Ipertensione e dislipidemia. Iniziare contemporaneamente migliora l’aderenza all

Oggi possiamo affermare che non ? corretto affrontare il profilo di rischio di un individuo sulla base di ogni singolo fattore riscontrabile. La contemporanea presenza di pi? fattori in una stessa persona fa s? che il rischio complessivo di questo soggetto non sia rappresentato soltanto dalla loro somma, ma dal fatto che i singoli fattori di rischio agiscono sinergicamente, potenziandosi l’uno con l’altro. I soggetti con comorbidit? per ipertensione e dislipidemia presentano un alto rischio per le malattie cardiovascolari, che pu? essere efficacemente contrastato dalla terapia, tenendo ben presente che l’aderenza alle terapie prescritte rappresenta un fattore importante per il raggiungimento degli obiettivi, anche se spesso ? un aspetto sottovalutato. Questo studio si ? proposto di identificare il pattern e i gli indici predittivi di aderenza alla terapia antiipertensiva (AI) e anti-dislipidemica (AL) somministrata in associazione contemporanea. La valutazione ? stata realizzata attraverso uno studio di coorte che ha arruolato 8406 soggetti per un periodo di terapia della durata di 3 mesi per entrambe le terapie AI e AL. L’aderenza ? stata valutata misurando la percentuale di giorni coperti da terapia in un intervello di tempo di 90 giorni dall’inizio delle due terapie concomitanti (follow up medio 12.9 mesi). I pazienti erano considerati aderenti alla terapia se il loro fabbisogno di farmaci era coperto con prescrizioni corrispondenti al 80% dei giorni considerati.

Terapia ________________________| Soggetti aderenti (%) _____|
Antiipertensiva + Antidislipidemica__| ________________________|
44.7 ___________________________| 35.9___| 35.8___| _______|
Follow up _______________________| 3 mesi _| 6 mesi _| 1 anno _|

La percentuale dei pazienti aderenti alla terapia si riduceva rapidamente e progressivamente fin dall”inizio del trattamento e i soggetti che erano maggiormente aderenti presentavano i seguenti fattori predittivi: Inizio concomitante della terapia anti-ipertensiva e anti-dislipidemica Anamnesi positiva per malattia coronaria o scompenso cardiaco congestizio Pochi farmaci in aggiunta alla terapia AI e AL Dopo poche settimane, solo un terzo di tutti i pazienti messi in terapia antiipertensiva e anti-dislipidemica assumeva questi farmaci in modo adeguato. La scarsa aderenza al trattamento tendeva progressivamente a peggiorare se questi interventi si inserivano in un programma terapeutico con l’utilizzo di molti farmaci. Pertanto lo sforzo dei medici nel migliorare l’aderenza alla terapia dei loro pazienti potrebbe essere rivolto a iniziare il trattamento dell’ipertensione e della dislipidemia iniziandole insieme e riducendo dove possibile il carico di farmaci, inteso come numero di pillole assunte giornalmente.

Fonte: MSD Watch

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Vitamine: acido folico, vitamina A, beta-carotene, vitamine del gruppo B, vitami

Le vitamine sono sostanze organiche necessarie nella quantit? di un grammo o anche un microgrammo al giorno. Non essendo prodotte dall?organismo devono essere introdotte con l?alimentazione; non hanno alcun valore energetico, ma svolgono un ruolo regolatore in tutte le funzioni organiche e nei processi metabolici. Le vitamine pi? importanti sono:

– Acido Folico

E? necessario per la formazione delle cellule, per un normale decorso della gravidanza ed ? implicata nelle malattie cardiovascolari. La quantit? giornaliera raccomandata ? di 1 milligrammo e si trova nei legumi, nelle verdure a foglia verde, nel fegato, nel lievito di birra, nel pesce.

– Vitamina A e Beta-carotene

E? essenziale per gli occhi, favorisce la crescita e protegge la pelle. L?assunzione giornaliera non deve superare i 7,5 milligrammi per le donne e 9 per gli uomini; in caso di assunzione eccessiva pu? danneggiare il fegato e causare danni epatici od ossei. Si trova solo in cibi di origine animale tipo il fegato, il latte, il burro, le uova, i formaggi, i pesci grassi. L?organismo pu? trasformare il beta carotene, contenuto nelle carote, nella frutta e nelle verdure verdi, in vitamina. Il beta carotene ? un fattore di prevenzione per il cancro, svolge un effetto antiossidante. Si consiglia un?assunzione giornaliera non superiore a 6 milligrammi, che equivale a 5 porzioni di frutta o verdura al giorno.

– Vitamine del gruppo B ( B1, B2, B3, B6, B12 )

Queste 6 vitamine, solubili in acqua, sono essenziali per la crescita, per il buon funzionamento dell?apparato digerente, del metabolismo, delle mucose e degli epiteli. Assicurano l?integrit? del sistema nervoso e favoriscono l?utilizzazione del glucosio. Si disperdono durante la lavorazione, la cottura o la conservazione dei cibi. La vitamina B1 si trova nei semi di girasole, nel maiale, nella pancetta, nelle noccioline, nella pasta integrale; la B2 nelle carni, nei latticini, nel fegato, nella crusca, nelle uova, nella cacciagione; la B3 nel pollame, nel tacchino, nel tonno, nel pesce spada, nel pesce azzurro, nei cereali con crusca; la B6 in carni varie, nelle uova, nelle granaglie, nei pesci, nella crusca, nelle lenticchie; la B12 in carni varie, nei latticini, nelle cozze, nelle ostriche, nelle capesante, nel pesce azzurro, nel pesce grasso, nelle uova.

– Vitamina C

Importante vitamina antiossidante, contribuisce a mantenere un buon sistema immunitario, aumenta le difese contro le infezioni, accelera la guarigione di ferite e fratture, controlla il livello di colesterolo contrastandone l?accumulo nel sangue e nei tessuti. L?assunzione eccessiva pu? avere effetto lassativo, causare diarrea e fastidi gastrici. E? contenuta principalmente nella frutta e nella verdura. E? un tipo di vitamina che si inattiva facilmente con la cottura e la conservazione degli alimenti.

Fonte: Roberto Ferrari & Claudia Florio, La cucina del cuore, Collana Educazionale della S.I.C.

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Fumo di sigaretta, indice di massa corporea ed eventi di vita stressante come fa

Ricercatori del Centro Studi GISED degli Ospedali Riuniti di Bergamo hanno condotto uno studio caso-controllo con l?obiettivo di analizzare l?associazione della psoriasi di recente insorgenza con l?abitudine al fumo, l?indice di massa corporea ( BMI ) e gli eventi di vita stressante.

I casi erano pazienti ( n = 560 ) di et? media 38 anni con una prima diagnosi di psoriasi ed una storia di manifestazioni cutanee di durata non superiore ai 2 anni.

Il gruppo controllo era rappresentato da pazienti con una nuova diagnosi di malattia cutanea, ma non affetti da psoriasi ( n = 690; et?: 36 anni ). Il rischio di psoriasi era pi? alto negli ex-fumatori ( OR = 1,9 ) e nei fumatori correnti ( OR = 1,7 ) che nei non-fumatori.

Il fumare era strettamente associato a lesioni pustolose ( OR = 5,3 per i fumatori ).

La frequenza della psoriasi variava in modo significativo in relazione alla storia familiare nei pazienti di primo grado, all?indice BMI per il sovrappeso ( BMI 26-29 ) ( OR = 1,6 ) e per l?obesit? ( BMI maggiore o uguale 30 ) ( OR = 1,9 ) e per il punteggio di eventi di vita stressante ( OR = 2,2 per valore dell?indice maggiore o uguale a 115 ).

Naldi L et al, J Invest Dermatol 2005; 125: 61-67

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Aumentato rischio di malattia di Parkinson nelle persone di mezza et? che assumo

Presso l?University of Virginia Health System di Charlottesville ? stato condotto uno studio il cui obiettivo ? stato quello di esaminare la relazione che intercorre tra latte ed assunzione di calcio in persone di mezza et?, ed il rischio di insorgenza di malattia di Parkinson. I dati sono stati ottenuti da 7.504 uomini di et? compresa tra i 45 e i 68 anni nell?Honolulu Heart Program.

Nel corso del periodo di follow-up di 30 anni, 128 uomini hanno sviluppato malattia di Parkinson ( 7.1/10.000 persone/anno ).

L?incidenza, aggiustata per et?, della malattia di Parkinson ? aumentata con l?assunzione di latte da 6.9/10.000 persone anno, negli uomini che non hanno consumato latte, a 14.9/10.000 persone anno negli uomini che hanno consumato pi? di 453.6g/die ( p = 0.017 ).

Dopo ulteriori aggiustamenti per la dieta ed altri fattori, c?? stato un aumento di 2.3 volte della malattia di Parkinson nel gruppo a pi? alta assunzione di latte ( pi? di 453.6g/die ) rispetto a coloro che non hanno consumato latte.

L?effetto del consumo di latte sull?insorgenza della malattia di Parkinson ? risultato indipendente dall?assunzione di calcio.

L?assunzione di calcio non ha una relazione apparente con il rischio di insorgenza della malattia di Parkinson.

Da quanto emerso dallo studio, l?assunzione di latte ? associata ad un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Parkinson.

Park M et al, Neurology 2005; 64:1047-1051

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Aracnodattilia, artrogripposi e artrogripposi multipla

Che cosa sono

L’aracnodattilia ? una caratteristica scheletrica contraddistinta da dita affusolate che risultano sproporzionatamente allungate rispetto al palmo della mano. Si tratta di una condizione che ? comune a molte sindromi (ad esempio, la Sindrome di Marfan) ma che pu? essere anche isolata (e quindi non associata ad alcuna altra anomalia) e familiare.

L’artrogripposi ? una condizione che – proprio all’origine della denominazione di Sindrome di Marfan – venne descritta dal dr. Marfan nel secolo XIX e da lui prese il nome. In seguito, la migliore definizione della Sindrome di Marfan differenzi? quest’ultima (pur mantenendo il nome di Marfan) dall’artrogripposi multipla. Questa ? una condizione caratterizzata da contratture multiple con blocco articolare che origina e quindi si associa ad una riduzione della motilit? articolare in epoca prenatale.

Cause

Numerose sono le cause che possono provocare l’artrogripposo e queste comprendono:
un deficit neurologico sia centrale che periferico, con conseguente alterazione della funzione muscolare (contratture) e blocco a livello articolare; una miopatia, cio? una malattia prevalentemente a livello muscolare; una malformazione articolare e a livello scheletrico (in genere distrettuale). Alcune condizioni prenatali, quali una marcata riduzione del liquido amniotico o una gravidanza multipla, possono condizionare una costrizione importante del feto con conseguente alterazione dello sviluppo osteo-articolare e muscolo-tendineo e quindi artrogripposi. In presenza di artrogripposi ? necessario effettuare approfondimenti per valutare se non vi possano essere contemporaneamente anche altre malformazioni e quindi non si sia di fronte ad un problema pi? ampio (ad esempio, una sindrome come quella di Marfan). E’ quindi necessario controllare l’accrescimento staturale e ponderale, indagare ogni organo ed apparato e ricercare eventuali segni di ritardo mentale anche sfumato (valutazione dello sviluppo psicomotorio ed intellettivo).

Diagnosi

Una visita pediatrica approfondita, una valutazione dermatologica, un controllo ortopedico saranno le prime cose da fare. Da loro deriveranno gli ulteriori controlli da programmare. Un consulto presso un centro di genetica medica sar? quindi necessario per orientarsi nei confronti di un inquadramento diagnostico pi? preciso, per stabilire eventuali ulteriori indagini (ad esempio, genetiche), per delineare l’albero genealogico e quindi ricercare se altri appartenenti allo stesso nucleo familiare sono affetti dallo stesso problema e quindi per definire l’eventuale ereditariet? e il rischio riproduttivo futuro.

Terapia

La terapia ? correlata alla diagnosi e lo stesso si pu? dire della prognosi nel tempo. Relativamente all’esistenza di Centri specializzati nell’artrogripposi, si deve fare riferimento sempre alla diagnosi definitiva in quanto esistono Centri dedicati a specifiche sindromi e – nel caso di un’artrogripposi su base ortopedica o neuromuscolare, centri specializzati in ortopedia pediatrica o Istituti neurologico.

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Tumore mammario postmenopausale: latticini diminuiscono il rischio

Il consumo di latticini riduce il rischio di tumore mammario postmenopausale. Calcio, vitamina D e latticini sono fattori altamente correlati, ciascuno dei quali ha un ruolo potenziale nella cancerogenesi mammaria. Pochi studi prospettici hanno finora esaminato queste correlazioni in donne in et? postmenopausale. I risultati del presente studio supportano l’ipotesi secondo cui il calcio assunto con la dieta e/o alcuni altri componenti dei latticini possano modestamente ridurre il rischio di tumore mammario in queste pazienti: in questo senso, ? stata osservata una pi? forte correlazione inversa con i tumori positivi al recettore per gli estrogeni, che necessita ulteriori studi. In generale, ? possibile dire che le donne in et? postmenopausale che assumono pi? calcio nella dieta e pi? latticini, principalmente da fonti a basso contenuto di grassi, presentano un minor rischio di tumore mammario, mentre l’integrazione artificiale di questi nutrienti non risulta cos? strettamente correlata al rischio in questione.
(Cancer Epidemiol Biomarker Prevent. 2005; 14: 2898-904)

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Vitamina B12 e folati riducono omocisteina senza influenzare cognizione

Bench? l’integrazione per una durata fino ad un anno di vitamina B12 e folati per via orale riduca in modo sostanziale i livelli totali di omocisteina nei pazienti anziani con malattie vascolari, essa non ha alcun effetto sulla cognizione. L’omocisteina costituisce un fattore predittivo indipendente di malattie vascolari, ed ? associata alla demenza nei soggetti anziani. I potenziali meccanismi alla base del fenomeno comprendono l’alterazione della funzionalit? endoteliale ed emostatica. In base al presente studio l’integrazione orale di folati e vitamina B12 non conferisce benefici significativi alla funzionalit? cognitiva a breve o medio termine.
(Am J Clin Nutr. 2005; 82: 1320-6)

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I farmaci anticoagulanti nella fibrillazione atriale

La fibrillazione atriale ( FA ) ? la pi? comune delle aritmie cardiache con un?incidenza che aumenta all?aumentare dell?et?.
Nei soggetti con pi? di 69 anni la prevalenza di fibrillazione atriale ? compresa tra il 5 e l?8%, contro lo 0.5% nelle persone di et? compresa tra i 25 e i 35 anni.

L?ictus ed il tromboembolismo sono le principali cause di morbilit?-mortalit? associate alla fibrillazione atriale.
Alla base c?? uno stato protrombotico o di ipercoagulabilit?, associato sia ad anomalie del flusso sanguigno ( stasi striale), sia a danni endoteliali e dell?endocardio.

Nel 2001 la Cochrane ha pubblicato una revisione sistematica sulla terapia anticoagulante ed antiaggregante nella fibrillazione atriale.

Da questa analisi ? emerso che l?impiego del Warfarin ( Coumadin ) nei soggetti con fibrillazione atriale ha evitato, rispetto al placebo, 6 ictus ogni 100 pazienti trattati.
Di contro, il rischio di emorragie maggiori dopo trattamento con Warfarin ? aumentato di 2.4 volte, sempre rispetto al placebo.

Gli studi che hanno valutato l?Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ) non hanno portato ad alcun risultato definitivo.

Dal confronto tra Warfarin ed Aspirina ? risultato che il Warfarin permette di evitare 2 ictus ogni 100 soggetti trattati rispetto all?impiego dell?Aspirina, con un modestissimo aumento del rischio di emorragie maggiori.

Il trattamento con Warfarin a dosaggio aggiustato ha evitato 5 ictus per ogni 100 pazienti trattati, rispetto all?Aspirina associata a basse dosi di Warfarin. L?incidenza di emorragie maggiori ? risultata sostanzialmente sovrapponibile nei due bracci di trattamento.

I risultati della revisione hanno indicato che assumendo un rischio di base pari a 45 ictus per 1000 pazienti con fibrillazione atriale/anno, l?impiego del Warfarin ? in grado di prevenire 30 ictus , causando 6 eventi emorragici maggiori, mentre l?Aspirina pu? prevenire 17 ictus, senza aumentare il rischio emorragico.

Pertanto, i soggetti ad alto rischio di ictus ( inclusi gli anziani ) possono beneficiare del trattamento con Warfarin, mentre per i soggetti a basso rischio potrebbero essere utile l?assunzione di Aspirina, anche se le evidenze non sono conclusive.

Nonostante sia chiara l?evidenza di efficacia del Warfarin nella prevenzione dell?ictus nei pazienti con fibrillazione atriale, il farmaco ? poco utilizzato. Uno dei motivi dello scarso utilizzo del Warfarin ? la necessit? di uno stretto monitoraggio di valori di INR.
Allo stato attuale delle conoscenze ? considerato ottimale un range di INR compreso tra 2 e 3.

Fonte: Bollettino d?Informazione sui Farmaci, 2005

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Incontinenza fecale: utile la stimolazione del nervo sacrale

La stimolazione del nervo sacrale ? utile per l’incontinenza fecale. Quest’ultima rimane un problema terapeutico in molti pazienti in cui il trattamento conservativo fallisce e la riparazione dello sfintere non ha successo o risulta inappropriata. La stimolazione del nervo sacrale, applicata con successo per l’incontinenza urinaria, costituisce un approccio alternativo. I suoi risultati clinici appaiono eccellenti, con un tasso di successo dell’80 per cento circa, nei pazienti con un plesso sacrale neurologicamente intatto e sfintere e retto anatomicamente intatti. In base al presente studio, questa tecnica presenta un elevato grado di efficacia a breve termine, ed ? in grado di migliorare la qualit? della vita del paziente.

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Ecco perch? ingrassiamo

Alcuni ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute di Boston hanno identificato un meccanismo molecolare nel fegato che spiega, per la prima volta, come il consumo di cibi ricchi di grassi saturi e acidi grassi idrogenati causi livelli elevati di colesterolo e trigliceridi nel sangue e aumenti il rischio di attacco cardiaco e di alcuni tipi di tumore. In un articolo pubblicato sul numero del 28 gennaio della rivista “Cell”, Bruce Spiegelman e colleghi scrivono che gli effetti dannosi dei grassi saturi e idrogenati vengono messi in moto nelle cellule del fegato da un interruttore biochimico, o co-attivatore, chiamato PGC-1beta.
Finora agli scienziati mancava una spiegazione dettagliata del modo in cui i grassi saturi e idrogenati provocano un aumento del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue. Gli indizi suggerivano che fosse coinvolto il fegato, che ? responsabile della sintesi di queste sostanze nel corpo, ma la catena molecolare degli eventi dal consumo di cibi grassi fino all’accumulo di colesterolo nel sangue era sconosciuta.
“Abbiamo trovato l’anello mancante, – spiega Spiegelman – un meccanismo tramite il quale agiscono i grassi saturi e idrogenati”. Quando viene attivata dai grassi dannosi, la proteina PGC1-beta alterna il metabolismo del fegato attraverso una cascata di segnali biochimici. Il risultato ? un aumento improvviso della produzione di lipoproteine a bassissima densit? (VLDL) – precursori delle lipoproteine a bassa densit? (LDL), quelle del cosiddetto “colesterolo cattivo” – che vengono rilasciate nel flusso sanguigno.

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