Creatina e minociclina nel Parkinson iniziale.

Le due note molecole potrebbero essere capaci di rallentare l’evoluzione della MdP. notizia n.800 del 19-Mag-2006

La valutazione di farmaci potenzialmente efficaci per il trattamento anti-parkinson richiede un considerevole impiego di tempo, risorse umane e denaro, per poi magari trovare che non ne valeva la pena. Questo riguarda soprattutto la cosiddetta Fase III di ricerca clinica, dove una molecola potenzialmente interessante deve dimostrare di avere vantaggi di efficacia e tollerabilit? rispetto alle terapie gi? disponibili. A questo scopo si fanno studi di confronto di lunga durata (alcuni anni) su un’ampia popolazione di pazienti (almeno parecchie centinaia), onde ottenere risultati statisticamente validi.

Sono stati quindi disegnati i cosiddetti “studi di futilit?” di Fase II, nei quali, prima di affrontare la lunga e costosa Fase III, i farmaci candidati vengono sottoposti ad una valutazione controllata a breve termine, per vedere se superano una “soglia di futilit?” pre-determinata, al di sotto della quale essi vengono considerati “futili” e quindi abbandonati.

Questo disegno ? stato utilizzato per due molecole gi? conosciute, la creatina (un aminoacido dell’organismo) e la minociclina (un antibiotico utile contro l’acne) che in base ad alcune segnalazioni sembravano ritardare l’evoluzione della MdP in fase precoce. Duecento pazienti, diagnosticati come parkinsoniani da meno di cinque anni, ma non ancora sottoposti a terapie specifiche, sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo riceveva 10 grammi/die di creatina, il secondo 200 mg/die di minociclina e il terzo placebo (sostanza inerte non distinguibile per aspetto dai farmaci veri). La soglia di futilit? era rappresentata da una riduzione del 30% dei punteggi della Scala di valutazione pi? usata (UPDRS) dopo 12 mesi o al tempo in cui i sintomi rendessero necessaria l’istituzione di una terapia specifica.

Sia la creatina che la minociclina hanno superato la prova e dovrebbero quindi essere presi in considerazione per studi di Fase

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L?omocisteina cala ma non aiuta il cervello

Nonostante la nebulosa di incertezze che ancora circondano le conoscenze sul morbo di Alzheimer e sulle demenze in generale, alcuni punti fermi sono stati tracciati. Anche se ancora non rappresentano una vera e propria strategia terapeutica risolutiva.

Uno degli aspetti della malattia che ha rapito l?attenzione degli esperti sono i livelli di certi nutrienti nel sangue dei pazienti. Sono molti gli studi che hanno segnalato che soggetti con Alzheimer, sospetto o accertato, presentano livelli di omocisteina pi? alti rispetto a coetanei sani. In altri lavori si dimostrava che c?erano maggiori probabilit? di sviluppare la malattia nell?arco di otto anni quando le concentrazioni superavano le 14 micromoli per litro, rispetto a chi aveva livelli inferiori. Anche nello studio di Framingham, isolato un campione di circa mille persone anziane, veniva riportato un rischio doppio di ammalarsi se le concentrazioni superavano il suddetto limite.

Ipotesi omocisteina

L?ipotesi della relazione tra omocisteina e demenza risale al 1998 quando in pazienti con diagnosi istologica di morbo di Alzheimer, vennero riscontrati livelli dell?amminoacido totale effettivamente pi? alti della norma. Anche le evidenze radiologiche di lesioni della materia bianca, di infarto cerebrale silente e di atrofia della corteccia cerebrale e dell?ippocampo erano positivamente associate a elevate concentrazioni di omocisteina nonch? a danni cognitivi.

In questo contesto si inserisce un altro elemento da valutare: esiste una correlazione inversa tra le concentrazioni dell?amminoacido e le concentrazioni di vitamina B12 e di folati. La concomitanza di queste circostanze rende difficile isolare i singoli effetti di ogni nutriente, ma ? anche vero che ? stato osservato che il deficit delle due vitamine porta al danno cognitivo. Tuttavia, tra i risultati dello studio di Framingham, emergeva anche la conclusione che la concentrazione sanguigna di omocisteina ? fattore di rischio forte e indipendente per demenza e morbo di Alzheimer.

Il cervello sano non migliora

La possibilit? di abbassare il livello di omocisteina con la supplementazione di folati, con o senza vitamine B, ? un?opportunit? reale e dimostrata. In pi? occasioni si ? pensato di intervenire in questo modo nella prevenzione di insorgenza della demenza. Ma per ora non ? stato possibile dimostrarlo in modo definitivo in quanto i risultati continuano a essere contraddittori. Per esempio, in due studi randomizzati, e contro placebo della durata di quattro mesi non sono stati registrati effetti benefici nei punteggi di valutazione della prestazione cognitiva di soggetti a elevato rischio di demenza o in comunit? residenziali di persone anziane. Sospettato di essere di troppo breve durata, ? stato allestito un altro lavoro, recentemente pubblicato da New England Journal of Medicine, durato due anni condotto sempre su persone di almeno 65 anni, sane ma con livelli di omocisteina al limite: 13 micromoli per litro. Il trattamento di supplementazione con folati e vitamina B12 confrontata contro placebo, abbassava, come atteso, i livelli della sostanza, ma non modificava i risultati dei test cognitivi che restavano pressoch? uguali tra i due gruppi. Lo studio non aveva la pretesa di chiarire se la riduzione dell?omocisteina riduce il rischio di demenza, esclude l?ipotesi che questa condizione migliori le capacit? cognitive nelle persone anziane sane. Resta da capire che succede se le persone hanno gi? segni di demenza o di sospetto morbo di Alzheimer.

Simona Zazzetta

Fonte

McMahon JA et al. A controlled trial of homocysteine lowering and cognitive performance.

N Engl J Med. 2006 Jun 29;354(26):2764-72

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Sindrome metabolica: statine stimolano sensibilit? all’insulina

Alcune statine migliorano significativamente la sensibilit? all’insulina in determinati pazienti con sindrome metabolica. Ampi studi hanno dimostrato che le statine possono ridurre l’incidenza del diabete di tipo 2, ma non era finora certo se la terapia statinica a breve termine possa influenzare la sensibilit? a breve termine alle statine nei pazienti con sindrome metabolica. Va comunque notato che alcuni dei soggetti nel presente studio non hanno risposto alla terapia: in particolare, ci? ? accaduto nei soggetti con un miglior profilo lipidico e parametri di base nel complesso pi? normali. Dunque sono i pazienti con una sindrome metabolica pi? pronunciata a poter beneficiare maggiormente della terapia statinica.

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Iperplasia prostatica benigna. Linee guida italiane

Un paziente maschio con pi? di 50 anni ha quasi una probabilit? su due di avere una iperplasia prostatica benigna (IPB). Questa patologia rispetto alla bassa mortalit? (0.3/100.000 abitanti) ha una prevalenza molto elevata di quasi il 40%. L’IPB identifica una diagnosi istologica che compendia una serie di problemi medici correlati all’ingrandimento della prostata e all’ostruzione delle vie urinarie. Questa condizione ? comunemente trattata in presenza di sintomi fastidiosi o di un rischio consistente di progressione della malattia. Le opzioni terapeutiche e chirurgiche oggi disponibili sono efficaci e producono un rilevante miglioramento della qualit? di vita dei pazienti. La condizione indispensabile che garantisce un buon trattamento ? rappresentata dalla stretta collaborazione del medico di medicina Generale (MMG) con il paziente. Questo anche in relazione al fatto che i soggetti con sintomi moderati o minimi normalmente dovrebbero essere curati dal medico di famiglia riservando l’invio allo specialista urologo solo per casi selezionati o complicati.
La recente pubblicazione nel Programma Nazionale Linee Guida (PNLG) dell’edizione ?short? delle linee guida IPB, redatte dall’Associazione Urologi Italiani (AURO), rappresenta un’opportunit? per i MMG che possono disporre di uno strumento decisionale di facile e rapida consultazione, che orienta nell’applicazione di semplici regole d’indirizzo basate sull’evidenza scientifica per un’efficace strategia diagnostico-terapeutica dell’IPB.
Diagnosi

  1. I sintomi delle basse vie urinarie (LUTS: Lower Urinary Tract Symptoms) sono di solito il segnale di una IPB [ III, IV ], quindi si dovrebbero informare gli uomini oltre i 50 anni sul loro significato e la possibilit? del loro trattamento A, tenendo presente che la IPB ? una malattia potenzialmente evolutiva [ I ] dove ? utile valutare PSA e volume prostatico A.
  2. La raccolta di una anamnesi accurata A ? fondamentale per valutare correttamente i sintomi e la qualit? di vita del paziente B.
  3. L’esplorazione rettale rappresenta il fulcro dell’esame obiettivo A.
  4. Volume prostatico e residuo post-minzionale sono parametri utili per la scelta terapeutica A.
  5. L’esame completo delle urine [ III ] ? l’esame di laboratorio pi? importante A, riservando la creatininemia [ III ] solo nei casi di sospetto interessamento delle alte vie A e il PSA [ III ] per una valutazione iniziale in soggetti con aspettativa di vita maggiore di 10 anni A.
  6. La diagnostica per immagini si avvale quasi esclusivamente dell’ ecografia sovrapubica A riservando solo nei casi di sospetto carcinoma prostatico l’ ecografia transrettale B. L’ecografia renale e l’urografia non sono considerati esami di routine, cos? come le indagini endoscopiche.
  7. Il diario minzionale e l’ uroflussometria [ III ] sono fondamentali per una valutazione iniziale B.

Terapia
Vigile attesa – riservata ai pazienti con sintomi minimi che non influenzano la qualit? di vita A.
Terapia medica ? in caso di sintomi che alterino la qualit? di vita ? possibile impiegare 4 gruppi di farmaci

  1. alfalitici: appropriati per LUTS e IPB. Migliorano i sintomi e la qualit? di vita, oltre che il flusso urinario. Effetti collaterali poco significativi A
  2. inibitori 5-α-reduttasi: appropriati per LUTS e IPB e documentato aumento del volume prostatico che determina peggioramento della qualit? di vita e aumentato rischio di ritenzione acuta di urina. Migliorano i sintomi e la qualit? di vita, oltre che il flusso urinario, riducono il volume prostatico. A
  3. terapie combinate: delle due classi precedenti nei pazienti LUTS/IPB ad alto rischio di progressione B
  4. fitoderivati e altri trattamenti: opzioni terapeutiche di dubbia provata efficacia C, E

Terapia Chirurgica ? in alternativa alla terapia medica con varie opzioni

  1. Resezione prostatica transuretrale (TURP): intervento di elezione in caso di ghiandola di volume non superiore a 40-50 ml, in complicanze correlate a IPB, in ostruzione cervico-uretrale e sintomatologia medio/severa. Migliora il punteggio sintomatologico del 70% e la qualit? di vita. Causa emorragie, sindrome da TUR, incontinenza urinaria, stenosi uretrali e disfunzioni sessuali A.
  2. Adenomectomia a cielo aperto: indicazioni simili alla TURP, cos? come l’efficacia e le complicanze (esclusa sindrome da TUR) A.
  3. Incisione cervico-prostatica transuretrale (TUIP): opzione per soggetti con ostruzione medio/severa che influenza la qualit? di vita e con volume prostatico di 20-30 ml. Efficacia simile alla TURP, minori complicanze, ma maggiori percentuali di reintervento A.
  4. Vaporizzazione prostatica transuretrale (TUVAP): risultati a breve termine simili alla TURP. Mancano studi comparativi a lungo termine. Non raccomandabile per il trattamento di LUTS/IPB D.
  5. Resezione/enucleazione prostatica con laser a olmio (HoLRP, HoLEP): da proporre a pazienti motivati ad un trattamento alternativo a quello chirurgico tradizionale. Al momento i risultati sono molto condizionati dall’esperienza dell’operatore, dalle patologie intercorrenti e dalle dimensioni della prostata B.

Terapie mini-invasive

  1. Laser (a contatto o interstiziale): proponibile a pazienti motivati C o ostruiti con importanti disturbi della coagulazione B. A breve termine i risultati sono simili alla TURP, con minori complicanze emorragiche, maggiori sintomi di riempimento e cateterizzazione. Percentuali di reintervento alte.
  2. Transurethral microwave themotherapy (TUMT): proponibile a chi vuole evitare la chirurgia e che non risponde o non tollera la terapia medica B. Controindicata nei pazienti con volume prostatico <30 ml E. Meno efficace della TURP e con una maggiore percentuale di reintervento
  3. Transurethral needle ablation (TUNA): proponibile in soggetti che vogliono evitare la chirurgia e non tollerano la terapia medica B. Se non ci sono complicanze, follow up ogni 6 mesi e quindi annualmente. Risultati soggettivi a breve termine simili alla TURP , ma a lungo termine meno efficace.
  4. Stent prostatici, trattamento con ultrasuoni focalizzati per via transuretrale (HIFU) e water induced thermitherapy (WIT): Queste metodiche sono in corso di valutazione. Rispettivamente la prima ? proponibile solo in pazienti ad alto rischio operatorio C, la seconda non ? proponibile per gli tassi alti di fallimento D, l’ultima ? senza dati che permettano di esprimere un giudizio definitivo e riservata a pazienti ad alto rischio operatorio C.

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Ipertensione: ruolo protettivo di dieta ricca in latticini a basso contenuto di

Il consumo regolare di latte, formaggio e yogurt a basso contenuto di grassi ? inversamente associato alla prevalenza dell’ipertensione. Tale pratica dietetica comunque dovrebbe essere in grado di diminuire la pressione sistolica, ma non quella diastolica. Precedenti studi in materia avevano portato a risultati incostanti. L’associazione osservata ? indipendente dall’apporto di calcio, ed ? stata osservata principalmente nei soggetti che consumano poche calorie da grassi saturi. I dati del presente studio supportano la raccomandazione del consumo di latticini a basso contenuto di grassi per diminuire la pressione. (Hypertension online 2006, pubblicato il 27/6)

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Gammopatia Monoclonale di Significato Incerto. Condizione da non sottovalutare e

Il referto casuale di un picco monoclonale nell’elettroforesi delle proteine di un paziente rappresenta un evento che pone il medico di fronte alla decisione di cosa fare e che peso attribuire al dato analitico. Il termine gammopatia monoclonale di incerto significato (MGUS) indica la presenza di una proteina monoclonale (M) nel siero di soggetti senza evidenti manifestazioni di mieloma multiplo (MM), malattia di Waldenstrom o amiloidosi primaria. Questa condizione, caratterizzata da un picco M< 3.0 g/dl e da un infiltrato midollare di plasmacellule < 10%, ? di riscontro frequente e occasionale, con prevalenza in soggetti asintomatici di et?≥ 50 anni. Di fronte a questa condizione che si manifesta nei pi? differenti contesti clinici ? cruciale il monitoraggio nel tempo per riconoscere i casi che rimangono stabili da quelli che evolvono verso una gammopatia sintomatica in cui ? necessario un trattamento chemioterapico.
Abbandonata la primitiva classificazione di gammopatia monoclonale ?benigna? (?idiopatica?, ?asintomatica?, ?criptogenetica? ), il corpo di conoscenze sull’ epidemiologia ed evoluzione della MGUS si ? strutturato intorno ai lavori di Robert Kyle della Mayo Clinic che, in uno studio osservazionale iniziato negli anni ’70, ha analizzato una serie di casi dimostrando come questa condizione non pu? essere considerata ?benigna? per la capacit? di evolvere, in una significativa percentuale di soggetti, verso una forma “maligna”. Questa tesi ha trovato conferma nello studio di follow up a 25 anni sui 241 soggetti originali della serie, nei quali la probabilit? di evoluzione aumenta progressivamente nel tempo, passando dal 17% a 10 anni al 39% a 25 anni, con una mediana di sopravvivenza di poco pi? bassa rispetto alla popolazione normale. Anche se non sono stati identificati indici predittivi di evoluzione il messaggio principale dello studio ? che il rischio di evoluzione maligna di una MGUS persiste anche dopo 30 anni di follow up.

Attualmente questa serie storica ha esaurito le possibilit? di fornire ulteriori informazioni e il gruppo di coordinato da Robert Kyle ha avviato un nuovo studio epidemiologico, su tutti gli abitanti della Contea di Olmsted nel Minnesota. I risultati, pubblicati recentemente sul New England Journal of Medicine, si riferiscono a 21.463 soggetti sui 28.038 residenti con et? ≥50 anni (76,6%) studiati per definire con maggior precisione la prevalenza del MGUS in questa popolazione. I tassi aggiustati per et? sono risultati pi? elevati negli uomini di quelli riscontrati nelle donne (4,0% vs 2,7%; p<0,001) e la prevalenza di MGUS ? risultata del 5,3% nelle persone di et? ≥ 70 anni e del 7,5% tra le persone di et? ≥85 anni. La concentrazione di immunoglobulina monoclonale ? risultata <1,0 g/dl nel 63,5% dei casi e ≥2,0 g/dl in solo il 4,5% delle 694 persone studiate.
Questo studio permette di formulare considerazioni definitive sui dati di prevalenza della MGUS, che sono elevati soprattutto negli anziani, aprendo nuove possibilit? di indagine in una popolazione molto pi? ampia rispetto alla serie storica. A lungo termine questo potr? permettere di individuare indici predittivi precoci di evolutivit? utili ai medici nel discriminare le forme ?benigne? dalle ?maligne? di una condizione che attualmente ha come unica strategia possibile un attento e continuo follow up.

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Nuove linee guide per prevenzione e controllo influenza

Sono state aggiornate le linee guide per il trattamento e la vaccinazione antinfluenzale per la stagione del 2006. le epidemie influenzali intervengono tipicamente durante l’inverno, e sono associate ad una significativa mortalit?. I tassi di infezione sono massimali nei bambini, ma i casi peggiori si individuano fra gli anziani o al di sotto dei due anni, oppure ancora in soggetti con patologie di base che li pongono a rischio di complicazioni. Attualmente, la vaccinazione ? il principale metodo di prevenzione dell’influenza e delle sue complicazioni, ed ? quindi consigliata in tutte le categorie a rischio. In caso di necessit? di trattamento antivirale, sono consigliati inibitori delle neuraminidasi con dimostrata attivit? verso i ceppi influenzali di tipo A e B. per quanto riguarda la diagnosi, sono praticabili diverse metodiche, i cui risultati comunque vanno valutati nel contesto delle altre informazioni cliniche ed epidemiologiche disponibili. (Morbid Mortal Wkly Rep. 2006;55:1-41)

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Tiroide opzioni migliori

L?indagine scintigrafica sul corpo intero con radioiodio (131-I) ? tuttora l?unica metodica diagnostica che consente di localizzare tessuto tiroideo (normale o neoplastico) in grado di accumulare lo iodio. L?indagine ? sicura e non invasiva, consistendo nella assunzione per os di radioiodio e nella successiva registrazione della distribuzione del radiofarmaco mediante apparecchiature dedicate. Per molti anni la scintigrafia con radioiodio ha rappresentato l?indagine fondamentale nel follow-up dei pazienti con carcinoma tiroideo. Oggi la disponibilit? di altre metodiche (dosaggio della tireoglobulina sierica, ecografia cervicale, TC ad elevata risoluzione, PET con 18-FDG) ha ridotto l?impiego di questa tecnica, che peraltro mantiene un ruolo fondamentale nel follow-up dei pazienti ad alto rischio, dei pazienti con anticorpi anti-tireoglobulina e per la decisione strategica riguardo il trattamento con radioiodio.

Poich? la captazione del radioiodio nelle cellule tiroidee ? favorita da elevati livelli di TSH, per effettuare la scintigrafia con radioiodio ? necessario o stimolare l?increzione endogena di TSH, mediante la sospensione della terapia ormonale e la conseguente induzione di ipotiroidismo o, in alternativa, somministrare per via intramuscolare TSH umano, allo scopo di evitare la sintomatologia da ipotiroidismo.

Le due modalit? di preparazione alla effettuazione della scintigrafia o alla esecuzione del trattamento con radioiodio presentano entrambe vantaggi e svantaggi, ampiamente dibattuti nella letteratura internazionale.

Nel caso particolare del trattamento ablativo post-chirurgico e del trattamento delle metastasi, non esistono ancora in letteratura prove definitive su un pi? favorevole rapporto beneficio-rischio della modalit? di preparazione classica, rispetto a quella con somministrazione esogena di TSH umano o viceversa, in particolare nella popolazione ad alto rischio.

? compito del Medico Nucleare individuare per ogni singolo caso quale sia la tecnica e la modalit? di preparazione pi? vantaggiosa. ? necessario quindi rassicurare tutti quei pazienti cui venga consigliata la effettuazione della scintigrafia con radioiodio e/o la preparazione alla terapia con sospensione del trattamento ormonale che tale scelta non ? ? valutata nel caso particolare – obsoleta o ingiustificata, ma rappresenta al contrario la strategia pi? efficace, alla luce dei dati finora disponibili.

Massimo Eugenio Dottorini

(Coordinatore del Gruppo di Studio ?Terapia Medico Nucleare? dell?Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare)

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Terapia antiobesit

L?obesit? sta diventando sempre pi? un problema di salute pubblica.

Nei soli Stati Uniti, il 65% degli adulti ( pari a quasi 127 milioni di persone ) sono in sovrappeso o obese.

Secondo una prudente stima, l?obesit? provoca quasi 300.000 morti ogni anno nei soli Stati Uniti.

L?obesit? ? descritta dall?indice di massa corporea ( BMI, body mass index ).

Il BMI ? calcolato dividendo il peso di una persona per il quadrato della sua altezza.

Il peso normale ? definito da un valore BMI inferiore a 24.9 Kg/m2.

Un soggetto che presenta un BMI compreso tra 25 e 29.9 kg/m2 ? considerato in sovrappeso, mentre un BMI maggiore di 30 Kg/m2 ?, invece, obeso.

Gli interventi dietetici e l?esercizio fisico rappresentano le strategie di base per il trattamento dell?obesit?.

La chirurgia bariatrica e l?impianto endogastrico di un dispositivo ( palloncino ) sono soluzioni adatte a pazienti fortemente obesi.

I farmaci trovano, invece, impiego pi? ampio, anche nei pazienti in sovrappeso con fattori di rischio per malattie cardiometaboliche.

Attualmente, solo 2 farmaci sono stati approvati dalle Autorit? Sanitarie: la Sibutramina e l?Orlistat.

La Sibutramina ( Europa: Reductil; USA: Meridia ) ? un inibitore del riassorbimento della serotonina e della noradrenalina ( SNRI ), che agisce a livello centrale, producendo un senso di saziet?.

Il farmaco pu? provocare innalzamento dei valori pressori.

In Italia, la Sibutramina ? stata sospesa nel 2002 a causa di alcune morti sospette e riammessa sul mercato dopo un parere favorevole del CHMP dell?EMEA.

Orlistat ( Xenical ) diminuisce il peso corporeo, riducendo l?assunzione calorica mediante inibizione della degradazione dei grassi mediata dalla lipasi pancreatica nel tratto gastrointestinale.

Il farmaco ? associato in un?alta percentuale di casi ad effetti indesiderati, come incontinenza fecale ed urgenza fecale che ne limitano l?impiego.

E? in corso la sperimentazione clinica di un nuovo farmaco, il Rimonabant ( Acomplia ), il primo antagonista selettivo del recettore dei cannabinoidi di tipo 1 ( CB1 ).

Negli studi clinici, il Rimonabant ha prodotto una moderata perdita di peso ( circa il 5% della massa corporea ).

Il farmaco ? associato ad un?alta incidenza di drop-out ( 40-50% ), soprattutto per reazioni avverse di tipo psichiatrico ( depressione, ansia ).

In passato, un agonista 5-HT, Fen-Phen ( Fenfluramina e Dexfenfluramina ), altamente efficace nella riduzione del peso corporeo ? stato ritirato dal mercato a causa di grave cardiotossicit?.

E? in corso lo sviluppo di un agonista altamente specifico per il recettore 5-HT (2C), APD356.

Tuttavia, il suo profilo di sicurezza non ? stato ancora ben definito.

Cetilistat ? un candidato farmaco che agisce inibendo le lipasi.
In studi clinici di fase I e II ha dimostrato di possedere una migliore tollerabilit? rispetto all?Orlistat ( percentuale di drop-uot: 2.5% versus 11.6%, rispettivamente ).

Fonte: Nature Reviews Drug Discovery, 2006

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DISORDINI RENALI EREDITARI E CONGENITI

NEFROPATIE NON CISTICHE

NAIL-PATELLA SYNDROME (SINDROME UNGHIA-ROTULA)

(Osteo-onicodisplasia; onico-osteodisplasia; artro-onicodisplasia;)

? un raro disordine ereditario del tessuto mesenchimale caratterizzato da anomalie ossee, delle articolazioni, delle unghie della mano e dei piedi e dei reni.
Questa malattia autosomica dominante ? legata al locus del gruppo sanguigno ABO. La pi? frequente displasia scheletrica ? l’ipoplasia unilaterale o bilaterale oppure l’assenza della rotula, la sublussazione delle teste radiali ai gomiti e creste iliache accessorie bilaterali. Le unghie della mano e dei piedi sono assenti o ipoplasiche con formazione di cicatrici depresse con rugosit?. Possono verificarsi anormalit? oculari, ma non sordit?. Le modificazioni istologiche renali al microscopio ottico non sono specifiche e si presentano con ispessimento localizzato della parete capillare. Possono presentarsi depositi glomerulari focali non specifici di IgM e C3, nelle aree sclerotiche. Le modificazioni ultrastrutturali caratteristiche sono rappresentate da aree localizzate di rarefazione della membrana basale glomerulare con depositi intramembranosi con l’aspetto e la periodicit? del collageno.

La disfunzione renale si verifica in circa la met? dei pazienti e si manifesta con proteinuria e, raramente, con ematuria. La proteinuria ? solitamente minima, ma talvolta pu? raggiungere livelli da sindrome nefrosica. La malattia viene diagnosticata dai tipici reperti clinici e radiografici e pu? essere confermata dalla biopsia renale. Un terzo circa dei pazienti con interessamento renale progredisce lentamente fino all’insufficienza renale, il cui trattamento ? lo stesso che si effettua nelle altre cause di insufficienza renale cronica . Sono stati eseguiti con successo trapianti senza evidenze di recidiva della malattia nel rene trapiantato. La consulenza genetica ? indicata.

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