidenziato che il 22% dei soggetti con ALT normali ha manifestato un incremento delle transaminasi, ma solo nei primi 4 anni di follow up e non successivamente. L?unica variabile demografica significativa e distintiva dei due gruppi era rappresentata dal sesso con prevalenza dei soggetti maschi nel gruppo con ALT elevate rispetto a quello con ALT normali (rispettivamente 60% vs 37.5%; p<0.05). L?istologia iniziale mostrava un grado di fibrosi e steatosi che erano pi? marcate nel gruppo con ALT elevate. Nel follow up del gruppo con ALT normali non era documentabile una significativo cambiamento del pattern istologico e immunologico iniziale. Nel secondo studio, pubblicato su Clinical Gastroenterology Hepatology, sono stati analizzati i dati di 2473 soggetti HCV positivi di cui 480 con ALT normali. Come nello studio italiano, le donne erano prevalenti nel gruppo con ALT normali rispetto a quello con ALT elevate (59% vs 32%; p<0.01) e le alterazioni istologiche in questo gruppo erano significativamente pi? modeste rispetto a quello con ALT elevate (p<0.01), anche se nel 10% di questi soggetti con ALT normali erano documentabili dei ponti fibrotici. Dopo 72 settimane di follow up nell 53% dei 68 soggetti con ALT normali era documentabile un incremento delle transaminasi. Da questi due studi, anche se differenti come disegno, ? possibile trarre alcune conclusioni comuni relative alla gestione di soggetti HCV positivi con ALT normali: Pochi pazienti con queste caratteristiche hanno una fibrosi iniziale. Pertanto ? opportuno, in questi casi, decidere il trattamento in base ai risultati della biopsia epatica. Numerosi pazienti con transaminasi normali possono sviluppare nella loro storia futura un alterazione dei valori enzimatici. La frequenza di tali eventi impone in questi casi un attento e continuo follow up. Nei soggetti con valori normali persistenti e documentabili nel lungo periodo ? consistente l?evidenza della rara progressione istologica. Questa osservazione permette di considerare tali pazienti non eleggibili al trattamento.

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batteri intestinali possono influenzare il peso corporeo

Una ricerca compiuta da Ricercatori della Washington University di St.Louis, negli Stati Uniti, ha trovato un?associazione tra obesit? e microbi presenti nell?intestino.

I Ricercatori hanno scoperto che i livelli dei 2 tipi di batteri, Firmicutes e Bacteroidetes, che nell?intestino contribuiscono alla degradazione del cibo, sono differenti nelle persone e nei topi obesi o magri.

E? stato trovato che la popolazione dei batteri Bacteroidetes ? pi? bassa nei topi e negli esseri umani obesi rispetto ai magri.

Lo studio di 12 persone obese che hanno seguito una dieta a basso contenuto calorico per 1 anno ha mostrato che i livelli dei Bacteroidetes aumentavano al diminuire del peso corporeo.

I risultati stanno a indicare che esiste una componente microbica dell?obesit?.

Le strategie atte a modificare i livelli dei microbi intestinali potrebbero rappresentare un approccio al trattamento dell?obesit?.

Fonte: Washington University School of Medicine, 2006

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Effetto del trattamento multifattoriale sulla steatosi epatica non alcolica nei

La steatosi epatica non-alcolica ? una manifestazione della sindrome metabolica.
Non esistono ad oggi trattamenti efficaci per questa malattia epatica.

Ricercatori greci hanno valutato un intervento multifattoriale nel trattamento della steatosi non alcolica.

Lo studio prospettico ha riguardato pazienti non affetti da diabete ( n = 186 ) con sindrome metabolica.

Il periodo osservazionale ? stato di 54 settimane.

I pazienti hanno ricevuto consigli per modificare il proprio stile di vita e sono stati trattati per l?ipertensione ( nella maggioranza dei casi con inibitori del sistema renina-angiotensina ), per l?alterata glicemia a digiuno ( Metformina ), per l?obesit? ( Orlistat ) e per la dislipidemia.
Riguardo alla dislipidemia, i pazienti sono stati trattati in modo random con Atorvastatina 20mg/die ( n = 63 ) o con Fenofibrato micronizzato 200mg/die ( n = 62 ) o con l?associazione Atorvastatina e Fenofibrato ( n = 61 ).

Al termine del trattamento, il 67% dei pazienti che hanno ricevuto Atorvastatina, il 42% di quelli che sono stati trattati con Fenofibrato ed il 70% di coloro che hanno assunto l?associazione Atorvastatina e Fenofibrato non hanno pi? presentato evidenze biochimiche ed ultrasonografiche di steatosi epatica non-alcolica ( p < 0.05 versus il basale, per tutti i confronti).
La percentuale dei pazienti senza pi? evidenza di steatosi non alcolica ? risultata pi? elevata nel gruppo Atorvastatina e nel gruppo Atorvastatina e Fenofibrato, rispetto al gruppo Fenofibrato.

L?effetto era correlato in modo indipendente al trattamento farmacologico, cos? come alla riduzione della proteina C-reattiva ad alta sensibilit?, alla circonferenza-vita, al peso corporeo, ai trigliceridi, al colesterolo LDL, al colesterolo totale, alla pressione sistolica e alla glicemia.

Quattro pazienti hanno dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi.

Lo studio ha mostrato che l?intervento multifattoriale nei pazienti con sindrome metabolica e con evidenza biochimica ed ultrasonografica di steatosi epatica non alcolica ha permesso di ridurre gli elevati livelli di aminotransferasi e l?ecogenicit? del parenchima epatico.

Athyros VG et al, Curr Med Res Opin 2006; 22: 873-883

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Il computer portatile, tenuto in grembo ed in funzione, aumenta la temperatura s

L?ipertermia scrotale ? stata identificata come fattore di rischio per l?infertilit? maschile.

I computer portatili ( laptop ) sono divenuti parte di un attuale stile di vita e hanno guadagnato popolarit? tra la giovane popolazione in et? fertile.

I laptop computer sono noti raggiungere elevate temperature interne durante il funzionamento.

Ricercatori della State University di New York hanno valutato l?effetto termico sullo scroto.

La temperatura scrotale destra e sinistra ? stata misurata in 29 volontari sani in due distinte sedute da 60 minuti.

La temperatura scrotale ? aumentata in modo significativo nella parte destra e nella parte sinistra nei soggetti che lavoravano con il computer in funzione ( 2.8?C e 2.6?C, rispettivamente; p < 0.0001 ) ma anche nei soggetti senza computer ( 2.1?C; p < 0.0001 ).
Tuttavia, l?innalzamento della temperatura scrotale tra coloro che avevano il computer in grembo ? stata significativamente pi? elevata ( p < 0.0001 ).
Secondo gli Autori il computer portatile, in funzione, posizionato in grembo causa un innalzamento della temperatura scrotale, come risultato dell?esposizione a fonte di calore e di effetti correlati alla postura.

Un?esposizione a lungo termine all?ipertermia scrotale transitoria ripetitiva associata al computer portatile ? una moderna caratteristica di stile di vita che pu? avere un impatto negativo sulla spermatogenesi, in modo particolare nei ragazzi adolescenti e nelle giovani donne.

Sheynkin y et al, Hum Reprod, Published Online, 2004

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Trattamento della disfunzione erettile con Yohimbina

Non ? ben chiarito il ruolo della Yohimbina nel trattamento della disfunzione erettile organica.

Al Center for Sexual Function del Lahey Clinic Northshore di Peabody (Usa) ? stato condotto uno studio per meglio definire i pazienti che potrebbero beneficiare dall’assunzione della Yohmbina.

I Ricercatori hanno misurato la tumescenza penile notturna con il RegiScan, ed i livelli ormonali di 18 uomini non fumatori con disfunzione erettile. Inoltre sono state valutate le risposte al Florida Sexual Health Questionnarie e le risposte cliniche al basale e dopo la somministrazione di 2 diversi dosaggi di Yohimbina.

Hanno risposto al trattamento con Yohimbina gli uomini con disfunzione erettile organica meno grave, che hanno presentato un aumento della rigidit? al test del RigiScan, un pi? alto punteggio al Florida Sexual Health Questionnaire e che avevano livelli sierici di testosterone leggermente pi? alti.

Guay AT et al, Int J Impot Res 2002; 14: 25-31

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Rischio di caduta negli uomini anziani correlata a bassi livelli di testosterone

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Negli uomini, i livelli degli steroidi gonadici si riducono con l?et?.

Ricercatori statunitensi hanno compiuto uno studio osservazionale con l?obiettivo di determinare se bassi livelli di testosterone fossero associati a performance fisica e a rischio di cadute negli uomini anziani.

Un totale di 2.587 uomini di et? compresa tra 65 e 99 anni sono stati selezionati da uno studio di coorte di 5.995 volontari.

Il 56% degli uomini ha riportato almeno una caduta; molti sono andati incontro a frequenti cadute.

I pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile erano associati ad un aumentato rischio di cadute.
Gli uomini con livelli di testosterone nel pi? basso quartile avevano un rischio di cadute superiore del 40% rispetto ai soggetti nel pi? alto quartile.

L?effetto dei bassi livelli di testosterone ? risultato pi? apparente negli uomini pi? giovani ( 65-69 anni ) ( rischio relativo: 1.8 ).
Negli uomini pi? anziani ( di et? maggiore o uguale ad 80 anni ) i livelli di testosterone non erano associati alle cadute.

Le pi? basse concentrazioni di testosterone erano associate a pi? ridotta performance fisica.
Tuttavia, l?associazione tra bassi livelli di testosterone e rischio di cadute ? persistito nonostante l?aggiustamento per la performance.

Lo studio ha mostrato che le cadute sono comuni tra gli uomini anziani ed il rischio di cadute era pi? alto negli uomini con pi? bassi livelli di testosterone biodisponibile.
L?effetto dei livelli di testosterone non dipende dalla pi? scarsa performance fisica, indicando che l?effetto del testosterone sul rischio di cadute pu? essere mediato da altre azioni dell?androgeno.

Orwoll E et al, Arch Intern Med 2006; 166: 2124-2131

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Una dieta ad alto contenuto di carboidrati e basso indice glicemico permette di

Nonostante la popolarit? delle diete a basso indice glicemico o ad alto contenuto proteico, non esistono studi controllati, randomizzati che abbiano confrontato gli effetti di queste diete sul peso corporeo e sul rischio cardiovascolare.

Un totale di 129 giovani adulti in sovrappeso o obesi ( indice di massa corporea maggiore o uguale a 25 ) sono stati assegnati ad una di 4 diete ad alto contenuto di fibre e a basso contenuto di grassi.

Le diete 1 e 2 erano ad alto contenuto di carboidrati ( 55% dell?energia totale assunta ) e ad alto e basso indice glicemico, rispettivamente; le diete 3 e 4 erano ad alto contenuto proteico ( 25% dell?energia totale assunta ), con alto e basso indice glicemico, rispettivamente.

Il carico glicemico era pi? alto nella dieta 1 e pi? basso nella dieta 4.

In tutti i gruppi ? stata osservata una similare perdita percentuale di peso corporeo ( dieta 1: -4.2%; dieta 2: -5.5%; dieta 3: -6.2%; dieta 4: -4.8% ).

Tuttavia, la proporzione dei soggetti in ciascun gruppo che ha perso il 5% o pi? di peso corporeo ? variata in modo significativo secondo la dieta assunta ( dieta 1: 31%; dieta 2: 56%; dieta 3: 66%; dieta 4: 4.33%; p = 0.01 ).

Le donne che hanno seguito la dieta 2 e la dieta 3 hanno perso l?80% in pi? di massa grassa ( -4.5kg e ?4.6kg, in media), rispetto alle donne che hanno seguito la dieta 1 ( -2.5kg, in media; p = 0.007 ).

I livelli di colesterolo LDL si sono ridotti in modo significativo nel gruppo dieta 2 ( -6.6kg/dl ) , ma sono aumentati nel gruppo dieta 3 ( +10mg/dl; p = 0.02 ).

I risultati dello studio hanno dimostrato che entrambi i regimi ad alto contenuto proteico e a basso indice glicemico hanno aumentato la perdita della massa grassa, ma per la riduzione del rischio cardiovascolare ? consigliabile una dieta ad alto contenuto di carboidrati e basso indice glicemico.

McMillan-Price J et al, Arch Intern Med 2006; 166: 1466-1475

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Il Lactobacillum fermentum non riduce i livelli plasmatici dei lipidi

C?? un crescente interesse nell?impiego di terapie naturali per ridurre gli elevati livelli di colesterolo LDL.

Uno studio compiuto da Ricercatori della University of New South Wales a Sidney in Australia ha valutato gli effetti del Lactobacillus fermentum sul colesterolo LDL e su altre frazioni lipidiche.

Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, ha coinvolto soggetti con livelli di colesterolo totale maggiori o uguali a 4mmol/l.

I soggetti ( n = 46 ) sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 2 capsule di Lactobacillus fermentum 2 volte die [ ciascuna capsula conteneva 2×10(9) unit? formanti colonie ], oppure placebo per 10 settimane.

Due soggetti hanno interrotto precocemente lo studio, uno per ragioni personali ed uno per disturbi intestinali.
Tre altri soggetti hanno presentato disturbo intestinale, ma hanno completato lo studio.

E? stato osservato un modesto trend di riduzione del colesterolo LDL da parte del Lactobacillus fermentum e del placebo ( 7% e 5.2%, rispettivamente ).
Questo trend non ha raggiunto significato statistico e non ? emersa differenza statisticamente significativa tra i due bracci di trattamento riguardo ai valori di colesterolo totale, colesterolo HDL o trigliceridi.

Non sono stati riscontrati cambiamenti significativi negli enzimi epatici o in altri parametri di sicurezza.

I dati dello studio hanno mostrato che il Lactobacillus fermentum non sembra essere in grado di produrre cambiamenti significativi delle frazioni lipidiche, anche se un piccolo effetto non pu? essere escluso del tutto.

Simons LA et al, Nutr Metab Cardiovasc Dis 2006; 16: 531-532

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Colesterolo LDL, benefici nel raggiungimento degli obiettivi NCEP tra i pazienti

E? stata valutata l?efficacia e la sicurezza del raggiungimento degli obiettivi di colesterolo LDL < 1.8mmol/l secondo le lineeguida NCEP ( National Cholesterol Education Program ) nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta.
La relazione tra colesterolo LDL a 30 giorni dopo sindrome coronarica acuta, e gli outcome ( esiti ) clinici ? stata valutata tra i pazienti anziani ( di et? uguale o superiore ai 70 anni ) ed i soggetti pi? giovani nello studio PROVE IT-TIMI 22, impiegando l?end point composito di morte, infarto miocardico o angina instabile.

Tra i 634 pazienti pi? anziani, il raggiungimento degli obiettivi NCEP era associato ad un pi? basso rischio di eventi ( rischio assoluto: -8%; rischio relativo: -40% ) ( hazard ratio, HR = 0.60; p = 0.008 ), contro la riduzione del 2.3% e del 26% nei 3.150 pazienti pi? giovani ( HR = 0.74; p = 0.013 ).

Tra i pazienti pi? anziani il numero stimato di eventi che possono essere prevenuti al raggiungimento di questi obiettivi era di 80 eventi per ogni 1000 pazienti a 2 anni, mentre tra i pazienti pi? giovani gli eventi potenzialmente prevenibili erano 23.

L?incidenza di effetti indesiderati maggiori tra i pazienti pi? anziani ? risultata simile a quella dei pazienti pi? giovani e non differiva con l?intensit? del regime a base di statine.

I dati di questo studio hanno mostrato che nei pazienti anziani con sindrome coronarica acuta il raggiungimento degli obiettivi opzionali di colesterolo LDL, secondo il NCEP, come parte di una strategia di prevenzione secondaria, ? sicuro ed efficace come nei pazienti pi? giovani.

Ray KK et al, Eur Heart J 2006; 27: 2310-2316

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