Ipotiroidismo primitivo. Qual ? il dosaggio ottimale di tiroxina?

Key word: ipotiroidismo, tiroxina, TSH

Nei soggetti affetti da ipotiroidismo primario la tiroxina rappresenta il trattamento standard ed ? ottimale un aggiustamento del suo dosaggio fino al raggiungimento di una concentrazione di TSH nel range normale di riferimento compreso tra 0,5 e 5.0 mU/ml. Che questa modalit? di gestione sia la migliore non ? mai stato dimostrato da trial clinici controllati e sull?argomento esistono a tutt?oggi solo delle evidenze aneddotiche. Resta il problema che nella pratica clinica, in molti soggetti trattati, ? facile riscontrare una persistenza di sintomi che non ? facile discriminare se correlati a comorbilit? o ad un dosaggio subottimale di tiroxina. Per questo motivo e non esistendo un consenso su quale debba essere il target di TSH per il trattamento con tiroxina molti esperti ritengono opportuno abbassare e considerare il limite superiore normale di TSH < 3.0 mU/ml. Partendo da questo contesto un gruppo di ricercatori australiani ha cercato di studiare il problema mediante un trial randomizzato cross-over in doppio cieco che ha coinvolto 56 soggetti affetti da ipotiroidismo primario, tutti in terapia con dosaggi consolidati di tiroxina e un livello di TSH compreso tra 0.1 e 4.8 mU/ml. L?obiettivo del lavoro era di dimostrare se mediante una titolazione del dosaggio per concentrazioni di TSH<2mU/ml ci fosse un miglioramento delle condizioni cliniche dei pazienti rispetto a quelle ottenute mantenendo un TSH intorno ai limiti superiori normali. L?intervento prevedeva che tutti i soggetti, dopo aver adeguato il dosaggio abituale rispetto al TSH ricevessero in ordine casuale tre dosaggi di tiroxina (basso, medio e alto con un incremento progressivo di 25μg) per otto settimane. I risultati ottenuti con i tre trattamenti hanno determinato rispettivamente una media dei TSH di 2.8? 0,4 / 1.0 ? 0.2 / 0.3 ? 0.1 mU/ml. Le misure di esito valutate con analogo visivo per il senso complessivo di benessere, che rappresentava l?end-point primario, i sintomi di ipotiroidismo, qualit? di vita, test cognitivi e preferenze di trattamento non hanno dimostrato differenze significative tra i vari gruppi. Questo conferma che piccoli cambiamenti nel dosaggio di tiroxina non producono modifiche sostanziali sui sintomi da ipotiroidismo e sul benessere dei soggetti trattati, nonostante le modifiche significative dei livelli di TSH sierico. Questa evidenza contrasta l?ipotesi iniziale che suggeriva un target per il trattamento dell?ipotiroidismo primario differente dagli usali range di laboratorio, accantonando l?idea che questi soggetti possano trarre un beneficio maggiore o avere migliori performance cognitive se la loro dose di tiroxina viene titolata per livelli di TSH prossimi al limite inferiore normale piuttosto che semplicemente nella norma.

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La terapia ormonale sostitutiva pu? aumentare il rischio di demenza nelle donne

La terapia ormonale non previene la demenza, anzi pu? aumentarne il rischio nelle donne in postmenopausa di et? superiore ai 65 anni.

A queste conclusioni ? giunto lo studio WHIMS ( Women’s Health Iniziative Memory Study ), il cui obiettivo ? stato quello di verificare se il trattamento sostitutivo ormonale potesse ridurre il rischio di demenza nelle donne di et? compresa tra i 65 ed i 79 anni.

Lo studio WHIMS fa parte del Women’s Health Initiative ( WHI ).

Sono state esaminate 7.479 donne, alcune trattate solamente con estrogeno ( Premarin ), altre con l’associazione estrogeno e progestinico ( Prempo ).

Rispetto al placebo le donne del gruppo solo-estrogeno ha presentato un rischio di compromissione cognitiva lieve pi? alto del 34% .

Le donne trattate con solo-estrogeno hanno presentato un rischio di probabile demenza o compromissione cognitiva lieve pi? alto del 38% rispetto al placebo.

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Terapia dell’osteoporosi

Nella cura della patologia osteoporotica, di recente ? stata posta sempre pi? attenzione alle modalit? di somministrazione della terapia, dal momento che quest’ultima dovr? essere presumibilmente, nella maggior parte dei casi, assunta per diversi anni. La somministrazione settimanale dei bifosfonati ha dimostrato una superiore convenienza d’uso rispetto a quella giornaliera. Un recente studio effettuato su 250 pazienti dimostra come la formulazione mensile di tali farmaci, che non presenta una documentata efficacia sui siti non-vertebrali e femorali, non viene preferita dalle pazienti rispetto a quella settimanale che presenta invece un documentato profilo di efficacia completa. Infatti la maggioranza delle 250 pazienti dello studio preferiva la formulazione settimanale con comprovata efficacia su vertebre ed anca (82% di preferenza, p<0.001).
Infatti bisogna ricordare come l’efficacia antifratturativa sia diversa tra i bifosfonati, che pur appartenendo alla stessa classe farmacologica, sono molecole differenti ed in modo differente agiscono sull’osso. Le differenze sono nella rapidit? d’azione, nella frequenza di comparsa di eventi avversi, nella capacit? di ridurre il rischio di frattura in pi? siti anatomici. Infatti, tra i bifosfonati di ultima generazione, l’Ibandronato non ha dimostrato di ridurre le fratture non vertebrali e femorali e per questo non ha ricevuto l’indicazione per la prevenzione delle fratture di femore dalle autorit? regolatorie, mentre Risedronato ed Alendronato hanno dimostrato di ridurre il rischio di tutte le fratture osteoporotiche (vertebrali, non-vertebrali e femorali).
Questo semplice, ma rigoroso studio mostra come la preferenza terapeutica dal punto di vista del paziente ? un argomento in s? piuttosto complesso e dipendente da numerosi parametri, tra i quali l’efficacia ? plausibilmente uno dei pi? importanti.

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Corte di Cassazione

Le attivit? di fisioterapia, fisiokinesiterapia e massoterapia integrano, gi? prima dell’entrata in vigore del D.M. 21 gennaio 1994, gli estremi delle prestazioni paramediche rese alla persona nell’esercizio delle arti sanitarie soggette a vigilanza e sono, pertanto, esenti dall’IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10,comma 1, n. 18, senza che, in contrario, spieghi influenza la circostanza che le prestazioni medesime siano fornite in assenza di prescrizione medica ovvero in mancanza, presso il contribuente, delle apparecchiature necessarie per le relative indagini.

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Consenso informato, questo sconosciuto

Il problema. Numerosi pazienti hanno una consapevolezza molto limitata delle implicazioni legali del firmare o non firmare i moduli di consenso informato prima di un intervento chirurgico, e tendono a non riconoscere questo strumento come pensato nel loro interesse. ? quanto emerge da uno studio pubblicato sul British Medical Journal.

Lo studio. I ricercatori del Department of Cancer Studies and Molecular Medicine dell?University of Leicester hanno sottoposto un questionario a 732 pazienti ricoverate nella struttura, nel reparto di Ostetricia e Ginecologia, e ivi sottoposte ad un intervento chirurgico. ? emerso che la consapevolezza delle implicazioni legali della firma del modulo di consenso informato ? molto scarsa (il 68 per cento ritiene che firmare sia un requisito legale, il 20 per cento delle pazienti ignora se pu? cambiare idea dopo la firma, il 16 per cento ritiene che firmare elimina qualsiasi diritto di risarcimento). Inoltre, circa la met? delle partecipanti allo studio (46 per cento) ritiene che la funzione del consenso informato sia ?proteggere gli ospedali? e il 68 per cento ritiene sia un mezzo usato dai medici per esercitare un ?controllo sui pazienti?.

Il commento. ?Sebbene non esista una diretta correlazione tra la consapevolezza dei propri diritti e la capacit? di esercitarli, una carenza di informazione tanto marcata sui limiti e lo scopo del consenso informato ? chiaramente un problema?, spiega Andrea Akkad, leader del team di ricercatori del Department of Cancer Studies and Molecular Medicine dell?University of Leicester. ?Le procedure di consenso informato attualmente in uso paiono inadeguate a veicolare l?espressione della libert? di scelta del paziente e il loro spessore medico ed etico ? molto discutibile?.

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Un Ddl per tutelare mamma e nascituro

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 14 luglio 2006, il disegno di legge, presentato dal Ministro della salute Livia Turco, per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato. Il provvedimento considera anche altri aspetti: diffondere il parto senza dolore, inserendo l’anestesia epidurale tra i Livelli essenziali di assistenza; attivare nell’ambito del servizio 118 il trasporto del neonato in emergenza; incrementare l’attivit? dei consultori e promuovere l’allattamento al seno; superare le disparit? territoriali e sociali per l’accesso ai servizi di tutela materno infantile, con attenzione particolare alla popolazione immigrata.
”Il provvedimento – ha spiegato il Ministro Turco – ? nato dalla convinzione che la promozione della salute materno-infantile sia un obiettivo prioritario da perseguire a livello nazionale per i riflessi positivi che produce sulla qualit? della vita delle donne e dei loro bambini e, di conseguenza, sulla salute della popolazione complessiva?. Il decreto, ha poi proseguito il Ministro, nasce dalla consapevolezza delle molte criticit? da affrontare per realizzare una piena tutela della salute materno-infantile, quali la diminuzione drastica della natalit? (nel 1960 i nati erano circa un milione, nel 2005 sono passati a 569 mila), l’aumento dell’et? media della donna per la nascita del primo figlio, il limitato livello di informazione e le differenze territoriali e sociali d’accesso ai servizi che non permettono alla donna di vivere con piena consapevolezza la gravidanza, il parto e il puerperio. Tuttavia si pu? osservare come si sia giunti a questa conclusione anche sulla spinta dei dati relativi al ricorso al cesareo in Italia, molto pi? frequente rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanit?, che in Regioni quali Campania e Basilicata sfiorava il 60 per cento dei casi.

Intesa con le Regioni

Il Ddl – informa una nota del Ministero – prevede una specifica intesa con le Regioni per la realizzazione in modo concertato delle finalit? in esso indicate e demanda al Cipe, su proposta del Ministro della salute e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, il compito di destinare le risorse necessarie al raggiungimento degli scopi. In particolare il disegno di legge, in coerenza con gli obiettivi fissati dal Progetto-obiettivo Materno Infantile e con il Piano sanitario nazionale 2006-2008, si propone di tutelare i diritti e la salute della gestante e del neonato promuovendo un’appropriata assistenza all’interno del percorso nascita da parte del Servizio Sanitario Nazionale, nell’ambito dei livelli essenziali d’assistenza, tramite l’integrazione dei servizi territoriali ed ospedalieri e la valorizzazione dei consultori. Per questo, il Ddl prevede diversi interventi, come quelli per promuovere la conoscenza delle modalit? di assistenza, delle pratiche socio-sanitarie e delle modalit? per il controllo del dolore nel travaglio-parto, comprese le tecniche che prevedono il ricorso ad anestesie locali avanzate e di tipo epidurale.

Agire sui fattori di rischio riconosciuti

Il provvedimento, infine, non si concentra esclusivamente sul momento del parto, ma punta a ridurre i fattori di rischio di malattia del nascituro, pre e post concezionali, attraverso appropriati interventi preventivi, nonch? a favorire il parto fisiologico e a promuovere l’appropriatezza degli interventi al fine di ridurre il ricorso al parto cesareo. Altre priorit?: promuovere l’allattamento al seno, secondo le raccomandazioni dell’Oms e dell’Unicef, e contrastare le disparit? territoriali e sociali d’accesso ai servizi per la tutela materno-infantile anche per la popolazione immigrata. Previste anche la dimissione precoce, protetta ed appropriata della partoriente e del neonato, nell’ambito dell’assistenza domiciliare integrata, e l’organizzazione dell’offerta sul territorio attraverso le Unit? territoriali di assistenza primaria e i centri regionali di assistenza al bambino.

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Terapia Anticoagulante Orale e Fibrillazione Atriale. Perch? gli eventi avversi

La psicologia delle decisioni ha dimostrato l’esistenza di una serie di strategie sistematiche (euristiche) che le persone utilizzano inconsapevolmente per risolvere problemi che si presentano in condizioni di incertezza. In campo medico tali strategie possono produrre in determinate circostanze delle decisioni sub-ottimali o indurre a errori sistematici di valutazione (bias). I medici, per fornire una stima riguardo al possibile accadimento di eventi futuri ai loro pazienti, spesso utilizzano la loro esperienza passata relativa a quegli eventi applicando una strategia basata sull?euristica della disponibilit?. Pertanto gli eventi che si sono verificati pi? spesso nella vita professionale di un medico o che lo hanno impressionato maggiormente saranno giudicati come pi? probabili anche se in realt? non lo sono.
Un?elegante studio apparso sul British Medical Journal ha dimostrato il ruolo che questi elementi di inferenza hanno nei processi decisionali medici analizzando gli effetti che eventi avversi associati a terapia anti-coagulante orale (TAO) determinano nelle modalit? di prescrizione a soggetti con fibrillazione atriale (FA). Nell?analisi sono stati discriminati gli episodi emorragici dovuti a sovra-esposizione terapeutica dagli episodi di stroke tromboembolico dovuti a sotto-esposizione a TAO e quindi sono stati confrontati i risultati delle quote di prescrizione di TAO relative ai 90 giorni precedenti e successivi all?evento avverso.
Dei 116.200 soggetti con FA non transitoria identificati in un periodo di otto anni ? stata selezionata una coorte di 3921 (3.4%) pazienti rivisti ed ospedalizzati per emorragie gastrointestinali (3478) o intracraniche (443) occorse durante TAO. Lo studio dei medici che hanno avuto pazienti con eventi avversi emorragici e che hanno trattato altri pazienti con FA 90 giorni prima e dopo l?evento avverso (esposizione), ha evidenziato una probabilit? di riduzione della quota di anticoagulante prescritto dopo esposizione del 21% (OR=0.79 IC 95% 0.62-1.00), senza ulteriori modifiche correlate al coinvolgendo del cardiologo o considerando altre variabili. Inoltre l?aumento del tempo intercorso tra l?esposizione all?episodio emorragico e il trattamento di un nuovo paziente condizionava l?atteggiamento prescrittivo del medico con una probabilit? di riduzione della TAO del 40% in soggetti trattati dopo un periodo di 6-9 mesi dall?esposizione.
L?analisi della coorte degli 8720 soggetti con stroke ischemico da insufficiente dosaggio della TAO ha permesso di identificare 704 medici che hanno trattato pazienti sia prima che dopo i 90 giorni dall?esposizione all?evento. Il confronto delle caratteristiche dei pazienti trattati prima e dopo l?evento ha mostrato, dopo l?esposizione, una riduzione dell?attitudine del medico a trattare con TAO i soggetti cardiopatici (p=0.04) ed epatopatici (p=0.02). Quasi tutti i soggetti, secondo i criteri dell?American College of Chest Physicians, erano ad alto rischio per stroke associato a FA prima e dopo l?evento (92.2% e 92.5%), ma avevano comunque una probabilit? analoga di ricevere la TAO (OR= 0.96 – IC95% 0.77 ? 1.19).
Questo ? il primo studio che valuta l?impatto di eventi avversi drammatici sulle modalit? di cura dei pazienti con FA sottoposti a TAO e frequentemente sottodosata. Il fatto che i medici sovrastimino i rischi della TAO ? una delle motivazioni comunemente addotte per giustificare questo comportamento che pu? essere influenzato da una maggiore esperienza terapeutica del medico.
I risultati dimostrano come i medici siano meno propensi a prescrivere TAO se uno dei loro pazienti ha avuto un evento emorragico maggiore correlabile alla terapia e come nella memoria del medico un evento ischemico sia meno ?importante? rispetto a quello emorragico nell?influenzare le modalit? d?uso successivo in altri pazienti.
In conclusione, nella percezione della valutazione del rischio emorragico e tromboembolico e della corretta strategia terapeutica nei pazienti con FA va posta attenzione al ruolo dei meccanismi mnesici caratteristici dell?euristica della disponibilit?, dove le informazioni che vengono recuperate dalla memoria non sono quelle con il potere informativo maggiore, ma sono spesso quelle pi? vivide e con i connotati emotivi pi? forti e non necessariamente pi? importanti per prendere una corretta decisione che deve comunque e sempre coniugarsi con il principio di non maleficenza del ?primum non nocere?.

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Obesit? & Sovrappeso: Acomplia approvato nell?Unione Europea

Sanofi-Aventis ha comunicato che la Commissone Europea ha concesso l?autorizzazione alla commercializzazione di Acomplia ( Rimonabant 20mg/die ) in tutti e 25 gli Stati membri.

Acomplia ? il capostipite di una classe di farmaci chiamati bloccanti CB1.

Acomplia ? indicato in aggiunta alla dieta e all?esercizio fisico nel trattamento dei pazienti obesi ( indice di massa corporea, BMI maggiore o uguale a 30kg/m2 ) o nei pazienti in sovrappeso ( BMI > 27kg/m2 ) con associati fattori di rischio, come diabete di tipo 2 e dislipidemia.

L?approvazione ? stata ottenuta grazie ai risultati del RIO Clinical Trial Programme, che ha coinvolto pi? di 6.600 pazienti nel mondo, 4.500 dei quali sono stati studiati fino a 2 anni.

I risultati del programma RIO hanno dimostrato che Acomplia 20mg una volta al giorno ha ridotto in modo significativo il peso corporeo e la circonferenza-vita, l?emoglobina glicosilata ( HbA1c ) ed il livello di trigliceridi, ed ha aumentato i livelli di colesterolo HDL.

Acomplia 20mg migliora diversi fattori di rischio cardiometabolici nei pazienti obesi ed in quelli in sovrappeso.
A trarre maggior beneficio saranno i pazienti con obesit? addominale affetti da diabete e con dislipidemia.

Il Rimonabant agisce bloccando in modo selettivo i recettori CB1 che si trovano nel cervello e negli organi periferici, tra cui il tessuto adiposo, il fegato, il tratto gastrointestinale e nell?apparato muscolare.
Il blocco del recettore CB1 ad opera del Rimonabant riduce l?iperattivit? del sistema degli endocannabinoidi.

La sicurezza di Acomplia 20mg ? stata valutata su 6.300 pazienti.
Negli studi controllati con placebo, la percentuale di sospensione della terapia dovuta a reazioni avverse ? stata del 15.7% per i pazienti trattati con Rimonabant.
I pi? comuni eventi avversi che hanno comportato l?interruzione della terapia sono stati: nausea, alterazioni dell?umore con disturbi depressivi, ansia e capogiri.

Acomplia non dovrebbe essere somministrato nei pazienti con disturbi epatici o renali, o nei pazienti con gravi malattie psichiatriche non controllate, come la depressione maggiore.

Fonte: Sanofi-Aventis, 2006

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L?assunzione abbondante di caff? ha un effetto protettivo nei confronti della ci

Diversi report indicano che l?assunzione di caff? ? associata ad un pi? basso rischio di cirrosi.

Ricercatori del Kaiser Permanente Medical Care Program ad Oakland, negli USA, hanno studiato 125.580 membri multietnici dell?HMO ( Health Maintenance Organization ), che nel periodo 1978-1985 non presentavano malattia epatica.

Nel 2001, a 330 soggetti di questa coorte ? stata diagnosticata cirrosi epatica.

Il rischio relativo ( RR ) di cirrosi alcolica ( 199 soggetti ) per l?assunzione di caff?/die ( versus nessuna assunzione ) ? stato di 0.7 per meno di una tazza di caff?; 0.6 per 1-3 tazze ( p < 0.001 ) e 0.2 per 4 o pi? tazze ( p < 0.001 ). Per 131 soggetti con cirrosi non-alcolica, il rischio relativo ? stato 1.2 per meno di una tazza di caff?; 1.3 per 1-3 tazze e 0.7 per 4 o pi? tazze. L?assunzione di t? non ? risultata associata n? a cirrosi alcolica n? a cirrosi non-alcolica. All?analisi cross-sezionale, l?assunzione di caff? ? stata associata a pi? bassa prevalenza di alti livelli di aspartato-aminotransferasi e di alanina-aminotransferasi. I dati dello studio fanno ipotizzare l?esistenza di una sostanza contenuta nel caff? che protegge contro la cirrosi, soprattutto la cirrosi alcolica. Klatsky AL et al, Arch Intern Med 2006; 166: 1190-1195

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Il caff? riduce l?incidenza di cirrosi alcolica

Il caff? pu? aiutare a proteggere il fegato dei forti bevitori di alcol.

Uno studio di coorte di soggetti appartenenti al Kaiser Permanente, un HMO ( Health Maintenance Organization ), ha mostrato che coloro che assumono da 1 a 3 tazze di caff? al giorno presentavano una riduzione del 40% dei rischi di cirrosi alcolica rispetto a coloro che assumevano meno di una tazza ( p < 0.001 ). Questo effetto protettivo sembra essere dose-dipendente.
Le persone che bevono 4 tazze di caff? o pi? hanno una riduzione dell?80% nel rischio relativo di cirrosi alcolica ( p < 0.001 ). Nel sottogruppo dei pazienti con cirrosi non-alcolica, il caff? ha mostrato una debole relazione inversa con la cirrosi. L?assunzione di t? non ?, invece, risultata correlata al rischio di cirrosi alcolica o non-alcolica. Lo studio ha analizzato i dati di 129.580 iscritti al Kaiser Permanente che hanno risposto ad un questionario tra il 1978 ed il 1985. Nel 2001, 330 soggetti hanno sviluppato cirrosi alcolica e a 131 cirrosi non-alcolica. Il 65% dei pazienti con cirrosi alcolica ed il 54% dei pazienti con cirrosi non-alcolica erano uomini, ed in entrambi i gruppi circa la met? dei pazienti avevano 50 anni di et? o meno. Il rischio di cirrosi, sia alcolica che non-alcolica, ? aumentato con l?et?, il sesso maschile e l?obesit?. Fonte: Archives of Internal Medicine, 2006

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