TAO, aspirina e scompenso cardiaco

I pazienti affetti da scompenso cardiaco (HF) vanno incontro, rispetto alla popolazione generale, ad un maggior numero di stroke ed eventi tromboembolici sistemici; per una serie di motivi, tra cui la stasi nel ventricolo sin, disfunzione a livello dell’endocardio, stato di ipercoagulabilità. Ci si aspetterebbe dunque che una terapia anticoagulante sia di fondamentale importanza clinica, ma in realtà non si sa se nei pazienti scompensati in ritmo sinusale la terapia anticoagulante sia superiore alla terapia antiaggregante. A tale proposito il NEJM ha di recente pubblicato uno studio di Homma e coll. [Warfarin versus Aspirin in Reduced Cardiac Ejection Fraction (WARCEF) trial] in cui  2.305 pazienti di età media di 61  anni – relativamente giovani per una popolazione con HF – con disfunzione ventricolare severa (mediamente FE 25%) sono stati randomizzati a ricevere warfarin (INR 2-3.5) o ASA (325 mg/die) per una media di 3.5 anni. Ebbene, non c’è stata differenza significativa tra i due gruppi di pazienti nell’outcome primario di stroke (ischemico o emorragico) o morte. Il warfarin nei confronti dell’ASA era accompagnato da una significativa riduzione dello stroke ischemico (probabilmente tromboembolico) nel periodo di follow-up, ma al prezzo di un più elevato numero di emorragie maggiori (P<0.001), mentre i tassi di emorragia intracranica e intracerebrale non differivano significativamente. In definitiva quindi i risultati del WARCEF trial sono in accordo con precedenti piccoli trials, che già erano arrivati alla conclusione che nei pazienti scompensati in ritmo sinusale la terapia con warfarin non è superiore a quella con ASA e quindi non è da utilizzare routinariamente, ma caso per caso. 

Homma S et al,for the WARCEF Investigators. N Engl J Med 2012; 366:1859-1869

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Valutazione della mortalità dopo intervento chirurgico non cardiaco

Il ‘Revised Cardiac Risk Index’ è uno score ampiamente utilizzato per valutare il rischio di complicanze cardiache in pazienti sottoposti ad interventi chirurgici non cardiaci, ma non sono disponibili sistemi per predire la mortalità post-operatoria globale. Per individuare un tale sistema di valutazione, Glance e collaboratori hanno utilizzato un database dell’American College of Surgeons, relativo ad alcune centinaia di ospedali americani, proponendo un modello che utilizza 3 predittori di rischio ed uno score di 9 punti. La coorte studiata includeva 300.000 pazienti sottoposti ad intervento chirurgico non cardiaco sotto anestesia generale o loco-regionale. Per elaborare un modello semplificato, i ricercatori hanno selezionato 3 variabili (l’American Society of Anesthesiologists (ASA) Physical Status, il rischio chirurgico specifico relativo al tipo di intervento e la chirurgia di urgenza versus chirurgia di elezione) ed hanno attribuito un punteggio di rischio di mortalità per ogni variabile (vedi tabella). Il modello di previsione del rischio è stato calcolato sulla metà della coorte di pazienti considerata e risultava accettabile nella rimanente metà. La mortalità a 30 giorni è risultata pari rispettivamente a

  • < 0.1% nei pazienti con 0-2 punti
  • 0.2% nei pazienti con 3 punti
  • 0.5% nei pazienti con 4 punti
  • 1.5% nei pazienti con 5 punti
  • 4.0% nei pazienti con 6 punti
  • 10.0% nei pazienti con 7 punti
  • 25.0% nei pazienti con 8 punti
  • 50.0% nei pazienti con 9 punti.

I vantaggi di questo modello sono rappresentati dalla sua relativa semplicità di utilizzo e dal fatto che è stato elaborato a partire da un ampio database di pazienti. Al contrario, i limiti del modello sono riferibili alla assegnazione soggettiva del punteggio ASA da parte del medico e la necessità di definire quali procedure chirurgiche sono da ritenere a rischio basso, intermedio ed elevato. Gli autori dello studio ritengono che il loro modello possa essere utilizzato come un punto di partenza per una valutazione bedside del rischio perioperatorio; questa conclusione appare ragionevole anche se alcuni pazienti presentano caratteristiche che non rientrano nelle 3 variabili del modello. 

Glance LG et al. The surgical mortality probability model: Derivation and validation of a simple risk prediction rule for noncardiac surgery. Ann Surg 2012; 255: 696

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Prescivere i farmaci in base al peso corporeo

I medici hanno a disposizione per la cura degli adulti compresse o altre formulazioni farmaceutiche a dosaggi differenti (ad esempio 250 e 500 mg per la maggior parte degli antibiotici e per alcuni analgesici). Ma questa ridotta disponibilità di differenti posologie per la maggior parte dei farmaci a disposizione consente di trattare al meglio i nostri pazienti? In base ai principi di farmacocinetica e farmacodinamica, vari fattori legati al paziente come  funzionalità renale ed epatica, età e sesso devono essere presi in considerazione quando prescriviamo un farmaco. La valutazione del peso corporeo è pratica clinica di routine in alcune specialità come in oncologia, dove la terapia con agenti tossici avviene costantemente, ed in pediatria dove la dose è condizionata dal peso e dal grado di maturità. Molte malattie determinano un aumento o una diminuzione del peso corporeo; inoltre valutando sia l’epidemia crescente di obesità in alcuni paesi che gli alti tassi di malnutrizione in altri, prendere in considerazione il peso del paziente ha una logica sia di ordine farmacologico che clinica. Adattare la dose del farmaco al peso del paziente non solo potrebbe conferire una maggiore efficacia alla terapia, ma anche una maggiore tollerabilità determinando minori effetti collaterali. Il peso corporeo andrebbe quindi ad assumere una maggiore importanza nel trattamento se, questo principio di aggiustare la dose in base a questo parametro, potesse essere esteso a tutti i farmaci e non limitato come oggi ai soli antineoplastici o agli anti-infettivi. Sono necessari trial randomizzati e controllati per rispondere adeguatamente a questa domanda. I medici sarebbero maggiormente disposti ad implementare la pratica di adattare la dose dei farmaci al peso corporeo se trial robusti ne mostrassero il beneficio per il paziente. Dal momento che la maggior parte dei medici prescrive via computer, un appropriato algoritmo potrebbe esservi applicato e, così come avviene in pediatria, l’uso di formulazioni liquide o soluzioni potrebbe rendere molto più semplice il calcolo della dose. Questo tipo di formulazioni sono spesso costose ed hanno una emivita più breve; tuttavia se le evidenze scientifiche evidenziassero i vantaggi terapeutici nell’adattare la dose al peso corporeo, sarebbe indispensabile avere a disposizione una più ampia gamma di formulazioni: forse un business per l’industria farmaceutica? 

Falagas ME and Karageorgopoulos DE. The Lancet 2010; 375: 248-251

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Minor costo, maggiori benefici: è questo il binomio della moderna contraccezione, dal mese di Maggio 2012 è presente, in tutte le farmacie, il primo contraccettivo orale equivalente di ultima generazione a base di drospirenone, con basse quantità di estro

Drosure, a base di drospirenone e  30 mcg di etinilestradiolo in confezione 1×21 compresse da un blister e in confezione 3×21 da 3 blister

Drosurelle, a base di drospirenone e 20 mcg di etinilestradiolo in confezione 1×21 compresse da un blister e in confezione 3×21 da 3 blister

 Il drospirenone è il progestinico più utilizzato dalle donne italiane, infatti le pillole a base di questo progestinico rappresentano il 35% di tutto il mercato dei contraccettivi orali vendute in farmacia, insomma 1 donna su 3 assume questo progestinico, con un giro d’affari pari a 80 milioni di euro. “il drospirenone- spiega Tiziano Motta, responsabile dei Servizi di Ginecologia dell’Infanzia e dell’Adolescenza e di Endocrinologia Ginecologica e Contraccezione della Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico di Milano – “Apparsa di recente sul mercato, la prima a base di drospirenone con basse quantità di estrogeni, è  una molecola derivata dallo spironolattone (diuretico), mantenendo un elevato profilo progestinico che svolge a tutti gli effetti con una azione inibitoria sull’ovulazione, offre anche il vantaggio di ridurre la ritenzione idrica. Inoltre, grazie all’azione antagonista sui recettori degli androgeni potenzia l’efficacia del contraccettivo nel combattere i disturbi di acne e peluria (irsutismo). Il contraccettivo equivalente a base di drospirenone offre una doppia formulazione a 30 mcg , la cui combinazione con un progestinico a prevalente attività antiandrogenica garantisce un miglior controllo sia sull’acne sia sulla regolarizzazione del ciclo mestruale e 20 mcg di etinilestradiolo, più adatta per le donne che soffrono di sindrome premestruale o che non desiderano aumentare di peso.”. L’introduzione del nuovo farmaco equivalente porterà notevoli vantaggi alle consumatrici, a partire proprio dal costo inferiore, il risparmio, infatti, è di circa il 20% rispetto al farmaco “griffato”. Il prezzo del contraccettivo orale rappresenta infatti un problema per una donna su cinque (come emerge da una recente indagine svolta dall’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna O.N.Da), anche per questo motivo il 94% del campione intervistato è favorevole al passaggio ad un contraccettivo equivalente. Il consumo della pillola generica, nell’ultimo anno, ha avuto un incremento del 20%: una percentuale destinata ad aumentare, nei prossimi mesi, anche grazie all’arrivo del nuovo contraccettivo orale equivalente.  In questo caso è rilevante l’introduzione, da parte del gruppo farmaceutico Effik, del concetto della multiconfezione “3×21” che porta ad un risparmio economico ancora più alto ed è particolarmente apprezzata (come emerge sempre dall’indagine ONDA) dal 75% delle donne intervistate per la sua praticità. Effik, azienda farmaceutica nata nel 1992 in Francia e nel 2001 in Italia, ha come mission aziendale “la salute della Donna”, questa specializzazione ha permesso al gruppo farmaceutico di sviluppare un’espansione di fatturato e di risorse umane inimmaginabili in questo periodo di crisi. Effik Italia propone una gamma completa di prodotti che coprono tutte le necessità della ginecologia: contraccezione, trattamento delle micosi ginecologiche, vitamine e minerali per la gravidanza, terapia ormonale sostitutiva per la menopausa, terapia del deficit luteale, prevenzione dei difetti del tubo neurale, procreazione medico assistita. Effik Italia ha una posizione di leadership, nel settore della ginecologia.

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Fibre e pochi grassi per ridurre fatigue post ca mammario

Diete ricche in fibre e povere di grassi sono associate a una ridotta fatica nelle donne sopravvissute a un cancro mammario. Il dato giunge da un gruppo di ricercatori della university of Georgia, autori di uno studio focalizzato sulle possibili associazioni tra intake di singoli componenti della dieta e fatigue in relazione (o meno) all’adiposità e all’attività fisica in donne con pregresso ca mammario. Il team ha analizzato i parametri basali di 42 donne (età media: 54 anni) coinvolte in un trial randomizzato di esercizio fisico: la fatica (tramite il Functional assessment of cancer therapy for fatigue), i componenti della dieta, l’indice di massa corporea, il grasso corporeo percentuale (assorbimetria a raggi X) e accelerometria. La fatica è risultata associata positivamente con la percentuale di kilocalorie provenienti da grassi introdotte giornalmente, e inversamente propozionale all’assunzione quotidiana di grammi di fibra e di carboidrati. La fatigue mediamente è apparsa maggiore per le partecipanti allo studio che consumavano <25 g/die di fibra rispetto a quante ne assumevano >25 g/die. Non si sono colte invece associazioni tra fatigue e pressione arteriosa o composizione corporea.

Eur J Cancer Care (Engl). 2012 Jun 5. 

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Isterectomia: esiti simili in accesso singolo e robot-assistita

Nel trattamento chirurgico del cancro endometriale, l’isterectomia totale eseguita in laparoendoscopia in accesso singolo (Less) e quella robot-assistita costituiscono due approcci entrambi ragionevoli e ognuno di essi può apportare benefici o danni a seconda della popolazione di pazienti assistite. È l’esito di una retrospettiva multicentrica che ha coinvolto tre gruppi ginecologici italiani (Università Cattolica del Sacro Cuore di Gesù, a Roma; Ospedale Santa Chiara, a Pisa; Policlinico di Abano Terme, in provincia di Padova) e uno americano (Cleveland Clinic, Ohio). I ricercatori hanno confrontato le due tecniche su pazienti simili, valutando gli outcome chirurgici, i parametri intra- e post-operatori e le complicanze. Nel corso del periodo di studio, 75 donne sono state avviate a isterectomia totale Less e altre 75 a un’isterectomia totale robotica. Il tempo operatorio medio (122 vs 175 min) e la perdita stimata di sangue (50 vs 80 mL) sono risultati leggermente in favore del gruppo Less. Le complicanze intraoperatorie sono risultate equamente distribuite; quelle postoperatorie di grado IIIb sono state 4 nel gruppo robot (5,3%) vs 1 nel gruppo Less (1,3%).

Gynecol Oncol, 2012; 125(3):552-5

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Terapia ormonale sostitutiva: profilo aggiornato

Quattro ricercatori appartenenti a due centri dell’Oregon hanno avviato una revisione sistematica degli studi randomizzati, pubblicati a partire dal 2002 sui principali archivi scientifici, che hanno valutato la terapia ormonale in menopausa come strategia di prevenzione primaria delle cronicità. Il progetto scientifico Women’s health initiative, con 11 anni di follow-up, ha fornito la maggior parte dei risultati applicabili alle donne americane in post-menopausa. Ne è emerso che la combinazione di estrogeno e progestinico è stata efficace nel ridurre il rischio di fratture (46 in meno ogni 10.000 donna-anno) ma ha aumentato i casi di carcinoma mammario (+8 in più per 10.000 donna-anno), ictus (+9), trombosi venosa profonda (+12), embolia polmonare (+9), decesso per cancro al polmone (+5), malattia alla cistifellea (+20), demenza (+22) e soprattutto incontinenza urinaria (+872, sempre per 10.000 donna-anno). La terapia a base di solo estrogeno, oltre a ridurre le fratture (56 in meno ogni 10.000 donna-anno) ha diminuito i casi di tumore al seno (8 in meno) e di decessi (2 in meno), ma si è associata a un aumento di ictus (+11), trombosi venosa profonda (+7), malattia alla cistifellea (+33) e ancora incontinenza urinaria (+1.271). I risultati non hanno presentato differenze significative in funzione dell’età o di condizioni di comorbilità.

Ann Intern Med. 2012 May 28. [Epub ahead of print]

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Strategie di prevenzione: Pap-test ogni tre anni e test Hpv

Il Pap-test ogni anno? Non serve più, basta una volta ogni tre anni, insieme al test virale per l’Hpv. A dichiararlo, sulla base dei più recenti studi italiani e internazionali, è Umberto Veronesi, direttore dell’Istituto europeo di oncologia di Milano (Ieo), in occasione dello Ieo Day, svoltosi a Milano il 28 maggio e dedicato alle “Nuove cure a misura di donna”. Meno esami, quindi, ma più efficaci, anche perché, sempre secondo Veronesi, «nei tumori ginecologici sono avvenuti i cambiamenti più significativi nella lotta al cancro degli ultimi 50 anni». Proprio grazie al nuovo test virale associato al Pap-test, il cancro al collo dell’utero è stato ridotto all’incidenza minima, e si avvia a scomparire grazie alla vaccinazione anti-Hpv. Tra le scoperte più importanti, inoltre, l’azione preventiva della pillola anticoncezionale per il tumore alle ovaie. Come afferma Veronesi, infatti, «la pillola anticoncezionale, se presa per almeno 15 anni, protegge il 50% delle donne da questo tipo di cancro». Ma non solo. Il tumore alle ovaie potrà presto essere diagnosticato in fase molto precoce, attraverso un semplice esame del sangue, aumentando in maniera significativa le possibilità di guarigione, mentre il tumore al collo dell’utero è sempre più spesso operabile mantenendo la capacità procreativa. Risultati importanti, quindi, che devono essere accompagnati però da una corretta e diffusa cultura della prevenzione. «La scienza ha fatto enormi passi in avanti» conclude Veronesi «mentre la cultura della prevenzione è rimasta indietro. Per questo è importante che medici e pazienti comprendano i progressi nella lotta ai tumori ginecologici».

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Impatto psicologico dell’infertilità e dei protocolli di Procreazione Medicalmente Assistita Ruolo e importanza del counselling per la coppia infertile

La riproduzione e il divenire genitori rappresentano una parte fondamentale della vita di una coppia. Il concepimento è fortemente correlato, sia per la donna che per l’uomo, all’autostima, all’identità sessuale e alla percezione della propria immagine corporea1. Una coppia quando raggiunge la consapevolezza della propria infertilità accusa sempre una profonda crisi emozionale che và tenuta in considerazione dal medico durante tutto il percorso diagnostico e terapeutico proposto nell’ambito di protocolli di Procreazione Medica Assistita (PMA). Questo è ancor più vero se si considerano coloro che avevano pensato di pianificare la propria vita riproduttiva, adottando metodi contraccettivi. In questi casi è molto spiccata la prima reazione alla diagnosi di infertilità, caratterizzata da sentimenti di sorpresa, incredulità, negazione. Parallelamente, si fanno spazio sentimenti di rabbia, frustrazione, ansia e depressione2. Il pattern dei sintomi caratteristici della “crisi” della sterilità è assimilabile a quello correlato ad un forte evento stressante, ma a differenza delle crisi traumatiche, in cui la fase reattiva si risolve quasi sempre nell’arco di circa sei settimane, nell’infertilità nuovi eventi, nuove speranze e nuove delusioni ritardano l’adattamento e la risoluzione del trauma primitivo, rinnovandosi ad ogni comparsa di ciclo mestruale o in occasione di eventi esterni come la nascita di un bambino nell’ambito familiare3.
La grande complessità di tale quadro psicologico è stata recepita dalle norme applicative della Legge 40/2004 con l’indicazione di “garantire alle coppie un servizio di supporto psicologico prima e durante l’esecuzione dei singoli trattamenti, allo scopo di attivare le risorse interne al singolo individuo perché possa affrontare più agevolmente le difficoltà”.
Allo scopo le raccomandazioni dell’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology)4, attualmente in corso di revisione5, propongono tre diversi tipi di counselling utili per il supporto della coppia inserita in protocolli di PMA:
Decisionmaking counselling : con lo scopo di consentire ai pazienti di comprendere e di riflettere, durante la proposta di trattamento, sulle implicazioni che questo potrebbe avere per loro, per le loro famiglie e per gli eventuali figli, aiutando inoltre le persone a scegliere se e quando interrompere un trattamento.
Support counselling : con l’obiettivo di sostenere le coppie nei momenti di maggiore stress, favorendo l’elaborazione di nuove strategie per gestire le difficoltà, considerando che lo stress è causato dalla frustrazione del naturale desiderio di un figlio, ma anche dalla pressione sociale o familiare intorno alla genitorialità o dal rischio che il trattamento fallisca. Il trattamento in sé, inoltre, è causa spesso di stress aggiuntivo e situazioni specifiche di stress sono tipicamente quelle in cui è necessario prendere rapidamente delle decisioni in merito al trattamento, i periodi di attesa del risultato del test di gravidanza, i giorni successivi al fallimento di un ciclo di trattamento, le occasioni di conflitto date dal dover decidere se interrompere o meno il trattamento e naturalmente l’elaborazione della rinuncia definitiva.
Therapeutic counselling : che si propone di assistere le persone o le coppie nello sviluppo di strategie che consentano loro di far fronte alle conseguenze dei trattamenti dell’infertilità e aiutarle a moderare le loro aspettative ed accettare la realtà di particolari situazioni. In particolare le persone sono invitate a esaminare la loro attitudine verso: la propria infertilità, l’infertilità del partner, la possibilità che il trattamento fallisca.

Obiettivi del counselling in questi pazienti che vivono una situazione di forte stress emotivo sono:

  • favorire l’espressione delle emozioni
  • identificare le cause di stress
  • promuovere interventi volti a ridurre lo stress e aiutare le coppie a reagire meglio alle difficoltà
  • discutere i fattori personali, situazionali o sociali che possono predisporre o innescare un forte stress.

Nei casi in cui si ottiene la gravidanza è fondamentale favorire la transizione dalla condizione di pazienti infertili a quella di genitori in attesa di avere un bambino , contenendo i sentimenti di incredulità e ambivalenza legati alla gravidanza e alla capacità futura di essere genitori.
In presenza di gravidanze multiple è importante fornire un quadro realistico di cosa può comportare divenire genitori di due (o tre) figli della stessa età.
In determinate situazioni il medico può aiutare la coppia a porre fine ai trattamenti, soffermandosi sul significato personale di non aver raggiunto un importante scopo della vita.
Anche la sessualità e la vita di relazione spesso richiedono una discussione aperta ed approfondita, volta ad identificare fattori che possono contribuire al problema quali la depressione o gli effetti collaterali delle terapie.
Infine, il counselling diagnostico e terapeutico non può trascurare il contesto socioculturale di appartenenza dei pazienti. A tal proposito, è utile esplorare il significato dell’infertilità nella cultura della coppia, mettendo in luce le pressioni sociali che la coppia subisce per il mancato concepimento, in particolare la donna, spesso percepita come unica responsabile dell’infertilità.

Servizi psicosociali aggiuntivi quali il counselling telefonico e le informazioni date per iscritto possono riportare alla normalità l’esperienza dei pazienti, fornendo loro notizie sulle più comuni reazioni psicologiche all’infertilità e sulle modalità di reazione a tale condizione,evitando che si sentano esclusi se la propria esperienza differisce da quella descritta e in modo che le indicazioni date siano ampiamente accessibili.
Inoltre, l’autonomia dei pazienti può essere incoraggiata da strutture di natura proattiva come i gruppi di auto‐aiuto, in cui ciascun membro partecipa al successo del gruppo, e all’interno del quale vengono fornite indicazioni cliniche e supporto psicologico.
Tutto questo è utile se considerato come strumento per il medico nel ridurre il disagio psicologico e la naturale tendenza all’isolamento della coppia infertile nel dolore della propria esperienza, favorendo i meccanismi adattativi di risposta allo stress della riproduzione assistita. Il passaggio critico dell’intervento medico è rendere la coppia co‐protagonista della ricerca del figlio, e non semplicemente “oggetto” di cura. Presupposti fondamentali per un buon esito sono: la creazione del rapporto empatico tra il medico e la coppia e, per il medico, che nella coppia ciascun individuo venga preso ugualmente in considerazione. Infatti i due componenti della coppia possono affrontare diversamente la sterilità e non di rado possono avere opinioni contrastanti su quanto il problema infertilità abbia condizionato il proprio rapporto coniugale e la propria vita sessuale. Per una coppia di fronte alla crisi dell’infertilità il medico rappresenta l’elemento chiave del triangolo relazionale, e questo vale in qualsiasi momento del percorso diagnostico‐terapeutico. Pertanto i medici curanti e gli specialisti coinvolti in protocolli di PMA devono essere consapevoli del valore critico attribuibile ad un loro intervento di counselling rivolto alla coppia per l’elaborazione di strategie di superamento della crisi interiore generata dall’infertilità, e ciò deve avvenire indipendentemente dall’ottenimento o meno della gravidanza cercata.

Bibliografia:

1. Möller A and Fällström K Psychological consequences of infertility: a longitudinal study. J Psychosom Obstet Gynaecol 1991;12:27–45

2. Lund R. et al. The impact of social relations on the incidence of severe depressive symptoms among infertile women and men. Hum Reprod . 2009;24:2810‐20

3. B.D. Peterson BD et al. The longitudinal impact of partner coping in couples following 5 years of unsuccessful fertility treatments Human Reproduction 2009;24:1656–64

4. J. Boivin, T.C. Appleton, P. Baetens, et al. Guidelines for counselling in infertility: outline version . Hum Reprod 2001;16:1301‐4.

5. Blyth E Guidelines for infertility counselling in different countries: Is there an emerging trend Hum Reprod First published online: April 4, 2012

WOMN-1043581-0000-UNV-NL-06/14 

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Antipertensivi: meglio se somministrati la sera

La modalità di somministrazione serale degli anti-ipertensivi sarebbe da consigliare almeno nei pazienti con insufficienza renale (IRC) e per i farmaci che agiscono sul sistema renina angiotensina (ACEI, Sartani). Questa è la conclusione cui perviene Hermida in uno studio che ha arruolato 661 pazienti con IRC. Lo studio, che ha però il limite di essere in aperto, ha valutato l’efficacia di una somministrazione di tutti gli antipertensivi al risveglio o di almeno un farmaco la sera, prima di andare a letto. È stata misurata la pressione delle 48 h basale, poi ogni 3 mesi o almeno ogni anno. Dopo un follow-up mediano di 5.4 anni, i pazienti che assumevano almeno 1 farmaco la sera avevano un rischio aggiustato per eventi cardiovascolari totali (infarti e angina, ictus, rivascolarizzazione, mortalità) ridotto di approssimativamente 1/3 rispetto ai pazienti che avevano assunto tutti i farmaci al mattino (p<0.001). Inoltre, i pazienti che assumevano i farmaci prima del riposo notturno avevano una pressione media notturna significativamente più bassa ed un migliore controllo della pressione nella rilevazione dinamica (p=0.003). Per ogni 5 mmHg di diminuzione della pressione sistolica notturna si è assistito a una riduzione del 14.5% del rischio di eventi cardiovascolari nel follow up (p<0.001). I migliori risultati si sono ottenuti però con ACEI e sartani; meno evidenti sembrano con i calcio-antagonisti (CCB) e nulli con i beta-bloccanti ed i diuretici. È possibile che per i beta-bloccanti sia importante la modulazione dell’attività simpatica (quindi meglio somministrarli al mattino) e per i diuretici il peggioramento del riposo notturno causato dell’inevitabile nicturia, se somministrati la sera. A nostro parere la novità del lavoro non consiste tanto nel fatto che si debba frazionare la somministrazione dei farmaci (in genere i nostri pazienti sono poli-trattati e da sempre si cerca di scaglionare le pillole) quanto nell’indicazione a somministrare gli ACEI e i sartani alla sera ed i calcio-antagonisti al mattino, mentre eravamo abituati a fare il contrario (per minimizzare i disturbi collegati alla possibile cefalea da CCB ed altri effetti collaterali).

Hermida RC. J Am Soc Nephrol 2011; 22: 2313

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