Un collirio contro l’Alzheimer

Nuove e interessanti prospettive nella cura della malattia di Alzheimer, grazie a un collirio che contiene la molecola Ngf. Una goccia di questa sostanza ? in grado di raggiungere i neuroni del prosencefalo basale e prevenirne la morte. E’ questo il risultato di studi clinici condotti da Luigi Aloe dell’Istituto di neurobiologia e medicina molecolare (Inmm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma e da Alessandro Lambiase della Clinica oculistica dell’Universit? di Roma “Campus”.

Negli ultimi anni il fattore di crescita nervoso (scoperto negli anni ’50 dal premio Nobel Rita Levi-Montalcini) ha ricevuto molta attenzione come potenziale agente terapeutico nella malattia di Alzheimer e attualmente, l’uso di questa molecola nel trattamento della malattia richiede la somministrazione intracerebrale in prossimit? delle aree cerebrali colpite dalla patologia, essendo incapace di attraversare la barriera ematoencefalica.

“La somministrazione di Ngf per via oculare, resa possibile dall’esistenza di una connessione anatomica tra cervello e sistema oculare – spiega Luigi Aloe dell’Inmm-Cnr – rappresenta una strategia nuova, non invasiva in grado di aggirare la barriera cerebrale”. “Fino ad oggi, per la somministrazione della molecola Ngf – sottolineano gli autori della ricerca – sono state utilizzate metodiche invasive con rischi e costi elevati, come l’infusione cerebro-ventricolare, il trapianto di cellule capaci di produrre Ngf e vettori virali. Lo sviluppo di metodi di somministrazione meno invasivi e costosi consentirebbe un potenziale impiego della molecola nella clinica per il trattamento di queste patologie degenerative”.

In futuro la molecola potr? essere somministrata durante le prime fasi della malattia come semplice collirio, per ridurre e/o bloccare l’evoluzione di una patologia, che si stima, oggi nel mondo, colpisca circa 15 milioni di persone di cui circa 4 milioni americani. Nei prossimi 20-30 anni gli statunitensi affetti da morbo di Alzheimer saranno oltre 10 milioni e gli europei circa 15 milioni.

Lo studio – finanziato dal Cnr, dal progetto Firs (Fondo integrativo speciale per la ricerca) e dalla Fondazione G.B. Bietti di Roma – rappresenta un interessante e valido potenziale di competitivit? nello sviluppo e utilizzo di nuovi farmaci per l’Alzheimer.

I risultati ottenuti dai due ricercatori italiani fanno parte di una lunga e intensa collaborazione e attivit? di ricerca di base, pre-clinica e clinica, che ha portato in precedenza alla scoperta dell’efficacia terapeutica del Ngf su ulcere corneali e cutanee di varia origine, pubblicati nelle pi? importanti riviste scientifiche internazionali, tra cui il New England Journal of Medicine, Lancet, Annals of Internal Medicine, Ophthalmology, Archive’s of Ophthamolology.

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La resistenza all?insulina ? associata a steatosi nei pazienti non diabetici con

Ricercatori dell?Universit? di Palermo hanno valutato i fattori associati alla steatosi epatica nell?epatite C cronica, genotipo 1, e l?impatto del grasso epatico sullo sviluppo di fibrosi e sulla risposta all?Interferone.

Un totale di 291 pazienti non diabetici con epatite C cronica, genotipo 1, sono stati sottoposti ad esame per la presenza di steatosi.
E? stata anche ricercata una correlazione con i dati clinici, virologici e biochimici, tra cui la resistenza all?insulina.

La resistenza all?insulina ? stata valutata mediante il punteggio HOMA ( homeostatis model assessment ).

La steatosi era classificata come, lieve ( 1-20% di epatociti coinvolti ), moderata ( 21-40% di epatociti coinvolti ) e grave ( > 40% di epatociti coinvolti ).

La steatosi ? risultata lieve nel 37.8% dei soggetti e moderata-grave nel 18.9%.

All?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave era indipendentemente associata al sesso femminile ( odds ratio, OR = 2.74 ), agli alti livelli di gamma-glutamiltransferasi ( gamma-GT; OR = 1.52 ) e punteggio HOMA ( OR = 1.076 ).

Sempre all?analisi di regressione logistica, la steatosi moderata-grave ( OR = 2.78 ) e la conta piastrinica ( OR = 0.97 ) erano predittori indipendenti di fibrosi in fase avanzata.

I pazienti con steatosi moderata-grave presentavano un odds ratio di 0.52 per la risposta virologica sostenuta rispetto ai pazienti con steatosi lieve/assente.

I dati dello studio hanno mostrato che nei pazienti europei non diabetici con epatite C, genotipo 1, a basso rischio per la sindrome metabolica, la prevalenza di steatosi era approssimativamente del 60%.

La resistenza all?insulina ? un fattore di rischio per la steatosi moderata-grave, specialmente negli uomini.

La steatosi moderata-grave ha rilevanza clinica essendo associata a fibrosi in fase avanzata e ad iporesponsivit? alla terapia antivirale.

Camma C et al, Hepatology 2006; 46

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Strategie per l?eradicazione dell?infezione da virus dell?epatite B

L?infezione da virus dell?epatite B ( HBV ) ? una delle principali cause di cirrosi e di tumore epatico negli Stati Uniti.

L?Advisory Committee on Immunization Practices ( ACIP ) ha raccomandato una strategia per eliminare il virus dell?epatite B che includa la prevenzione della trasmissione perinatale di HBV, la vaccinazione universale dei neonati, la vaccinazione immediata dei bambini e degli adolescenti non vaccinati e la vaccinazione degli adulti non vaccinati ad aumentato rischio di infezione.

L?incidenza di epatite B acuta si ? ridotta del 75%, da 8.5 casi per una popolazione di 100.000 persone nel 1990 a 2.1 per 100.000 persone nel 2004, con il maggior declino ( 94% ) tra i bambini e gli adolescenti.
L?incidenza rimane pi? alta tra gli adulti, che sono responsabili del 95% delle 60.000 nuove infezioni ( stimate ) nel corso del 2004.

Per esaminare la copertura della vaccinazione per l?epatite B tra gli adulti, sono stati analizzati i dati del 2004 nel National Health Interview Survey ( NHIS ).
Durante il 2004, il 34.6% degli adulti di et? compresa tra 18 e 49 anni hanno riferito di essere stati vaccinati contro l?epatite B, tra cui il 45.4% degli adulti ad alto rischio per l?infezione HBV.

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Alta incidenza di steatosi epatica nei pazienti con confezione HIV-HCV

E? stata valutata la prevalenza e la gravit? della steatosi e delle possibili interazioni tra steatosi, fattori dell?ospite, fattori virali e trattamento dell?infezione da virus HIV ( virus dell?immunodeficienza umana ) nei pazienti con co-infezione HIV-HCV ( virus dell?epatite C ).

La steatosi ? stata valutata tra 395 pazienti coinfettati HIV-HCV che sono stati arruolati nello studio ANRS HCO2-Ribavic e per i quali erano disponibili i dati istologici.

La steatosi ? stata classificata nel seguente modo: 0; 1 ( epatociti contenenti grasso: < 30% ); 2 ( epatociti contenenti grasso: 20-70% ); 3 ( Epatociti contenenti grasso: > 70% ).

La steatosi era presente nel 61% ( n = 241 ) dei pazienti, dei quali il 38% ( n = 149 ) con grado 1, il 16% ( n = 64 ) con grado 2, e il 7% ( n = 28 ) con grado 3.

All?analisi multivariata, 5 fattori di rischio indipendenti erano associati alla steatosi: genotipo 3 di HCV ( odds ratio, OR = 3.02; p < 0.0001 ), punteggio medio METAVIR per la fibrosi ( OR = 1.43; p = 0.0053 ), l?indice di massa corporea ( BMI ) ( OR = 1.13; p = 0.0013 ), carico virale HCV ( OR = 1.65; p = 0.0012 ) e ferritina ( OR = 1.13; p < 0.0003 ).
Nei pazienti con genotipo 3 di HCV, i fattori indipendenti associati alla steatosi sono stati l?indice di massa corporea ed il carico virale di HCV, mentre nei pazienti con infezione da genotipo 1 di HCV erano: il punteggio medio di METAVIR per la fibrosi, l?indice di massa corporea e la ferritina.

I dati dello studio hanno dimostrato che la steatosi ? particolarmente frequente nei pazienti co-infettati con HIV-HCV.

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L?obesit? addominale ? un marker di resistenza all?insulina e di disturbi metabo

Uno studio ha valutato se la massa grassa viscerale ( obesit? addominale ) rappresentasse la pi? significativa variabile correlata alla resistenza all?insulina e ad altri parametri metabolici nelle donne con sindrome dell?ovaio policistico.

Allo studio hanno preso parte 40 donne con sindrome dell?ovaio policistico e ciclo anovulatorio.

E? stata osservata una forte correlazione lineare tra massa grassa viscerale e resistenza all?insulina ( p < 0.001 ).
Correlazioni statisticamente significative sono state anche trovate con insulina a digiuno ( p < 0.001 ), funzione delle cellule beta ( p = .007 ), livelli di trigliceridi ( p = 0.003 ), livelli di colesterolo HDL ( p = 0.007 ), livelli di urato ( p = 0.002 ), la globulina legante l?ormone sessuale ( SHBG; p = 0.01 ) e l?ormone luteinizzante ( LH; p = 0.02 ). Non sono emerse significative correlazioni tra testosterone e distribuzione della massa grassa o parametri metabolici. La resistenza all?insulina ha mostrato una pi? stretta correlazione con la massa grassa viscerale ( p < 0.001 ) ed anche con la circonferenza giro-vita ( p < 0.001 ). Lo studio ha mostrato che la massa grassa viscerale ? la variabile pi? significativa correlata alla disfunzione metabolica nelle donne con policistosi ovarica. I dati supportano l?ipotesi che il grasso addominale causa resistenza all?insulina, o ne rappresenta una manifestazione precoce. La riduzione della massa grassa addominale dovrebbe ridurre la resistenza all?insulina.
L?esercizio fisico e la perdita di peso sembrano essere pi? efficaci rispetto alle terapie farmacologiche.

La migliore misura antropometrica della resistenza all?insulina ? la circonferenza giro-vita.

Lord J et al, BJOG 2006; 113: 1203-1209

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Possibile associazione tra decadimento cognitivo e malattia celiaca

Ricercatori della Mayo Clinic a Rochester negli Stati Uniti hanno studiato i pazienti che erano affetti da malattia celiaca e che hanno sviluppato deterioramento cognitivo.

Sono stati arruolati pazienti con insorgenza di declino cognitivo entro 2 anni da un esordio sintomatico o da una grave esacerbazione di malattia celiaca, nel periodo 1970-2005.

Hanno preso parte allo studio 13 pazienti, di cui 5 donne.

L?et? mediana di insorgenza del decadimento cognitivo era di 64 anni ( range: 45-79 ), che, in 5 pazienti, ? coincisa con l?esordio di sintomi o l?esacerbazione di diarrea, steatorrea e crampi addominali.

Elementi di presentazione del decadimento cognitivo sono stati : amnesia, acalculia, confusione e cambiamenti della personalit?.

Il punteggio iniziale del Short Test of Mental Status ? stato di 28 su un totale di 38 ( range: 18-34 ), denotando un decadimento moderato.

I risultati dei test neuropsicologici hanno mostrato un trend verso un pattern fronto-subcorticale dell?alterazione cognitiva.

Dieci pazienti hanno presentato atassia e 4 di loro hanno sofferto anche di neuropatia periferica.

La risonanza magnetica per immagini ( MRI ) della testa ha mostrato iperintensit? in T2 non- specifica e l?elettroencefalografia ( EEG ) ha mostrato diffusi rallentamenti non-specifici.

In 4 pazienti sono stati riscontrati deficit di folato, vitamina B12, vitamina E, oppure un deficit combinato.
Tuttavia, la supplementazione non ha migliorato i sintomi neurologici.

Tre pazienti sono andati incontro ad un miglioramento cognitivo o a una stabilizzazione dopo sospensione del glutine.

L?analisi istologica ha evidenziato gliosi non-specifica.

Secondo gli Autori sembra esistere una possibile associazione tra deterioramento cognitivo progressivo e celiachia.

Hu WT et al, Arch Neurol 2006; 63: 1440-1446

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Osteonecrosi della mandibola associata ai bifosfonati

I bifosfonati sono farmaci comunemente impiegati nell?osteoporosi nella malattia di Paget e nell?ipercalcemia associata a certi tumori, come mieloma multiplo e metastasi ossee da tumore mammario o tumore prostatico.

I bifosfonati inibiscono il riassorbimento osseo inibendo l?attivit? degli osteoclasti, sebbene siano state riportate altre azioni come l?inibizione dell?angiogenesi.

Nel corso degli ultimi anni ? emerso che i bifosfonati sono associati ad un evento avverso denominato osteonecrosi della mandibola.

I pazienti con osteonecrosi della mandibola da bifosfonati presentano alcuni dei seguenti segni e sintomi:

– irregolare ulcerazione delle mucose con esposizione ossea a livello della mandibola o della mascella;

– dolore o gonfiore della mandibola interessata;

– infezione spesso accompagnata da purulenza.

Non ? noto il meccanismo mediante il quale i bifosfonati causino l?osteonecrosi della mandibola.

Il trattamento dell?osteonecrosi della mandibola associata ai bifosfonati ? problematico: case report non hanno documentato alcuna risposta o una risposta limitata agli interventi chirurgici, al trattamento con antibiotici o all?ossigeno iperbarico.

I comuni fattori di rischio associati allo sviluppo dell?osteonecrosi della mandibola da bifosfonati comprendono:

– storia di assunzione di bifosfonati, soprattutto bifosfonati per via endovenosa; l?impiego contemporaneo di steroidi sembra contribuire al rischio;

– precedente storia di tumore ( es. mieloma multiplo o malattia metastatica alle ossa ), osteoporosi, malattia di Paget o altre indicazioni per il trattamento dei bifosfonati;

– storia di procedura dentale traumatica. La maggioranza dei casi si presenta dopo estrazione dentaria, sebbene anche altre procedure dentali traumatiche possono essere associate alla necrosi della mandibola. Un case report ha descritto l?osteonecrosi della mandibola da bifosfonati presentarsi 6 mesi dopo la sostituzione di 5 impianti dentali, con la conseguente perdita di tutti gli impianti;

– diverse segnalazioni hanno mostrato lo sviluppo spontaneo di osteonecrosi della mandibola da bifosfonati senza una precedente procedura dentale traumatica.

La maggioranza delle segnalazioni di osteonecrosi della mandibola ha riguardato pazienti che stavano assumendo bifosfonati per via endovenosa ( es. Zoledronato, Cometa; Pamidronato, Aredia ).
Tuttavia, in diverse pubblicazioni, anche i bifosfonati per os sono risultati associati allo sviluppo di osteonecrosi della mandibola.

Un FDA ODS Postmarketing Safety Review ha dichiarato che l?osteonecrosi della mandibola associata ai bifosfonati pu? essere un effetto di classe.

Le schede tecniche dei bifosfonati per os ( es. Alendronato, Fosamax; Risendronato, Actonel ) hanno riportato la possibile insorgenza di osteonecrosi della mandibola dopo impiego di questi farmaci.

Sembra prudente considerare che tutti i pazienti che assumono bifosfonati siano a rischio di osteonecrosi della mandibola, anche se la dimensione del rischio varia, probabilmente, in base al bifosfonato assunto, ai fattori di rischio del paziente ( impiego concomitante di farmaci, malattie, ecc ) e dalla storia di trattamento dentale.

Ad oggi ? noto che i pazienti pi? a rischio di osteonecrosi della mandibola sono quelli che assumono bifosfonati per via endovenosa ( Zoledronato, Cometa; Pamidronato, Aredia; Ibandronato, Boniva ).
Il Pamidronato e l?Ibandronato hanno anche formulazioni per os.

Fonte: American Association of Endodontists, 2006

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Nuovi trattamenti per il mal di schiena

Buone nuove dalla Central New Jersey per chi ? sofferente di lombosciatalgia causata da un disco erniato o “scivolato”: una nuova tecnologia non chirurgica sviluppata da un chirurgo canadese elimina la lombosciatalgia correggendo il problema all?origine.

Questo nuovo trattamento avrebbe una percentuale dell?86% di successo, molto superiore alle usuali percentuali che si hanno con gli interventi chirurgici, ed a prezzi molto contenuti. Ma cosa pi? importante, non richiede la somministrazione di farmaci o anestesia.

E? una procedura completamente indolore, infatti, molti pazienti dichiarano la scomparsa del dolore in ogni sessione di trattamento e di frequente si sentono cos? rilassati da addormentarsi durante i 20-minuti di sessione.

Il trattamento viene chiamato terapia di decompressione spinale: la Triton DTS terapia, rappresenta il sistema di decompressione spinale migliore attualmente disponibile con 25 anni di esperienza utilizzato in combinazione con un rivoluzionario sistema di applicazione disegnato per essere montato con rapidit?, per il massimo comfort del paziente. Questo sistema DTS, a differenza di altre tavole o macchinari di decompressione, d? la possibilit? di decomprimere sia i dischi erniati lombari che cervicali, in modo controllato e sperimentato, ponendo il paziente in posizione supina a faccia su o in gi?, posizioni di solito limitate in passato nel caso di altre macchine.

Questo sistema che fornisce un?energia precisa, consente di monitorare continuamente i progressi e di fare aggiustamenti al carico in base al controllo della muscolatura o al rilassamento del paziente. Ad ogni tirata di decompressione, la tavola di frizione libera supera le forze gravitazionali (come nel caso di astronauti nello spazio), e ritorna ad una posizione neutrale mediante un dispositivo di ritorno.

DTS prevede possibilt? di attacchi alla schiena ed al collo. La stimolazione galvanica della muscolatura ? usata dopo una prima sessione soft che serve a migliorare la circolazione locale verso il tessuto ed a rilassare i muscoli.

Durante la fase di riabilitazione viene anche usato lo Stabilizer Biofeedback per assicurare che i pazienti recuperano il controllo dei loro principali muscoli stabilizzanti nel fondo schiena.

Il trattamento DTS non solo fornisce un temporaneo sollievo dal dolore, ma pu? in molti casi risolverlo in modo permanente, perch? corregge il problema di un disco erniato o “scivolato”.

Il DTS consente al disco di ritornare a posto smettendo di pizzicare o irritare i nervi sensibili che circondano la spina dorsale.

Il modo di lavorare ? semplice. Applicando una forza moderata con angolatura determinata, mediante l?uso di una macchina specialmente disegnata ed un computer, il DTS esercita una trazione e decomprime le vertebre della spina dorsale in modo che il disco spostato ritorna nella sua normale posizione.

Dopo trattamenti ripetuti, il disco pu? guarire e cos? il dolore scompare. Il DTS utilizza un processo a tre fasi che rafforza e stabilizza la spina ed i muscoli lombari, riducendo la probabilit? che il problema si ripresenti.

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L?importanza di una buona postura

Va da s? che mantenerci in una posizione eretta, petto in fuori, spalle indietro e testa alta ci migliora l?aspetto, per? una buona postura non serve solo a questo, ma svolge un ruolo chiave nella salute della spina dorsale, aiutando per esempio a prevenire il mal di schiena ed anche a guarire in modo appropriato eventuali problemi fisici. Tutti i pazienti con patologie spinali dovrebbero fare attenzione alle posizioni assunte dal corpo cercando di mantenere nel corso della giornata una buona postura.
Il chiroterapeuta pu? aiutarci ad adottare la postura migliore, ed a migliorare di conseguenza la nostra salute.

Problemi causati da una cattiva postura
Una cattiva postura ? la norma nella nostra societ?: abitudini apprese da bambini sul banco di scuola e poi mantenute da adulti in ufficio che poi possono portare ad una serie di problemi pi? complessi: indebolimento dei muscoli della schiena, stiratura dei muscoli flessori e dell?anca e quelli posteriori della coscia , e spasmi dei muscoli superiori della spalla e del collo.

Questo stato di cose ? ulteriormente aggravato dall?ambiente moderno in cui viviamo: schermi TV e computer ci hanno abituato a tenere il capo inclinato in avanti e inoltre la tastiera del computer ed il mouse ci obbligano a tenere le spalle in una curvatura innaturale.

Possibili segni di sofferenza di mal di schiena dovuti alla postura includono:

? dolore dorsale che peggiora in certi momenti della giornata o della settimana.

? dolore che si irradia dal collo verso la parte superiore della schiena.

? dolore che svanisce passando dalla posizione seduta a quella eretta.

? dolore di schiena che viene e va per mesi.

? dolore comparso in occasione di un nuovo lavoro, nuova poltrona in ufficio, o nuova automobile.

E? facile non pensare alla postura, quando siamo in viaggio, al telefono, o svolgiamo le varie attivit? quotidiane ma questi momenti sono altrettanto importanti per fare attenzione alla postura e capire quando certe posizioni coincidono con episodi di mal di schiena.

Mentre stiamo in piedi e camminiamo tra le altre cose ? importante mantenere il capo diritto e non troppo inclinato in avanti, i piedi ben distanziati distribuendo il peso sulle punta delle dita, evitando di congiungere le ginocchia.

L?atto di sedersi richiede un incredibile quantit? di sforzo muscolare per mantenere il corpo eretto e data la quantit? di tempo che si passa seduti, una buona postura di seduta ? di vitale importanza.

Un errore molto comune ? la posizione ricurva sulla sedia dell?ufficio, una postura adottata da molti utilizzatori di computers, mentre siedono di fronte alla scrivania inclinati in avanti verso lo schermo del computer.

La posizione corretta ? quella di sedersi indietro sulla sedia utilizzando lo schienale. Se la schiena fa un angolo sbagliato, mentre si solleva qualcosa, piegarsi sulle ginocchia non servir? a proteggersi: un sollevamento o un trasporto improprio, specialmente mentre ci si gira pu? causare dei danni ai muscoli, alle giunture ed ai dischi. Uno dei pi? importanti consigli ? di piegarsi sulle anche e spingere il torace in avanti: cos? facendo le ginocchia si piegheranno in modo naturale ed il peso sar? sopportato dalle anche, e non dal fondo schiena!

E? duro per la schiena mantenere la stessa posizione per oltre venti, trenta minuti alla volta: posizioni statiche prolungate possono lentamente impoverire l?elasticit? dei tessuti: il movimento, sia esso un cambio di posizione, uno stirarsi, o una breve passeggiata, pu? aiutare a ricuperare l?elasticit? tissutale necessaria a proteggere le giunture e a ridurre il malessere associato

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UDCA nella dispepsia dopo la colecistectomia

Non esiste attualmente un trattamento ben definito per questo tipo di condizione.
Gli approcci sin qui tentati, sia nei pazienti con stomaco operato che con stomaco integro, sono sostanzialmente riconducibili a tre diversi razionali:

– farmaci in grado di legare i sali biliari

– farmaci in grado di ridurre il tempo di contatto del refluito con la mucosa gastrica

– farmaci in grado di ridurre la gastrolesivit? del refluito duodenale

Per quanto riguarda il primo tipo di approccio, sono stati impiegati in pa Risultati parziali sono stati ottenuti con il secondo tipo di approccio, basato sull?impiego di farmaci procinetici che, accelerando lo svuotamento gastrico riducono il tempo di contatto tra la mucosa gastrica e il refluito biliare.

E? per? evidente che la necessit? di un trattamento medico assai prolungato nel tempo tende a limitare la possibilit? di impiego di questi farmaci.
Un approccio radicalmente diverso consiste invece nella modificazione della composizione del refluito duodenale.

Nell?ipotesi che gli acidi biliari rivestano un ruolo di primo piano nella gastrite da reflusso, una alterazione della proporzione dei diversi acidi biliari (riduzione di quelli a maggior potere detergente) pu? significare minore potenziale lesivo del materiale refluito.

Con la somministrazione orale dell?acido ursodesossicolico (UDCA) ?l?acido biliare pi? idrofilico (quindi meno detergente)- si ottiene una significativa riduzione della quota degli acidi biliari pi? lesivi per le membrane cellulari (in particolare chenodesossicolico e desossicolico).

Questo approccio ? stato inizialmente testato in pazienti con dispepsia biliare da reflusso alcalino post-gastroresezione (8): la somministrazione di UDCA al dosaggio giornaliero di 1000 mg si associava ad una riduzione significativa, rispetto a quanto osservato con placebo, della sintomatologia dispeptico-dolorosa.
Successivamente, ? stata testata l?efficacia dell?UDCA a dosaggio relativamente basso (300 mg/die) in pazienti non precedentemente sottoposti a gastroresezione (9, 10).

Oltre ad osservare una significativa modificazione nella composizione del pool degli acidi biliari, in senso meno detergente, veniva osservata una netta riduzione della sintomatologia dispeptica e un significativo miglioramento del quadro endoscopico.

L?UDCA pu? pertanto essere utilmente impiegato nei pazienti che, , lamentano una sintomatologia dispeptico-dolorosa associata a gastrite da reflusso biliare. La modificazione in senso idrofilico della composizione della bile refluita si associa ad un significativo miglioramento clinico ed endoscopico.

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