Leiomioma: efficace embolizzazione arteria uterina

L’embolizzazione dell’arteria uterina garantisce un controllo sicuro e duraturo dei leiomiomi. Il presente studio costituisce la prima ampia indagine a determinare gli esiti a lungo termine dell’embolizzazione uterina, e questi risultati sono eccellenti, con una piccola percentuale di pazienti con recidiva di formazioni fibroidi e nessun effetto negativo a lungo termine rilevabile. I risultati dopo cinque anni sono chiaramente della stessa portata di quelli della miomectomia, che ? l’altra principale terapia conservativa in uso oggi. Dato che l’embolizzazione uterina presenta una ripresa pi? semplice della miomectomia, essa rappresenta un’opzione terapeutica pi? accattivante per le donne con formazioni fibroidi sintomatiche che vorrebbero comunque mantenere il proprio utero. L’obiettivo per le ricerche future consiste nell’esplorazione del ruolo di vari fattori di crescita correlati all’angiogenesi, per i quali ? nota l’associazione con i fibroidi allo scopo di determinare il modo in cui essi potrebbero modulare le recidive. Sono anche oggetto d’indagine vari materiali embolizzanti per determinare quale di essi potrebbe garantire il maggior controllo della formazione fibroide.

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Nuovo test ematico rileva steatoepatite non alcolica

La misurazione dei livelli plasmatici di frammenti di citocheratina-18 (CK-18) rappresenta un metodo non invasivo per differenziare la steatoepatite non alcolica (NASH) dalla semplice steatosi o dal tessuto normale. La NASH ? caratterizzata da apoptosi epatocitaria, e negli stadi tardivi della malattia, le caspasi attivate clivano il CK-18, la principale proteina filamentosa intermedia del fegato. Nella NASH, una diagnosi accurata ? importante, dato che circa un quarto dei pazienti che ne sono affetti progrediscono verso la cirrosi, l’insufficienza epatica o il carcinoma epatocellulare. Comunque, fino ad oggi, l’esame istologico di una biopsia epatica ? stato l’unico mezzo di diagnosticare una NASH e valutare la sua gravit?. Questo nuovo test non invasivo potrebbe aiutare i medici nella selezione dei pazienti per la biopsia epatica, e permetterebbe anche la valutazione non invasiva della progressione della malattia e della risposta alla terapia.

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Nei giovani inutile controllo glicemico continuo

L’uso dell’adattamento continuo della terapia insulinica guidato dal monitoraggio non risulta pi? efficace del monitoraggio intermittente tramite puntura digitale nell’ottenimento del controllo glicemico in bambini con diabete di tipo 1. Il monitoraggio continuo della glicemia pu? essere uno strumento clinico utile, ma in alcune popolazioni si possono ottenere gli stessi miglioramenti del controllo glicemico con punture digitali frequenti ed un aumento delle revisioni. Sono dunque necessari altri studi per identificare i sottogruppi di pazienti che beneficeranno maggiormente da questa tecnologia. I vantaggi sono infatti limitati nei gruppi con regimi insulinici semi-fisiologici: target specifici possono invece essere rappresentati dai soggetti con HbA1C persistentemente elevata o con frequenti episodi di ipoglicemia. La stessa pratica clinica dovr? adattarsi man mano che diverranno disponibili letture in tempo reale.

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Mangiare pesce protegge il cuore

L’assunzione di tonno o di altri tipi di pesce bollito o arrosto ha effetti benefici sull’elettrofisiologia cardiaca che potrebbero prevenire aritmie potenzialmente letali. Precedenti studi avevano connesso l’assunzione di pesce ad una riduzione del rischio di morte improvvisa, decesso di origine coronarica e fibrillazione atriale, ma i meccanismi responsabili di questa associazione erano sconosciuti, bench? studi su animali avessero suggerito un effetto elettrofisiologico cardiaco diretto per l’assunzione di olio di pesce. In precedenza era anche stato notato che l’assunzione di pesce fritto non ? associata ai livelli ematici di acidi grassi n-3: ci? suggerisce la possibilit? che gli acidi grassi n-3 nel tonno ed in altri tipi di pesce bollito o arrosto abbiano un impatto positivo sui parametri elettrici del cuore.

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Dieta ricca in carboidrati ma con basso indice glicemico riduce rischio cardiova

Una dieta ricca in carboidrati con un basso indice glicemico ? la migliore per la riduzione del rischio cardiovascolare: ? forse il momento di incorporare i concetti di indice glicemico e carico glicemico nella pratica clinica per la riduzione del rischio cardiovascolare. Nonostante la popolarit? delle diete a basso indice glicemico e ricche in proteine, non vi sono stati finora studi randomizzati che abbiano paragonato sistematicamente i loro effetti relativi sulla perdita di peso e sul rischio cardiovascolare. Un elevato carico glicemico potrebbe aumentare la difficolt? del controllo del peso perch? i carboidrati rapidamente digeribili possono causare marcate fluttuazioni nei livelli ematici di glucosio ed insulina, il che a sua volta stimola la fame ed inibisce l’ossidazione dei grassi. Sia le diete a basso indice glicemico che quelle ricche in proteine hanno catturato l’attenzione del pubblico, ma i medici rimangono scettici, in mancanza di basi scientifiche solide. In base ai risultati del presente studio, almeno a breve termine, ? il carico glicemico, e non soltanto l’apporto energetico complessivo, ad influenzare la perdita di peso e la glicemia postprandiale: moderate riduzioni nel carico glicemico aumentano il tasso di smaltimento dei grassi, in particolare nelle donne. Sono in aumento i dati secondo cui la glicemia postprandiale ? un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, che possono essere controllate tramite mezzi sia farmacologici che dietetici che ritardino l’assorbimento gastrointestinale dei carboidrati

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Rinite purulenta acuta: antibiotici spesso inutili

Gli antibiotici possono essere utili per la rinite purulenta acuta, ma possono anche risultare dannosi: molti pazienti peraltro migliorano anche senza antibiotici, e pertanto ? opportuno inizialmente non somministrarne. La maggior parte delle linee guida raccomandano di non usare antibiotici per questa patologia, ma un recente studio aveva indicato che l’uso di alcuni antibiotici potrebbe ridurre la durata della malattia, anche se non porterebbe a miglioramenti significativi nei sintomi. L’abuso di antibiotici, comunque, ? motivo di preoccupazione a causa della possibilit? della comparsa di resistenze.

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Diabete precoce connesso a nefropatia terminale e mortalit? precoce

Rispetto a coloro che lo sviluppano successivamente, i soggetti che sono diabetici dall’et? di 20 anni o prima ancora hanno maggiori probabilit? di sviluppare nefropatie terminali e di morire in un’et? compresa fra 25 e 55 anni. Dato che il diabete ad insorgenza giovanile porta ad un aumento sostanziale del tasso di complicazioni e mortalit? nella mezza et?, ? necessario impegnarsi nel prevenire o ritardare l’insorgenza del diabete, ritardando pertanto anche l’insorgenza della nefropatia diabetica. Attualmente, l’aumento dell’obesit? infantile in molte parti del mondo sta portando all’aumento della prevalenza del diabete di tipo 2. bench? solo il tre percento dei casi di diabete di tipo 2 insorgano entro i 20 anni, il diabete ad insorgenza giovanile ? connesso a complicazioni microvascolari nella prima et? adulta. Il diabete giovanile inoltre ? dannoso per i reni quanto quello dell’anziano. Nei bambini ad alto rischio di diabete, per?, i programmi dimagranti basati su dieta ed esercizio possono ridurre il tasso di sviluppo del diabete del 58 percento.

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Coinfezione Hiv-Hcv e steatosi

Nei pazienti con coinfezione Hiv-Hcv, la steatosi epatica ? prevalente ed ? associata all’uso di analoghi nucleosidici, infezione con Hcv di genotipo 3 e fibrosi. L’associazione con i farmaci indicati ? biologicamente sensata, in quanto ? noto che questi agenti abbiano una grande affinit? per la DNA-polimerasi gamma mitocondriale, ed attraverso questa via possano indurre tossicit? mitocondrale, che pu? manifestarsi in forma di steatosi microvescicolare. I dati del presente studio implicano che i pazienti con coinfezione Hiv-Hcv debbano essere presi in considerazione per la terapia dell’epatite C, in particolare se sono portatori di virus con genotipo 3, in quanto questo agente risponde bene al trattamento. Il sospetto di steatosi epatica dovrebbe essere un’ulteriore indicazione per l’ottenimento di un campione bioptico del fegato nei pazienti che iniziano regimi antiretrovirali contenenti NRTI. Il presente studio ha rafforzato la connessione fra uso di NRTI e steatosi. Nel trattamento clinico della coinfezione Hiv-Hcv, soprattutto in presenza di steatosi, le cosiddette -D-drugs- dovrebbero essere usate con cautela.

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Sintomi inspiegabili, messo a punto un protocollo d’intervento

La notizia. Pronto Soccorso affollati da pazienti con sintomi apparentemente inspiegabili che causano problemi gestionali, costi ingenti e frustrazione? Una realt? che forse in futuro potr? essere affrontata con efficienza grazie al protocollo d?intervento messo a punto dai ricercatori della Michigan State University, che hanno illustrato il loro metodo sul Journal of General Internal Medicine. ?La diagnosi di sintomi medici apparentemente inspiegabili ? un problema che riguarda milioni di pazienti in tutto il mondo e pesa su sistemi sanitari gi? sull?orlo del collasso?, spiega Robert Smith, professore di Medicina alla Michigan State University (MSU). Smith ed il suo team hanno messo a punto un protocollo d?intervento che comprende modifiche comportamentali e terapie farmacologiche, ma soprattutto robuste dosi di comunicazione tra medici e pazienti. Lo studio. E? emerso dallo studio effettuato dal team della Michigan State University che in media i pazienti che presentano sintomi inspiegabili ricorrono al Pronto Soccorso 13 volte l?anno lamentando di volta in volta emicranie, affaticamento, dolori muscolo-scheletrici, sintomi gastrointestinali. Oltre a suggerire di guardare alle radici profonde del dolore o dei disturbi dei pazienti, il protocollo MSU suggerisce la somministrazione di antidepressivi e di terapie comportamentali che incidono sul modo in cui i pazienti percepiscono il loro malessere. Testato su 100 pazienti di Pronto Soccorso, il protocollo ha permesso di ottenere un significativo miglioramento dei sintomi in circa la met? dei casi. ?Abbiamo semplicemente messo in pratica tutto quello che negli ultimi anni abbiamo imparato nel campo della Psichiatria e della terapia del dolore?, spiega Smith, ?e lo abbiamo adattato alle necessit? della Medicina d?emergenza. Ma al centro di tutto c?? la relazione medico-paziente. Viviamo e lavoriamo in un sistema basato sulle patologie, e i sintomi non immediatamente attribuibili a patologie precise sono una fonte di forte frustrazione per i medici e per i pazienti che si sentono non assistiti?.

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La Creatina e la Minociclina sembrano essere benefiche nel trattamento della mal

Uno studio condotto dai Ricercatori del NINDS NET-PD che ha coinvolto 200 pazienti con malattia di Parkinson ha mostrato che la Creatina e la Minociclina possono essere utili nei pazienti con Parkinson.
Tuttavia, non ? stato dimostrato che questi farmaci siano efficaci nella malattia di Parkinson.

Il National Institute of Neurogical Disorders and Stroke ( NINDS ), appartenente al National Institutes of Health ( NIH ), ha organizzato uno studio denominato NET-PD ( Neuroprotection Exploratory Trials in Parkinson Disease ) per valutare se alcune sostanze fossero in grado di rallentare il declino clinico della malattia di Parkinson.

I pazienti coinvolti nello studio erano in una fase preliminare della malattia e non necessitavano di farmaci per il controllo dei sintomi.

I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere Minociclina 200mg/die, Creatina 10g/die oppure placebo.
Il periodo osservazionale ( follow-up ) ? stato di 12 mesi.

E? stata esaminata la sicurezza e la tollerabilit? di questi farmaci.

Sebbene nessun farmaco abbia causato gravi effetti indesiderati, la Minociclina non ? risultata ben tollerata.

Sia la Creatina che la Minociclina sono apparse modificare le caratteristiche della malattia, anche se lo studio non aveva come finalit? quella di verificare l?efficacia delle due sostanze nel trattamento della malattia di Parkinson.
L?obiettivo prefissato era quello di verificare se ci fossero indicazioni all?uso della Creatina e della Minociclina in questa malattia neurologica.

Sulla base delle analisi degli studi pilota, la Creatina e la Minociclina sembrano avere un ruolo benefico nella malattia di Parkinson.

Fonte: National Institutes of Health, 2006

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